Ucraina: l’invasione della Crimea e la guerra in Donbass (2)

Alcuni estratti da un articolo di Andrea Braschayko pubblicato su www.valigiablu.it. Seconda parte. Qui la prima parte  

Le origini del mito sull’Ucraina nazifascista: Azov, Bandera e il ruolo della propaganda russa

Questi eventi sono già inseriti nella cornice dell’Operazione Anti-Terroristica (ATO) annunciata da Kyiv il 14 aprile 2014, quando le prime truppe di mercenari russi avevano iniziato la conquista degli edifici strategici delle province di Donec’k e Luhans’k. Sostanzialmente, l’ATO fu un escamotage giuridico per evitare di dichiarare la legge marziale, ammise Porošenko durante un intervento pubblico nel 2018, e al contempo garantire libere elezioni.

Gli ucraini dichiarano dunque guerra ai separatisti manovrati da Mosca, definendoli come terroristi. Alcuni giorni prima, il controverso ministro degli Interni Arsen Avakov aveva già delineato il bivio di fronte al governo ucraino: “Siamo pronti sia ai negoziati, sia a scacciare i filorussi con l’uso della forza”. La seconda scelta era stata presa, sebbene la velocità degli eventi rese evidente come, con ogni probabilità, questa fosse rimasta come l’unica opzione disponibile sul tavolo.

Negli stessi giorni entrano in Ucraina nuovi personaggi destinati a influenzare le sorti del conflitto. Dopo aver combattuto nell’esercito russo in Transnistria e Cecenia, il signore della guerra russo Igor Girkin detto “Strelkov” (fiancheggiatore dei serbi nella campagne genocide contro i bosniaci negli anni ’90) varca il confine con l’Ucraina insieme ad alcune centinaia di soldati; molti sono membri dell’Armata russa ortodossa.

Girkin diventa il comandante in capo delle forze armate di Donec’k, e guiderà le forze russo-separatiste nella presa di Slovians’k il 12 aprile, la cui caduta, seguita dall’evacuazione di circa ventimila civili, darà inizio alla proclamazione dell’Operazione Anti Terroristica in Donbass. Il primo ad aprire il fuoco, il 13 aprile, sarà il soldato ucraino Vadym Sucharevs’kyj contro una colonna dei soldati di Girkin: la guerra del Donbass è iniziata.

Il ruolo dei mercenari russi e dell’esercito regolare

A finanziare i mercenari è, tra gli altri, l’oligarca russo Konstantin Malofeev, e in linea generale il supporto più o meno indiretto di Mosca è stato di fondamentale importanza per l’assetto militare dei separatisti. Il Cremlino era consapevole di come fosse impossibile provocare il caos nelle due oblast’ del Donbas facendo affidamento unicamente sulle forze locali, inaffidabili e disorganizzate, e prive di un sostegno condiviso nella popolazione.

Eppure, Mosca scelse di presentare i referendum dell’11 maggio sul modello crimeano, nonostante l’annessione di esse alla Russia non fosse un’opzione sul banco. Le votazioni furono caratterizzate da percentuali bulgare, innumerevoli brogli e manipolazioni. Un referendum poi definito dalle Nazioni Unite come “illegale”, impossibile da delineare come “espressione della volontà popolare”.

In seguito ai referendum, si apre la fase più violenta dell’ATO. A rimpinguare i battaglioni separatisti, oltre a formazioni russe già esistenti come il battaglione Vostok, attivo come spetsnaz (unità speciale) del GRU russo nelle campagne in Cecenia e Georgia, ci sono diversi estremisti russi.

Il fondatore delle Milizie popolari del Donbas è Pavel Gubarev, nato a Severodonec’k e militante di vari movimenti neo-nazisti russi. La maggior parte dei gruppi neonazisti, come Rusich, sono addestrati dal neonato Gruppo Wagner, creato dall’ex colonnello del GRU Dmitriy Utkin, proprio nel 2014.

L’esperienza di Wagner esemplifica il coinvolgimento russo a tutti i livelli militari nel Donbas. L’outsourcing a milizie private e mercenari è stato funzionale a mascherare le responsabilità russe. Nove anni dopo, in seguito al tentato golpe di Prigozhin (che nel frattempo aveva pure, sorprendentemente, smontato molte delle bugie russe in relazione all’Ucraina), è lo stesso Putin ad ammettere come Wagner sia stata finanziata con fondi statali, alla stessa maniera di altre compagnie militari private e armate separatiste attive in Donbas nel 2014.

Più genuinamente identificabili come volontari, entrarono a far parte delle milizie separatiste anche presunti eredi dei cosacchi del Don antisemiti, ceceni, osseti, abkhazi, mentre dall’Europa occidentale arrivano soprattutto serbi, oltre ad esponenti delle estreme destre di vari paesi, tra cui l’Italia, dove peraltro si assiste (come anche in Spagna) pure a un arruolamento di militanti comunisti intimoriti dalla presunta minaccia fascista, ritrovandosi nella paradossale situazione di combattere dalla stessa parte della barricata ad essi.

Un caos artificialmente prodotto, nelle cosiddette forze di autodifesa del Donbas, che ha portato, come prevedibile, ad una situazione ingestibile nell’amministrazione della regione. I proclami di protezione della popolazione civile sono difficilmente riscontrabili, a partire dalla scelta e dal retroterra criminale dei combattenti. Una condizione che ha reso il Donbas un far west di criminali e mercenari armati, bloccato nel tempo e un teatro di traffici illegali a cielo aperto.

Nel Donbas si è combattuta una guerra civile fra ucraini?

La stessa nozione di guerra civile, proposta soprattutto da analisti e politici vicini all’ideologia di Mosca, e spesso cooptata, più o meno in buona fede, nei paesi occidentali, appare fallace nello spiegare un conflitto nel quale le forze locali sono addestrate, armate e infoltite di combattenti da un paese terzo.

Il capo del battaglione Sparta, fra i maggiormente operativi sul lato filorusso, è Arsen Pavlov, detto “Motorola”, che prima dell’inizio della guerra in Donbas viveva nella Russia profonda, negli Urali. Nel 2015 si rese responsabile di un grave crimine di guerra, giustiziando arbitrariamente 15 prigionieri ucraini. A vendicarsi non saranno però i servizi ucraini, ma i suoi stessi compagni delle repubbliche autoproclamate.

La morte di Motorola fu il risultato di una delle numerose faide interne scaturite dopo il parziale cessate il fuoco deciso col Protocollo di Minsk II (che vedremo più in dettaglio nelle prossime sezioni), in un contesto in cui i gangster locali erano inseriti in un mercato criminale internazionale più ampio. Come evidenziato dall’oppositore russo Illja Yashin, Putin aveva promesso ai leader separatisti gloria e potere per esportare il russkij mir, ma solo alcuni riusciranno a scalare l’ascensore sociale del potere russo, molti altri rimarranno nel limbo della criminalità di strada di Donec’k e Luhans’k.(….)

Quelle combattenti in Donbas erano per lo più «forze russe», senza le quali le ostilità sarebbero cessate in tempi brevi, in favore di una rapida riconquista ucraina.

Già nel 2014, l’OSCE aveva testimoniato la presenza di truppe russe in Donbas senza segni identificativi, sebbene Putin si sia inizialmente limitato ad ammettere la sola presenza di unità dei servizi segreti e non dell’esercito regolare. Nel 2015 l’ex spia russa Igor Sutyagin, esperto militare del Royal United Services Institute, aveva stimato come la presenza dei soldati russi si attestasse attorno alle 10,000-12,000 unità, mentre più di 40,000 erano le riserve stazionate sul confine russo-ucraino, dedite a colpire il Donbas con l’artiglieria oppure pronte a dare il cambio alle truppe sul terreno. L’OSCE ha più di una volta testimoniato l’ingresso di convogli militari russi in Donbas, anche negli anni immediatamente precedenti all’invasione su larga scala.

(continua)

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