Un Superbonus distorsivo e poco sostenibile
Pubblichiamo un articolo di Giuseppe Pisauro tratto da www.lavoce.info
Le forze politiche festeggiano il rinnovo del Superbonus inserito in legge di bilancio. Come tutti gli altri bonus edilizi, però, anche il 110 per cento ha il difetto di favorire le fasce più abbienti, cui si aggiunge la totale insostenibilità per le finanze pubbliche.
Raramente una misura ha ricevuto il sostegno pressoché unanime delle forze politiche in Parlamento come nel caso del Superbonus – o Ecobonus – 110 per cento. Le motivazioni avanzate sono varie. La più importante sembra essere il rinnovamento del patrimonio edilizio del Paese in funzione della transizione ecologica. In questa ottica, i dati mostrano che il Superbonus è semplicemente non sostenibile e distorsivo. A tutto maggio, una spesa di oltre 30 miliardi ha finanziato circa 170 mila interventi, che corrispondono a poco più dell’1 per cento delle abitazioni unifamiliari e dei condomini. La cifra che occorrerebbe per coprire l’intero patrimonio viaggerebbe così verso i duemila miliardi. L’eccessiva generosità rende lo schema inefficiente, dal momento che, eliminando ogni conflitto di interesse tra proprietari di immobili e imprese edili, induce un aumento del costo del risparmio energetico – come ha sottolineato il Presidente del Consiglio nella conferenza stampa del 22 dicembre scorso, quando ha ricordato “l’aumento straordinario dei prezzi delle componenti per fare le ristrutturazioni”. Una bella illustrazione delle conseguenze del fenomeno noto agli economisti come terzo pagante.
In parte, l’aumento dei costi dipende anche dal fatto che lo schema è comunque percepito come temporaneo. Un fattore che determina un volume di domanda che supera la capacità dell’offerta. Così, c’è chi invoca un Superbonus permanente, ossia di fatto il virtuale raddoppio del debito pubblico. Un sussidio sovrabbondante, infine, costituisce un potente incentivo a comportamenti illeciti, anche superiore a quanto si poteva immaginare: secondo le ultime notizie, 5,6 miliardi di fatture bloccate per sospette frodi (per il complesso degli schemi di cessione del credito e sconto in fattura che comprendono anche il bonus facciate del 90 per cento e altri analoghi).
Le agevolazioni per l’efficienza energetica rispondono certamente a un interesse pubblico. Dal punto di vista economico, le ristrutturazioni generano due tipi di benefici: uno per il proprietario (bolletta energetica più bassa), l’altro per la collettività (riduzione delle emissioni). Ha senso che lo Stato finanzi solo il costo del secondo tipo di beneficio (l’esternalità positiva). Bene, quindi, un contributo pubblico, ma solo parziale. Una misura come quella del vecchio Ecobonus (65 per cento), pur già molto generosa, sarebbe più accettabile. In ogni caso, il volume delle risorse necessarie rende chiaro come, nell’ottica di una effettiva transizione ecologica, sarebbe fondamentale mobilitare anche il risparmio privato. A questo obiettivo, potrebbe contribuire anche la regolamentazione. Un esempio è lo schema facciate in Francia: a Parigi, i proprietari devono rinnovare le facciate ogni dieci anni, con una detrazione immediata del 30 per cento delle spese per l’efficienza energetica (se non lo fanno, i lavori vengono svolti dalla municipalità, che dovrà poi essere rimborsata).
Una seconda motivazione è il sostegno al settore dell’edilizia, cui spesso nel dibattito pubblico si accompagna la questione dell’emersione del sommerso. L’impressione è che misure come questa possano, piuttosto, danneggiare il settore favorendo l’ingresso nel mercato di imprese inefficienti. Più in generale, il sostegno attraverso agevolazioni fiscali alle costruzioni è una costante ormai dal 1998 (quando fu introdotta una detrazione temporanea del 41 per cento per le ristrutturazioni). Un sostegno permanente droga il settore e ha ovvi effetti distorsivi (Perché questo settore e non altri? Anzi, rimanendo in tema di transizione ecologica, perché non un bonus 110 per cento per le auto elettriche?). Nei prossimi anni, il sostegno del bilancio pubblico alle costruzioni verrà dallo straordinario volume di investimenti in infrastrutture attivato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, rispetto al quale non è chiaro se oggi il settore sia sufficientemente attrezzato. Secondo una recente indagine di Webuild, la ex Salini-Impregilo, per permettere la realizzazione delle opere del Pnrr mancano 100 mila addetti (tra cui 70 mila operai generici). Riguardo al sommerso, basta osservare che, se si esenta totalmente dall’imposta un tipo di spesa, certamente l’emersione sarà totale, ma naturalmente il costo per il fisco sarebbe ben superiore ai benefici.
Vi è poi la questione degli effetti distributivi. Già le vecchie detrazioni avvantaggiavano in misura sproporzionata i più ricchi: oltre la metà delle detrazioni per ristrutturazioni e risparmio energetico andava al 15 per cento più ricco dei contribuenti (il top 1 per cento otteneva il 10 per cento delle risorse). È probabile che con il Superbonus la situazione peggiori. Le prime evidenze mostrano una concentrazione degli interventi nelle categorie catastali più elevate. A ciò, si aggiunge la dimensione media senza precedenti del sussidio: i 70 mila interventi realizzati finora hanno un costo medio di 574 mila euro per i condomini e oltre 100 mila euro per gli edifici unifamiliari (cifre in progressivo aumento nelle rilevazioni mensili). Nei rapporti mensili dell’Enea compare anche un castello in Piemonte, beneficiario di un sussidio di oltre un milione di euro. Insomma, come vincere una lotteria.
Nel 2019, prima dell’introduzione dei sussidi più generosi (Ecobonus 110 e Facciate 90 per cento), il fisco restituiva ai proprietari di immobili con le detrazioni per ristrutturazioni e risparmio energetico quasi metà del gettito di Imu e Tasi (che vale circa 20 miliardi). È plausibile che con i nuovi schemi la restituzione diventerà completa. Difficile resistere alla tentazione di ricordare come, contemporaneamente, parlare di revisione del catasto sia un tabù.
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