Una generazione si costituisce parte civile (di Flora Frate)

La mia generazione, scriveva Giorgio Gaber, ha perso. La nostra no, perché non ci hanno fatto nemmeno tentare. La nostra generazione è negata, nascosta, omessa. Costretta a tacere, relegata in un angolo, soffocata. Negli ultimi quindici anni, la società ha subito stravolgimenti radicali. Ci hanno raccontato la “lieta novella” che più mercato e più flessibilità fossero opportunità di un futuro glorioso. Ci hanno costretto a credere, nostro malgrado, che precarizzare il mondo del lavoro fosse non solo ineluttabile, ma soprattutto un’opportunità che avrebbe prodotto “più lavoro per tutti”, andando a sostituire la rigidità del posto fisso con la dinamicità del mercato. Uno scambio del tutto impari e totalmente al ribasso per una generazione che si vuole negare, nascondere, omettere. Basta scorrere i dati in rete e le storie di precariato saltano agli occhi in tutta la loro prepotenza: agenzie interinali, una paga da fame, turni sempre più massacranti. Nel bel Paese della legge 30 (quella stessa legge che avrebbe dovuto garantire gli ammortizzatori sociali), l’unica traccia narrativa è quella dell’umiliazione e della solitudine sociale. In un Call Center non ci si può fidanzare, pena il licenziamento in tronco. Ci si distrae e si abbassa la produttività.

Eccola la nostra generazione, repressa e costretta a vivere in una dimensione approssimativa tra ricatti e certezze mancate. Una generazione che campa grazie ad un unico ammortizzatore, le nostre famiglie: padri e madri che hanno conosciuto una mobilità sociale inversa alla nostra, di crescita e consolidamento. Noi venti/trentenni abbiamo una mobilità capovolta, verso il basso, tendente all’esclusione e all’emarginazione. E non c’è da sorprendersi se è alta, e continua a crescere sempre più, la nostra disillusione nei confronti dei partiti e delle Istituzioni.

Sentiamo la politica come un corpo estraneo ed invasivo, piuttosto che come uno strumento di indirizzo della collettività. La politica di chi ha sbagliato e rubato, ricade sulla nostra instabile generazione: ci fanno pagare un prezzo altissimo per i loro errori e i loro sprechi.

Ci chiedono di risanare questo Paese sulle nostre spalle, stringendoci sempre più in un limbo di non-esistenza. Sempre più negati, sempre più nascosti, sempre più omessi. E oltre il danno, anche la beffa. Non solo relegati ma anche offesi; bamboccioni e sfigati è il modo in cui la nostra generazione viene rappresentata dai Signori del Governo, di ieri e di oggi. Siamo descritti come “mammoni” da persone che parlano di ciò che non conoscono, che si ergono su santuari di arroganza non avendo alcuna consapevolezza degli argomenti in questione. Perché non si dice, ad esempio, che la trasformazione del sistema universitario ha generato un enorme esamificio incapace di formare la futura classe dirigente di questo paese?! Perché non si dice, ancora, che la laurea triennale è stata una clamorosa truffa generazionale, di migliaia di giovani che prima si sono visti scartati a vantaggio di chi era laureato col Vecchio Ordinamento e poi nuovamente buttati via perché il mercato esigeva laureati con la Magistrale?! Perché ci si dimentica di dire che siamo schiavi all’interno di un meccanismo infinito di tirocini, il cui requisito d’ammissione – paradossalmente – è già di per sé un’alta qualità formativa?! Perché nessuno ricorda che a lasciare questo paese sono menti valide, di studiosi e ricercatori che qui non trovano alcuna prospettiva?! Come mai nessuno denuncia che a soffrire maggiormente del precariato sono le giovani donne, che ai colloqui si sentono chiedere se hanno intenzione di fare famiglia?!

È sempre più forte lo scollamento tra la realtà e ciò che si vuole rappresentare. A cominciare dai partiti, dove la nostra presenza la si vuole sempre più testimoniale e mai intesa come una reale risorsa. Dobbiamo tacere e non contraddire il capobastone di componente, pena l’esclusione totale. Partiti balcanizzati da logiche personalistiche, contro le quali le nuove generazioni si scontrano pesantemente. Il successo del Movimento 5 Stelle ci racconta questo: Grillo a parte, esiste una generazione capace di organizzarsi facendo emergere tutto il proprio malessere.

Ed è esattamente questo che dobbiamo fare, rompere il compromesso del silenzio e della mortificazione. Ai partiti che vorrebbero sublimare la questione all’insegna di un presunto patto generazionale, noi vogliamo rivendicare che negli ultimi quindici anni siamo stati vittime di una pesante truffa generazionale. Il precariato è un vestito tagliato su misura, un’imposizione categoriale che vogliamo rifiutare. Il precariato è stato costruito per svilire il nostro potenziale, per crocifiggerci all’esistente mortificando il nostro futuro. Un futuro che non vogliamo suicidare.  Contro questa truffa la nostra generazione si costituirà parte civile contro lo Stato. Ci presenteremo come parte lesa, come soggetti pesantemente danneggiati da scelte politiche che hanno messo un’ipoteca sui nostri sogni e sul nostro talento. Non vogliamo stare fermi a guardare. E vogliamo che tutto questo parta da Napoli, da quel Sud che si vuole rappresentare come una zavorra, come peso inutile di un’Italia che altrimenti prenderebbe il volo. Da qui, dal nostro Sud, muoveremo la nostra denuncia. Presenteremo un regolare esposto contro lo Stato, un gesto che va ben oltre il simbolico.

Siamo stanchi di essere negati, nascosti, omessi. Siamo vittime di una truffa e in quanto tale ci costituiremo parte lesa. La nostra generazione deve osare.

Flora Frate (tratto dal gruppo Facebook “Generazione parte civile”)

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