Una regia nazionale per la lotta agli sprechi in sanità
Un interessante articolo di Nino Cartabellotta sul Sole 24 ORE Sanità fa il punto sulla questione dei tagli alle spese regionali inseriti nella legge di stabilità. Di fronte allo scontro tra governo e regioni l’autore si domanda se la politica intenda realmente tutelare la salute dei cittadini italiani, secondo quanto previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Il rischio, infatti, è che nello scontro istituzionale in corso la politica finisca per contribuire all’affossamento del nostro modello di Sanità pubblica.
Si sa che in ballo c’è la lotta agli sprechi che esistono e sono fatti di molte componenti: sovra utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate; frodi e abusi; tecnologie sanitarie acquistati a costi eccessivi; sotto utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie efficaci e appropriate; complessità amministrative; inadeguato coordinamento dell’assistenza tra vari setting di cura.
Il fatto è che, ricorda Cartabellotta, ciascuna delle categorie di sprechi può essere arginata solo condividendo gli obiettivi tra Stato e Regioni, utilizzando metodi e strumenti efficaci e coinvolgendo attivamente aziende sanitarie e professionisti. Occorre, quindi, una regia nazionale, senza la quale la spending review “interna” non sarà facilmente attuabile dalle Regioni, in particolare da quelle che sommano: inadempimenti dei Lea, conto economico negativo, aumento delle imposte regionali e mobilità sanitaria passiva.
La realtà è che ci sono “Regioni avvezze a difendere strenuamente anche servizi sanitari inefficaci, inappropriati e spesso dannosi per mere logiche di consenso elettorale”.
Continua Cartabellotta “se il mantra del Patto per la salute è rinunciare a una spending review centralista, fatta prevalentemente di tagli lineari, lo Stato non può permettersi il lusso di delegare alle autonomie regionali l’identificazione degli sprechi che si annidano a tutti i livelli senza fornire chiare linee di indirizzo, perché rischia di commettere lo stesso errore del 2001, quando con la riforma del Titolo V ha “consegnato” la Sanità alle Regioni, rinunciando alle indispensabili attività di indirizzo e verifica. Oggi le conseguenze di una abdicazione dello Stato sarebbero di gran lunga più disastrose, perché non ci sono risorse in esubero per compensare ritardi, errori e furberie”.
Cartabellotta richiama anche la responsabilità e il “contributo attivo dei professionisti, “spettatori innocenti” e incapaci di qualunque reazione propositiva. Tutte le categorie professionali variamente schiacciate tra contingenti necessità di contenere i costi, irrealistiche aspettative dei cittadini e assillanti timori medico-legali, preferiscono concentrare gli sforzi nel mantenere privilegi acquisiti e/o rivendicare i propri interessi di categoria”.
La conclusione è che il SSN non ha bisogno di riforme, ma di “azioni mirate e innovazioni di rottura che richiedono volontà politica condivisa, un’adeguata (ri)programmazione sanitaria basata sulle conoscenze, un management rigenerato, una rigorosa governance dei conflitti di interesse, l’impegno collaborativo di tutti i professionisti sanitari e la riduzione delle aspettative dei cittadini nei confronti di una medicina mitica e di una sanità infallibile”.
Tratto dall’articolo pubblicato sul Sole 24 ORE sanità del 28 ottobre-3novembre 2014
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