Una repubblica parlamentare per la rinascita della Russia

Il leader del partito Russia del futuro e principale esponente dell’opposizione a Putin Alexei Navalny è riuscito a far avere un suo scritto al Washington Post che lo ha pubblicato in questi giorni. È un documento di eccezionale lucidità che merita di essere diffuso. Ne riproduciamo ampi brani tratti dal testo pubblicato su La Stampa il 2 ottobre.  

Come dovrebbe concludersi la guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina? Se prendiamo in considerazione le reazioni più importanti dei leader occidentali la conclusione è una: la Russia non deve vincere. L’Ucraina deve rimanere uno stato democratico indipendente.

Giusto, ma la strategia dovrebbe essere quella di garantire che la Russia e il suo governo non vogliano mai più scatenare guerre e trovarle avvincenti. Al momento la spinta ad aggredire proviene da una minoranza della società russa.

Dal mio punto di vista il problema è che si sta ignorando una domanda cruciale: come sarà la Russia dopo? Dov’è la garanzia che il mondo non si ritroverà a dover far fronte a un regime ancora più aggressivo? Afflitto dal rancore, da idee imperialistiche, con un’economia fortemente colpita dalle sanzioni ma pur sempre grande in uno stato di mobilitazione militare permanente e con armi nucleari che garantiscono l’impunità per ogni tipo di provocazione e avventurismo internazionale?

È facilmente prevedibile che, anche nel caso di una penosa sconfitta militare, Putin dichiarerà di aver perso, non contro l’Ucraina, ma contro l’Occidente intero e la NATO. Assisteremo, quindi, a un nuovo ciclo di guerre ibride e provocazioni che potranno degenerare in altre guerre. Per scongiurare ciò la questione della Russia post bellica dovrebbe diventare il tema centrale. È indispensabile, quindi, comprendere molte realtà della Russia di oggi.

Primo: l’invidia per l’Ucraina e i suoi probabili successi sono una caratteristica innata del potere post socialista russo. Dall’inizio del regime putiniano e soprattutto dopo la rivoluzione arancione del 2004, l’odio per la scelta filo europea dell’Ucraina e il desiderio di vederla diventare uno Stato fallito sono diventati un’ossessione non soltanto per Putin, ma anche per tutti i politici della sua generazione.

Secondo: credere che la guerra non sia una catastrofe, bensì un mezzo avvincente per risolvere i problemi. Non è una filosofia condivisa soltanto dai pezzi grossi di Putin, ma una prassi confermata dalla vita e dall’evoluzione. A partire dalla seconda guerra cecena che ha reso il semi sconosciuto Putin il politico più popolare del paese, con la guerra in Georgia, l’annessione della Crimea, la guerra nel Donbass e in Siria. L’élite russa degli ultimi 23 anni ha appreso una regola: la guerra non costa poi molto, risolve tutti i problemi di politica interna, porta alle stelle l’approvazione dell’opinione pubblica, non danneggia l’economia, più di tanto e, ancor più importante, i vincitori non sono chiamati a rispondere del loro operato. Prima o poi uno dei leader occidentali che si avvicendano di continuo verrà da noi a negoziare. Non importa quali motivi lo spingeranno a farlo, ma se dimostri perseveranza e determinazione l’Occidente alla fine verrà a fare la pace.

Terzo: ne consegue che sperare nella sostituzione di Putin con qualche altro membro della sua élite in grado di cambiare queste opinioni sulla guerra è a dir poco ingenuo. Le élite sanno per esperienza, che la guerra funziona meglio di qualsiasi altra cosa.

Quarto: la buona notizia è che l’ossessione, la sete di sangue nei confronti dell’Ucraina non sono diffuse al di là dell’elite al potere, a prescindere dalle bugie che possono raccontare i sociologi filo governativi.

La guerra ha fatto salire il tasso di approvazione di Putin, mobilitando al massimo la parte della società fissata con l’impero. Gli aggressivi imperialisti non predominano, non formano una solida maggioranza di elettori e perfino loro hanno bisogno del martellio continuo della propaganda per continuare a pensarla così. Altrimenti Putin non avrebbe avuto bisogno di chiamare operazione speciale la guerra e di sbattere in galera tutti coloro che usano il termine guerra. Non avrebbe temuto di mandare coscritti al fronte e non sarebbe stato costretto a cercare soldati nelle carceri.

Possiamo affermare con relativa certezza che la maggior parte dei residenti delle città più importanti come Mosca e San Pietroburgo, e dei giovani elettori è critica nei confronti della guerra e dell’isteria imperialistica. Le atroci sofferenze degli ucraini e l’assassinio brutale di persone innocenti stanno lasciando il segno nell’anima di questi elettori.

Premesso ciò, possiamo dunque affermare che la guerra in Ucraina è stata voluta e iniziata da Putin, ma il vero partito bellicista è l’intera élite e il sistema del potere stesso che continua ad auto riprodurre senza soluzione di continuità il dispotismo russo di stampo imperialista. Il suo modo di agire preferito è l’aggressione esterna sotto qualsiasi forma. Questo autoritarismo imperiale autogenerato è la vera maledizione della Russia ed è la causa di tutti i suoi problemi. Non possiamo liberarcene malgrado le opportunità offerte dalla storia.

Nei 31 anni trascorsi dal crollo dell’URSS abbiamo assistito a uno schema molto evidente. I paesi che hanno scelto il modello della repubblica parlamentare (gli stati baltici) stanno prosperando e si sono felicemente integrati all’Europa. I paesi che hanno scelto il modello presidenziale parlamentare (Ucraina, Moldavia, Georgia) stanno vivendo instabilità continua e hanno fatto scarsi progressi. I paesi che hanno scelto un forte potere presidenziale (Russia, Bielorussia, Repubbliche dell’Asia centrale) si sono arresi ad un autoritarismo rigido, sono impegnati in permanenza in conflitti militari con i paesi confinanti e sognano di avere un giorno un loro piccolo impero.

 

In sintesi, una vittoria strategica comporterebbe di portare la Russia a questa cruciale svolta storica e permettere al popolo russo di fare la scelta giusta. Il modello futuro per la Russia non è quello di una forte potenza, ma è fatto di armonia, consenso e considerazione degli interessi della società tutta. La Russia ha bisogno di una repubblica parlamentare, questo è l’unico modo per spezzare questo ciclo senza fine di autoritarismo imperiale.

Si potrebbe sostenere che una Repubblica parlamentare non sia una panacea. Dopotutto chi è in grado di evitare che Putin o un suo successore vinca le elezioni assumendo così il pieno controllo ?

Ciò nonostante, io credo che questa cura ci offra vantaggi sostanziali: una drastica riduzione del potere nelle mani di un’unica persona, la formazione di un governo da parte di una maggioranza parlamentare, un sistema giudiziario indipendente, un aumento significativo dei poteri delle autorità locali. Tutte queste istituzioni non sono mai esistite in Russia e ne abbiamo un bisogno disperato.

Per quanto riguarda il possibile controllo del Parlamento da parte del partito di Putin sarà irrealizzabile una volta che all’opposizione sarà permesso votare. In Russia oggi troppe persone sono interessate a una vita normale non alla fantomatica conquista di nuovi territori. E di persone così ce ne sono sempre di più, hanno dopo anno, ma al momento non hanno nessuno per cui votare.

Cambiare il regime e scegliere la strada per lo sviluppo non sono questioni che riguardano l’Occidente, ma spettano ai cittadini russi. Nondimeno l’Occidente dovrebbe chiarire meglio la sua visione strategica di Russia come democrazia parlamentare. Non dobbiamo ripetere l’errore commesso con il cinico approccio occidentale degli anni 90 quando, in sostanza, all’élite post sovietica fu detto “Fate pure quel che vi pare lì, basta che teniate chiuse a chiave le armi nucleari e ci riforniate di gas e petrolio”. In verità, ancora adesso sentiamo voci ciniche ripetere concetti analoghi.

Il popolo russo deve essere libero di scegliere, ha bisogno di un segnale chiaro, di una spiegazione del perché una scelta simile sia la migliore.

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