Voci nuove nel Pd: belle notizie per l’Italia (di Claudio Lombardi)
Niente auto blu, niente buffet gratis, niente mobilitazione di tv e fotorepoter, niente giacca e cravatta, niente aria condizionata, niente star della politica e del giornalismo sul palco. Solo passione per un impegno che serve a stare meglio tutti e convinzione che la realtà sta cambiando perché le persone stanno cambiando; già adesso non sono poche e presto saranno molte di più. Il “Politicamp” organizzato da Pippo Civati a Reggio Emilia lo scorso fine settimana è un albero già un po’ cresciuto, ma che, piantato al momento giusto, si svilupperà in fretta e darà i suoi frutti.
La notizia non è che Civati ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori per lanciare la sua candidatura a segretario del Pd. La notizia è che c’è una parte di militanti e sostenitori o osservatori del Pd che vuole rifondare questo partito tirandosi fuori dalle logiche di corrente e vede in Civati un rappresentante capace di realizzare questo cambiamento. Più che un leader in senso classico un “facilitatore” dei rapporti tra mondo del Pd e cittadini e, prima ancora, di quelli tra base di iscritti ed elettori e vertici.
In effetti se si trattasse solo di un ennesimo posizionamento in vista del congresso non varrebbe la pena nemmeno parlarne (se non in maniera critica). E invece si tratta dell’emergere di una spinta di base molto forte che ha già assunto molte forme (Occupy Pd e tanti altri) a rimettere il baricentro del Pd sulle politiche che fanno bene all’Italia e sulla politica come funzione di cui ogni cittadino si deve sentire investito.
Che il Pd sia un problema per l’Italia è evidente a tutti. D’altra parte non è poca cosa portare sulle spalle la responsabilità di essere (quasi) l’ultimo partito rimasto in piedi dopo lo stravolgimento che i partiti hanno subito nel corso degli ultimi venti anni. Partiti personali cioè controllati o di proprietà di una sola persona, partiti macchine elettorali in combutta con i peggiori gruppi di potere e malavitosi, partiti camuffati da movimento, ma dominati da un ferreo potere arbitrario perché non sottoposto ad alcuna regola. Il campionario è vasto e registra l’emarginazione del partito “normale”, genuino, semplice; quello fondato su meccanismi democratici e sulla contendibilità delle cariche dirigenti. Certo, anche un partito così può cadere preda di gruppi di potere e di raggiri per eludere le procedure democratiche. Può accadere, ma può anche accadere che i titolari del potere di decisione, militanti ed elettori, si organizzino e rovescino i gruppi di potere. Nei partiti personali invece non è previsto né possibile perché c’è chi ha la proprietà del marchio o comanda in virtù dei suoi soldi e non può essere rovesciato.
Detto semplicemente i partiti personali o proprietari sono un cancro per la democrazia italiana perché stravolgono il sistema della rappresentanza nonché la lettera e lo spirito dell’art. 49 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) sostituendo il metodo democratico con la fedeltà personale.
Trincerarsi dietro un partito proprietario significa blindare per sempre il potere di chi conquista i partiti per conquistare lo Stato e usarlo per i suoi scopi. O di chi ha in mente modelli di governo che affidano a capi carismatici e incontrollati tutto il potere.
Ebbene bisogna dire chiaramente che queste soluzioni sono una condanna per l’Italia perché sanciscono il predominio assoluto di ristrette oligarchie che rappresentano lo stadio finale della degenerazione dei vecchi partiti di massa, quella che fu denunciata da Enrico Berlinguer nella famosa intervista ad Eugenio Scalfari nel 1981 (“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”).
Per questo ciò che sta accadendo nel e intorno al Pd interessa la democrazia italiana. Se il Pd risolve la sua crisi e rinasce dalle ceneri di un correntismo esasperato e clientelare tutta la politica italiana riceverà una carica innovativa che si spanderà in altre formazioni politiche e darà impulso alla formazione di nuove classi dirigenti.
Questa è la posta in gioco che Civati (non da solo ovviamente) ha capito benissimo. Ha chiamato l’incontro di Reggio Emilia “W la libertà” non solo e non tanto in omaggio al bel film di Roberto Andò, ma proprio perché il compito che spetta ad una nuova politica è quello di liberare l’Italia e gli italiani liberando, appunto, tutte le energie, le capacità, le competenze, i meriti, le potenzialità che sono state represse e mortificate in decenni di degenerazione oligarchica.
Diciamolo chiaramente: il Pd sotto la spinta dei suoi iscritti, elettori, simpatizzanti, critici può essere la chiave che sblocca la situazione e rimette in moto la politica e la democrazia italiane.
Claudio Lombardi
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