Voglia di partecipazione (sì, ma concretamente?) (di Claudio Lombardi)
Voglia di partecipazione. Questa è l’interpretazione più diffusa per descrivere ciò che sta accadendo fra gli italiani. Le primarie per eleggere il leader della coalizione di centro sinistra muovono milioni di persone. Le manifestazioni degli studenti e degli operai fanno scendere nelle strade decine di miglia di persone che chiedono partecipazione. Nuovi movimenti, associazioni, raggruppamenti si formano in continuazione. Partono spesso dalle lotte sociali e del territorio, altre volte si tratta di cittadini che vogliono fare qualcosa per il cambiamento e che si organizzano per partecipate. Ci sono poi i momenti apicali di questo laboratorio politico e sociale e nascono unioni come A.L.B.A. e da ultimo “Cambiare si può”.
La parola d’ordine è sempre “partecipazione”. Anche il M5S dice di esistere per far partecipare i cittadini. Una miriade di gruppi si confrontano su internet, danno vita a programmi e progettano la partecipazione alle elezioni.
Ma un limite c’è a questa spinta di massa verso la partecipazione perché non si capisce come la si possa concretamente attuare. Eleggere in tutte le assemblee elettive persone oneste? Scendere in piazza per protestare e rivendicare? Impegnarsi sui temi locali o in attività di sussidiarietà che realizzino l’interesse generale ? Sono tutti “pezzi” di partecipazione, ma manca un disegno complessivo di rifondazione partecipativa del sistema democratico.
Il ragionamento (e gli interrogativi) partono da uno schema di base che vede nel rapporto fra cittadino e Stato il primo elemento della politica. E, quindi: come può il cittadino far pesare il suo giudizio e il suo punto di vista nello spazio pubblico? Come può sentirsi responsabile delle decisioni politiche ed esercitare questa responsabilità verificandone l’attuazione? Senza questi elementi diventa difficile giudicare le scelte e le azioni politiche e istituzionali perché la questione centrale è quella del potere: come si organizza e si gestisce il potere in un sistema democratico fondato sulla partecipazione dei cittadini? E, all’interno di questa, come vive il rapporto fra cittadini e poteri pubblici? E cosa possono fare le formazioni sociali che danno vita alla partecipazione dei cittadini (associazioni, comitati e anche partiti)?
Meglio non parlarne in astratto, scendiamo su un altro terreno e prendiamo l’esempio di una piccola città, una fra le tante, Ascoli Piceno.
Il 3 dicembre scorso il Comune di Ascoli Piceno e l’Assemblea territoriale di CITTADINANZATTIVA hanno stipulato un protocollo di intesa.
Il fine dichiarato è il miglioramento delle relazioni tra cittadini e istituzioni locali avendo come punti di riferimento: la sussidiarietà; la trasparenza e la credibilità delle amministrazioni pubbliche; la partecipazione dei cittadini; la diffusione della valutazione civica; la diffusione della cultura della legalità nelle istituzioni locali e nella società civile; la prevenzione della corruzione.
Per la realizzazione di queste finalità l’accordo costituisce un impegno a valorizzare: le segnalazioni dei cittadini raccolte da Cittadinanzattiva; le sperimentazioni già fatte sui temi della sussidiarietà orizzontale, della democrazia deliberativa e della valutazione civica dei servizi; le iniziative di partecipazione civica attivate da Cittadinanzattiva.
L’impegno consiste: nel trasferimento di conoscenze sulle tematiche della prevenzione e del contrasto alla corruzione, della trasparenza e dell’etica nella P. A., anche attraverso il confronto con altre esperienze europee e internazionali; nella collaborazione per una maggiore conoscenza della corruzione e di altre forme di illecito presenti nella Pubblica Amministrazione, nonché sul loro impatto nel Paese, sulla vita dei cittadini e sulla libertà delle attività economiche; nella promozione della cittadinanza attiva e della sussidiarietà orizzontale, anche con la collaborazione di altre organizzazioni civiche e con il coinvolgimento dei pubblici dipendenti, attraverso azioni di formazione, sensibilizzazione e di animazione culturale sul territorio; nella sperimentazione nel campo della valutazione civica dei servizi pubblici locali; nella promozione di iniziative di informazione e confronto sulla trasparenza dei bilanci comunali e sulle modalità di rendicontazione ai cittadini dell’operato delle amministrazioni pubbliche.
Al centro quindi c’è lo sviluppo della capacità dei cittadini di monitorare la qualità del governo locale e la messa in atto di pratiche per la trasparenza, a partire dai temi più vicini al vissuto quotidiano (servizi sociali e educativi, verde pubblico, sicurezza, trasporti e igiene urbana, funzionamento degli uffici comunali, accessibilità alle informazioni e partecipazione civica).
Infine il protocollo dura per due anni ed è rinnovato automaticamente potendo, quindi diventare una modalità strutturale di partecipazione al governo locale.
Chi è riuscito a leggere fino a qui si domanderà se questa è la partecipazione che viene richiesta a gran voce in queste settimane. La risposta è no o, almeno, non esattamente perché la partecipazione di cui parla il protocollo di intesa guarda ai tempi lunghi, mira ad una cultura civile che integri la partecipazione come modalità di base della convivenza in una comunità locale. Nel protocollo c’è (anche se non proclamato esplicitamente) un disegno strategico di ricostituzione della “rete” della democrazia. È qualcosa che va oltre i temi più conosciuti e frequentati in questa fase e per questo è più difficile coglierne il valore.
Eppure è questa l’unica strategia che le tante forme della cittadinanza attiva possono darsi per non essere il fenomeno di una sola stagione.
Claudio Lombardi
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