Voglia di rivincita sui voucher
Caso voucher. Informazioni su cosa siano e come si utilizzino sono ormai su tanti siti e in tanti articoli di giornale. Tutti dovrebbero, quindi, sapere di che si tratta e, invece, sembra che si stia per scatenare l’ennesima lotta di reazione in nome dei soliti “sacri” principi prescindendo da una valutazione concreta dello strumento, del suo uso e del suo abuso. Quando la segretaria del maggior sindacato italiano – Susanna Camusso – in un’intervista afferma che non è possibile alcuna trattativa sui voucher che andrebbero soltanto eliminati perché “il lavoro non è una merce che si prende sullo scaffale” siamo già ad una mobilitazione prettamente ideologica che prescinde dalla realtà. Affermare che i voucher andrebbero sostituiti con gli ordinari contratti che regolano il lavoro interinale o di somministrazione, come fa nella stessa intervista la segretaria della Cgil, significa gettare sulle spalle di tanti piccoli datori di lavoro oneri burocratici che li spingono dritti dritti verso il lavoro nero. Ma forse la Camusso pensa che si favorirebbe il lavoro imponendo di rivolgersi alla consulenza di un patronato per aprire una posizione contributiva all’Inps, oppure ad un’agenzia di lavoro interinale anche per piccole prestazioni.
Comunque, poiché è in arrivo un referendum promosso dalla Cgil è meglio fare il punto sulla concretezza dello strumento voucher ripercorrendo un articolo di Alessandro De Nicola pubblicato nei giorni scorsi (Repubblica del 29 dicembre).
“Come funzionano i buoni? Le norme sul lavoro accessorio sono miracolosamente semplici per un ordinamento giuridico votato alla complicazione come il nostro. I soggetti che possono usufruire dei buoni-lavoro sono pensionati, disoccupati, lavoratori part-time, studenti nei periodi di vacanza, percettori di prestazioni integrative del salario (ad esempio cassintegrati o titolari di indennità Aspi). Ogni voucher ha il valore di 10 euro lordi di cui 7,5 netti (il compenso minimo orario) per il lavoratore e altri 2,5 per i contributi Inps e Inail. Le prestazioni sono solo a favore direttamente del committente e quindi non si può adoperare questa forma di lavoro ad esempio negli appalti. Inoltre, salvo alcune regole ad hoc nel settore agricolo e per i cassintegrati, nessun individuo può superare il tetto di 2.000 euro netti annui per datore di lavoro (per evitare che il voucher rimpiazzi ingiustificatamente il lavoro dipendente) e i 7.000 euro complessivi. Infine, il committente ha l’obbligo di comunicare l’inizio della prestazione all’Inps (la famosa “tracciabilità“) e il non superamento del tetto di ore da parte del prestatore a pena di sanzioni abbastanza severe. (…)
Il voucher, per la sua semplicità e bassa imposizione contributiva, consente di ridurre il lavoro nero, nel contempo permettendo ai pensionati di arrotondare la pensione e continuare a sentirsi attivi e ai giovani di fare prime esperienze, formarsi un curriculum che altrimenti rimarrebbe vuoto, costruire una posizione previdenziale e ovviamente raggranellare qualche soldo. Per percettori di misure integrative del reddito e lavoratori part-time i vantaggi sono auto-evidenti. Come sempre, più libertà di scelta porta maggiore efficienza e soddisfazione.
D’altronde, quello che viene visto come un atto di accusa, ossia l’incremento esponenziale dell’utilizzo dei buoni, saliti a 121 milioni a fine ottobre di quest’anno contro gli 88 milioni dell’intero 2015, in realtà è un indice di successo dello strumento. L’accusa di aumento del “precariato” è senza senso.
In primis perché se l’alternativa è l’inattività o il lavoro nero è evidente che il voucher è un’opzione migliore. In secondo luogo perché anche gli strali sulla presunta sostituzione del lavoro dipendente con il buono sono insensati. Innanzi tutto da un punto di vista teorico: con un tetto massimo di 2.000 euro netti per datore di lavoro è facile capire che non si stipendierebbe nemmeno il periodo di prova di tre mesi di un dipendente.
Ma anche da un punto di vista empirico l’antifona non cambia: negli ultimi due anni i lavoratori dipendenti sia a tempo determinato che indeterminato sono aumentati, sono diminuiti i co.co.co e cresciuti gli apprendisti. La media annua di coloro che sono pagati col voucher nel 2015 corrispondeva all’1,3% degli occupati italiani. Anche se nel 2016 arrivassimo all’1,6-1,7%, non sembra un fenomeno di proporzioni drammatiche. Gli utilizzatori ne adoperano in media 60-70 l’anno e solo il 2,2% (dati 2015) ha riscosso più di 300 voucher (pari a meno di 40 giornate lavorative): quale posto fisso si andrebbe a rimpiazzare? Inoltre, il 77% degli utilizzatori sono studenti, pensionati, percettori di ammortizzatori sociali, lavoratori part-time o autonomi (quindi incompatibili con un lavoro dipendente) e solo il 10% del totale risulta avere avuto un rapporto di lavoro con lo stesso datore nei sei mesi precedenti: ancora una volta, dove si annida la temuta “sostituzione surrettizia”?
Si dice: «In alcuni casi pagano 5 voucher e ti fanno lavorare 10 ore». Si tratta di un abuso che potrebbe essere anche assoluto (tutto lavoro nero) o esercitato per altre forme di lavoro (risulti part-time ma in effetti lavori di più, oppure non vengono pagati gli straordinari); gli illeciti non sono certo una creazione dei buoni che, anzi, riducono l’area di illegalità.”
Insomma, c’è in giro una gran voglia di rivincita, ma se la si cerca nel ritorno ad un passato pensato come mitico si potrà anche vincere un referendum, ma l’Italia continuerà a galleggiare lentamente sprofondando
Claudio Lombardi
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