Voto: antipolitica o voglia di politica utile?

Il voto del 20 settembre è stato un caso speciale. Due in uno: per il referendum sul taglio dei parlamentari e per regioni e comuni. Rifletterci come se si fosse trattato di un confronto tra opzioni politiche ben definite – centrodestra e centrosinistra – sarebbe fuorviante. Ma anche esaminare i due voti come se fossero stati nettamente separati tra di loro lo sarebbe. La stessa persona mentre metteva una croce sul SI’ o sul NO per il taglio dei parlamentari indicava su un’altra scheda il presidente della regione o il sindaco che voleva fosse eletto. Se c’è stato il 70% di SI’ e, contemporaneamente, percentuali elevatissime di consenso per Zaia, per Toti, per De Luca e, comunque, elevate per Emiliano, per Acquaroli, per Giani. Se a questi voti aggiungiamo quelli presi dagli altri candidati a tutto possiamo pensare tranne che all’antipolitica e alla protesta contro la “casta” dei politici.

Il senso del doppio voto e dei suoi risultati non può che essere uno: la politica viene riconosciuta se è utile. Cosa fa un presidente di regione o un sindaco si sa. O, meglio, quest’anno i presidenti di regione sono stati un punto di riferimento importantissimo per i cittadini. E il voto riflette questa consapevolezza, esprime un bisogno di stabilità, di autorevolezza e di identità. Le regioni esistono da cinquanta anni, ma il 2020 ha condensato in pochi mesi l’esperienza di anni. Bisogna riconoscere che l’autonomia regionale ha conquistato nuove posizioni ed è andata ben oltre le regioni del nord a guida leghista. L’autonomia riflette sia il bisogno di identità (nell’incertezza di quella nazionale intanto si assume quella regionale che appare molto più concreta) che quello di avvicinare i livelli istituzionali ai bisogni dei cittadini. Nei mesi della pandemia spesso i “governatori” delle regioni si sono contrapposti al governo nazionale e sono emersi agli occhi dell’opinione pubblica come i loro più immediati rappresentanti superando per autorevolezza e poteri quelli dei sindaci. Con in più l’elemento unificante della dimensione regionale. Nel prossimo futuro questa spinta all’identità regionale (che non esisteva in origine, ma che adesso è realtà) e all’autonomia sarà un problema serio per i governi nazionali. Recitare il federalismo nella realtà delle regioni italiane rischia di portare ad instabilità e conflitti.

I presidenti delle regioni hanno portato al voto il loro prestigio e il potere personale che hanno saputo costruire in anni di governo. Indipendentemente dall’appartenenza ad uno schieramento politico. Emiliano, Zaia, Toti non possono essere considerati come espressione di un partito. Anzi, probabilmente, le parti si sono già invertite e sono i partiti a dover tenere conto del peso politico reale che i presidenti hanno acquisito. Sono considerazioni che valgono per i rieletti, ma che, in parte, valgono anche per i neo eletti. In fondo il fallimento del tentativo di Salvini di imporre candidate calate dall’alto in Emilia Romagna e in Toscana ha anche questo significato. Gli elettori danno fiducia a chi conoscono e che appare più affidabile piuttosto che a persone che, come nel caso delle due candidate in Emilia e in Toscana, appaiono proiezioni di un leader nazionale e, perdipiù, annunciano da subito il loro sganciamento dalla regione in caso di sconfitta.

Se si considera l’espressione del voto come un’unica manifestazione di volontà e se, dunque, si scarta la tesi dell’antipolitica come motivazione principale del SI’, emerge un serio problema del Parlamento: i cittadini sanno a cosa serve? E il lavoro che svolge è all’altezza delle necessità attuali? Se l’immagine che passa è quella delle aule parlamentari poco frequentate. Se i parlamentari sono chiamati a schiacciare un bottone ogni tanto per esprimere il loro voto su provvedimenti decisi in altre sedi. Se il potere di decidere le norme ricade quasi interamente nel perimetro del governo (decreti-legge e Dpcm più ordinanze come è stato chiaro in questo 2020). Se il Parlamento assume un ruolo di ratifica spinto sia dalla disciplina di gruppo, sia dai voti di fiducia. Se l’attuazione delle leggi è competenza esclusiva dei ministeri. Se tutto ciò è vero è ovvio che al cittadino sfugga l’utilità della rappresentanza parlamentare. Non si tratta solo di scandali, ma di un rapporto logico tra spese e risultati.

Il Parlamento ha dunque un problema di credibilità e di concretezza. Non si tratta di azzeccare una legge elettorale che dia il massimo di rappresentanza a tutte le istanze e, contemporaneamente, indicare una maggioranza di governo. Il problema del Parlamento è nel lavoro concreto che svolge e nel modo in cui viene conosciuto e percepito dai cittadini. Il nodo è sempre quello del bicameralismo che è diventato un peso inutile ed è quello delle nuove funzioni che il Parlamento dovrebbe assumere. Normative europee, regioni, pubblica amministrazione e attuazione delle leggi. Questi sono i riferimenti di una nuova funzione parlamentare che vada oltre l’approvazione delle leggi. Così come non si governa solo con le leggi, non si rappresenta la volontà degli elettori soltanto dando ad ogni tendenza il suo rappresentante. Bisogna trovargli un lavoro che sia utile, concreto, riconoscibile e autorevole.

Bisogna sforzarsi di superare gli schemi del passato e capire cosa si muove sotto la superficie. Finora ci siamo accontentati di spiegazioni semplici come il populismo e l’antipolitica. Sono ancora valide, ma forse c’è di più e forse è il momento di andare oltre

Claudio Lombardi

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