Xi e Putin: la Russia vassalla della Cina

Un estratto dall’articolo di Eleonora Zocca pubblicato su www.valigiablu.it

Dopo la vittoria dei comunisti nel 1949 contro le forze nazionaliste guidate da Chiang Kai-shek, la Cina aveva un gran bisogno di supporto economico e militare e il paese più vicino disposto a dare una mano alla Repubblica Popolare Cinese poteva essere solo l’Unione Sovietica di Stalin. Fatto da parte l’orgoglio, Mao si recò a Mosca nel suo primo viaggio al di fuori dei confini nazionali dove venne accolto alla stazione da un gruppo di ufficiali sovietici di seconda fascia che non lo portarono, però, subito al Cremlino. Il rivoluzionario Mao venne accompagnato in una dacia a duecento chilometri dalla città, dove dovette aspettare una settimana prima di essere ricevuto da Stalin. A fargli compagnia, nel malumore di quei giorni, c’era solo un tavolo da ping pong all’esterno della dacia, per di più rotto. La lunga attesa e l’assenza di qualsiasi riguardo nei confronti del leader cinese, hanno scritto in seguito gli storici, doveva servire da monito e da promemoria per Mao che qualsiasi fosse stato l’accordo stipulato tra i due paesi, la Russia sarebbe stata sempre la socia di maggioranza.

A distanza ormai di settant’anni, quell’immagine stride con la sfarzosa fanfara che ha accolto il presidente cinese Xi Jinping atterrato a Mosca lunedì per una visita ufficiale di tre giorni. Invece che in una fredda dacia, Xi ha pernottato al Soluxe hotel, un albergo a cinque stelle progettato in base ai principi del feng shui – come hanno sottolineato più volte i media russi – e che sorge all’interno di un parco ricco di alberi e piante provenienti da tutta la Cina in stile Città Proibita. Le finestre si affacciano sull’Esposizione delle conquiste dell’economia nazionale (VDNCh), una vasta fiera che l’Unione Sovietica decise di costruire nel 1935 per celebrare i risultati ottenuti dai contadini nelle fattorie collettive. L’esperto di relazioni Cina-Russia, Joseph Torigian, ha ritrovato una vecchia foto scattata nel 1959 che ritrae Xi Zhongxun, padre di Xi Jinping, insieme ad altri compagni di partito proprio nella VDNCh.

I colloqui poi non si sono tenuti nel lungo tavolo che Putin – su cui pende un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale – ha riservato ai delegati delle potenze occidentali, il presidente russo piuttosto ha organizzato una cerimonia “imperiale” nella Grande sala del Cremlino dove i due presidenti, che hanno fatto ingresso dai due lati opposti della stanza, si sono venuti incontro e si sono stretti la mano a favore di telecamere su lunghi drappi di tappeto rosso.

Insomma, Mosca ha accolto l’alleato con tutti gli onori del caso ma soprattutto ha mostrato con ancora più evidenza come ormai il rapporto tra le due potenze sia completamente squilibrato a favore di Pechino. Per utilizzare un’espressione coniata dall’analista Alexander Gabuev del Carnegie Endowment, la Russia è ormai “vassalla” della Cina.

Isolata per via delle sanzioni, accusata dalla comunità internazionale per crimini di guerra e tenuta fuori dagli eventi culturali e sportivi, la Russia, cappello in mano, si è dovuta rivolgere al gigante vicino per trovare una via verso la sopravvivenza.

“La logica degli eventi ci dice che stiamo diventando completamente una colonia cinese” – ha dichiarato una fonte vicina al Cremlino al Financial Times – “i server che utilizzeremo saranno di Huawei, e noi diventeremo i maggiori fornitori [di materie prime] della Cina. Avranno il gas dal gasdotto Power of Siberia 2 ed entro la fine dell’anno lo yuan sarà la nostra valuta principale per il commercio”.

Già nell’analisi dello scorso agosto per Foreign Affairs, Gabuev scriveva che per tenere buoni rapporti con Pechino, il Cremlino non avrebbe avuto altra scelta che accettare condizioni sfavorevoli in qualsiasi tipo di accordo commerciale, sostenere le posizioni cinesi nelle sedi internazionali come quella delle Nazioni Unite e persino ridimensionare i rapporti con paesi quali l’India e il Vietnam. La dipendenza di Mosca dalla Cina sta trasformando la Russia in una risorsa straordinaria e un utile strumento da utilizzare nella competizione con gli Stati Uniti, mentre l’anziana élite del Cremlino, miopemente concentrata su Washington, sarà sempre più disposta a ricoprire un ruolo ancillare nel rapporto con Pechino.

E in effetti Xi Jinping, nei tre giorni a Mosca, ha portato a casa un ricco bottino. Russia e Cina hanno stretto diversi accordi sia sul piano commerciale che energetico: “Il Power of Siberia 2, che passerà per la Mongolia – ha dichiarato Putin – fornirà alla Cina, entro il 2030, almeno 98 miliardi di metri cubi di gas in aggiunta alle 100 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto”. Anche se, fa notare Sergey Radchenko, nella lista diffusa dal Cremlino dei quattordici accordi e memorandum firmati congiuntamente, non compare nessun riferimento al Power of Siberia 2. Probabilmente i funzionari cinesi stanno ancora contrattando per il prezzo, sapendo di poter strappare condizioni più favorevoli.

Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’Europa ha ridotto drasticamente le importazioni di gas e petrolio russo. La Cina, insieme all’India, ha di fatto sostituito la fetta di mercato europeo diventando la principale acquirente di combustibili fossili dalla Russia.

Xi e Putin si sono accordati anche per l’avvio di un’operazione congiunta per lo sviluppo della rotta del mare del nord, nell’Artico, un’area geografica a cui Pechino puntava già da qualche anno. Come scrive Lorenzo Lamperti su Il Manifesto, Mosca apre sempre di più le porte alla proiezione cinese nelle sue tradizionali aree di influenza, dopo aver lasciato campo libero in Asia Centrale.

Sul piano finanziario, un altro obiettivo raggiunto da Xi è quello dell’utilizzo da parte di Mosca dello yuan cinese per gli scambi commerciali con gli altri paesi dell’Asia, in America Latina e in Africa. Una mossa che rafforzerà maggiormente la valuta cinese a scapito del rublo russo.

Quella tra Russia e Cina, però, non è più “un’amicizia senza limiti” come era stata definita il 4 febbraio di appena un anno fa in occasione dell’inaugurazione dei giochi olimpici invernali a Pechino. La definizione, infatti, non si legge più nell’articolo di Xi Jinping pubblicato sulla stampa russa a differenza di Putin che la richiama nel suo intervento sulla stampa cinese. La formula scelta per il partenariato strategico e per i legami bilaterali sempre più profondi è l’inizio di una “nuova era”.

Il presidente cinese si è anche esposto augurando a Putin un nuovo mandato presidenziale. Xi Jinping ha quindi lanciato la campagna per la rielezione di Putin auspicando una riconferma del presidente affinché non ci sia nessun cambio alla guida del Cremlino. Un nuovo regime pro-Occidente sarebbe un incubo strategico per Pechino. Xi ha poi invitato il presidente russo in Cina.

Per quanto riguarda il “piano di pace” cinese presentato lo scorso mese nel giorno del primo anniversario dall’inizio della guerra in Ucraina, Putin l’ha definito un ottimo punto di partenza per la fine della guerra – e ha aggiunto – ma potrà essere portato avanti solo quando l’Occidente e Kyiv saranno pronti. Nel comunicato cinese sulla risoluzione della crisi ucraina viene sottolineato come la parte russa abbia “parlato positivamente della posizione oggettiva ed equa della Cina sulla questione ucraina”. E poi – in un capovolgimento della realtà – si legge come “le due parti ritengano che gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite debbano essere osservati e che il diritto internazionale debba essere rispettato”.

Xi vuole mantenere una posizione sopra le parti, invocando l’inviolabilità della Carta delle Nazioni Unite, scrive David Ignatius sul Washington Post, affermando allo stesso tempo il proprio sostegno al paese che ha infranto le norme della stessa Carta. Un approccio spudorato, ma una diplomazia intelligente.

Il comunicato continua con alcuni dei punti che Pechino ripete sin dall’inizio della guerra: “Per risolvere la crisi in Ucraina devono essere rispettate le legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi e deve essere evitata la formazione di scontri tra campi, gettando benzina sul fuoco”. È assente invece qualsiasi riferimento al concetto di integrità territoriale, ovvero il principio in base al quale un popolo decide liberamente il proprio sistema di governo ed è libero da ogni dominazione esterna, chiaramente violato in Ucraina e che nei documenti cinesi non è mai mancato vista la rilevanza della questione di Taiwan, isola che Pechino considera parte del proprio territorio nazionale.

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