L’Unione europea che non c’è
Dice Orban che “l’Unione europea non conta nulla”. Ha parzialmente ragione. Scrive lo storico Andrea Graziosi che “l’Unione europea non è un’unione, ma un’associazione di stati” che hanno delegato alcuni poteri, peraltro limitati dal diritto di veto che spetta ad ognuno dei 27 associati. L’essenza di questa delega riconduce ad un mercato unico regolato che, se si guarda al decennio passato, ha prodotto scelte strategiche velleitarie e declamatorie quali il green deal e una miriade di regole di dettaglio, ma non le politiche industriali per tendere agli ambiziosi obiettivi fissati come obblighi, scadenze e parametri. Chiamiamo “unione” un’entità priva di una sua politica estera e di difesa e quindi poco rilevante sulla scena internazionale.
Non stupisce che questa associazione di stati si esprima meglio quando si cerca la via della convergenza fuori dai trattati attraverso le cooperazioni rafforzate. L’euro ne è stato il massimo esempio e oggi potrebbe esserlo la cooperazione dei “volenterosi” sul sostegno all’Ucraina e sulla difesa. L’Unione può metterci un po’ di debito comune o di allargamento dei deficit, ma non più di questo perché far andare d’accordo tutti non è possibile. Tanta retorica sul federalismo europeo ha nascosto per troppi anni lo stallo nel quale l’Europa si è crogiolata facendo finta di non vedere i limiti della sua costruzione. Purtroppo è tardi. Tutto richiede tempo e il rischio è che Francia e Germania cadano nelle mani dei partiti filorussi. Bisognava svegliarsi molto prima
27 ottobre 2025


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