Non sono consentiti errori

Brani del discorso del Capo dello Stato alla conferenza degli ambasciatori d’Italia pronunciato il 15 dicembre 2025

La situazione internazionale imprevedibile – e, per qualche aspetto, sorprendente – provoca disorientamento.

L’inquietudine del pessimismo che ne deriva non deve indurre a ritenere ineluttabile il processo che vede l’ordine geopolitico che avevamo contribuito a costruire mostrare crepe sempre più estese e profonde, con conflitti che credevamo consegnati per sempre alla storia riacutizzati, lambendo regioni a noi vicine.

Così come l’affacciarsi di nuovi focolai di instabilità in aree dove la fragilità politica e sociale è divenuta ormai strutturale, con l’emergere di paradigmi che vedono prevalere interessi particolari che, sovente, sfidano la legalità internazionale.

Nel contesto attuale è possibile essere protagonisti puntando su due ambiti, quello multilaterale e quello degli organismi sovranazionali, come l’Unione Europea, che possono consentire di raggiungere la massa critica necessaria per evitare di ricadere in ambizioni velleitarie.

Il mondo contemporaneo è attraversato da molteplici crisi che si sovrappongono l’un l’altra e si alimentano a vicenda. (…)

Permane l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, con vittime e immani distruzioni, e con l’aberrante intendimento, malgrado gli sforzi negoziali in atto, di infrangere il principio del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa. Azione ritenuta irresponsabile e inammissibile già oltre cinquanta anni addietro alla Conferenza di Helsinki sulla Cooperazione e la Sicurezza nel continente.

La tragedia di Gaza, con il suo carico di sofferenza civile e il persistente alto rischio di escalation, continua a esporre il Medio Oriente a nuove lacerazioni: il raggiungimento del cessate-il-fuoco, per quanto fragile, richiede il fermo sostegno di tutta la Comunità internazionale.

Nel Sahel e nel Corno d’Africa le instabilità politiche e i conflitti settari si sommano alle crisi ambientali, alla povertà estrema, alle migrazioni forzate.

Nelle zone più sensibili dell’Asia orientale la competizione tra potenze si traduce in un incremento delle frizioni e, talvolta, in un incremento di una pericolosa retorica bellicista.

Tensioni si vanno accentuando anche in America Latina e nei Caraibi, da ultimo con il riaffacciarsi di una sorta di riedizione della cosiddetta “dottrina” di James Monroe, la cui presidenza si è conclusa esattamente due secoli fa.

Ovunque, le conseguenze di fenomeni globali, dal cambiamento climatico alle disuguaglianze economiche, alle crisi energetiche, si sommano al riaffiorare di radicalismi ed estremismi che rendono, talvolta, difficili le pacifiche convivenze negli stessi Stati e fra gli Stati.

Una condizione che viene alimentata da flussi informativi manipolativi che, nell’ambito di conflitti ibridi condotti con vari strumenti ostili, congiungono fronte interno e fronte esterno.

Pericolose attività di disinformazione tendono ad accreditare una presunta vulnerabilità delle opinioni pubbliche dei Paesi democratici.

Cercano di affermarsi inediti ma opachi centri di potere – di fatto sottratti alla capacità normativa e giurisdizionale degli Stati sovrani e degli organismi sovranazionali. Centri di potere dotati di vaste capacità di influenza sui cittadini e, con esse, sulle scelte politiche, tanto sul piano interno ai singoli Stati quanto su quello internazionale. (…)

La tentazione della frammentazione si insinua nelle relazioni internazionali – e persino nel mondo occidentale – con la ripresa di un metodo di ostilità che misura i rapporti internazionali su uno schema a somma zero: se qualcuno ci guadagna significa che qualcun altro ci perde.

Esattamente il contrario dello schema adoperato con successo nei decenni di sviluppo della cooperazione in sede internazionale, in cui è stato possibile puntare a progredire e a ottenere, tutti insieme, risultati positivi.

Appare, a dir poco, singolare che, mentre si affacciano, in ambito internazionale, esperienze dirette a unire Stati e a coordinarne le aspirazioni e le attività, si assista a una disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti della Unione Europea, alterando la verità e presentandola anziché come una delle esperienze storiche di successo per la democrazia e per i diritti, sviluppatasi anche con la condivisione e con l’apprezzamento dell’intero Occidente, come una organizzazione oppressiva, se non addirittura nemica della libertà.

L’Europa ha conosciuto nel Novecento l’abisso di un sistema internazionale che smarriva la via della ragione.

Le guerre del Novecento non sono soltanto un capitolo della storia, dei suoi libri: ci ammoniscono circa le conseguenze del predominio della forza sulla ragione, dell’arbitrio sulla norma, della paura sulla lungimiranza. (….)

Ottanta anni fa, la fine della Seconda guerra mondiale e la nascita delle Nazioni Unite segnarono un passaggio fondamentale: la consapevolezza che la pace non è soltanto l’assenza di conflitti, ma un’architettura politica complessa, giuridica, morale che va realizzata giorno per giorno. E che richiede impegno – impegno quotidiano – da parte degli Stati e, al loro interno, da comunità che alimentino questa prospettiva.

La «ricerca della pace nella sicurezza» – come ammoniva un illustre inquilino di questo palazzo, Aldo Moro – ponendone a fondamento non solo i calcoli strategici e gli equilibri di potenza, ma anche l’aspirazione al superamento dei divari economici ed educativi, la cooperazione, l’interdipendenza tra i popoli.

Una pace nella sicurezza, una pace nella giustizia.

Il dopoguerra suggeriva l’idea che non potesse essere l’alternanza dei cicli egemonici fra potenze – o aspiranti tali – a definire il futuro, per sfuggire alla “trappola di Tucidide” messa in luce nella teoria delle relazioni internazionali.

La nostra Repubblica, fin dalle sue origini, ha manifestato acuta consapevolezza del valore del dialogo internazionale come via privilegiata per affermare il suo ruolo nel mondo.

Questa scelta non discese soltanto da un’ispirazione riflessa nella nostra Costituzione, ma risponde, oggi come allora, a un ragionamento puntuale circa il modo migliore di tutelare i nostri interessi nazionali. (…)

L’evoluzione tecnologica degli armamenti e l’uso dell’intelligenza artificiale espongono a rischi accresciuti.

Nei domini più pericolosi, affidare ad algoritmi la decisione sulla vita e la morte segnerebbe un arretramento drammatico della sicurezza collettiva.

Penso che sia molto sottile il crinale tra l’illusione del dominio infallibile delle intelligenze artificiali e la prevalenza definitiva della stupidità naturale, che purtroppo, come noto nell’aforisma, attribuito ad Albert Einstein, può tendere all’infinito.

Il piano economico e commerciale è tutt’altro che esente da tensioni, con la diffusione di politiche e strumenti che puntano a rafforzare artificiosamente il proprio Paese a scapito degli altri. Sovraccapacità produttiva, dumping, dazi, dominio delle catene di approvvigionamento e coercizione economica, solo per citare alcune tra le distorsioni più significative, nuocciono a un mondo pacifico e interdipendente.

Se ci si propone di perseguire obiettivi di progresso la strada è soltanto quella del rafforzamento della collaborazione.

L’alternativa porta ad avvolgersi nella spirale dell’instabilità.

La posizione geografica ci pone al crocevia di aree sensibili, dal Mediterraneo all’Europa centrale, dall’Africa al Vicino Oriente.

La nostra economia è legata ai flussi globali; la nostra società è aperta al mondo; la nostra evoluzione politica ha tratto beneficio dalla costruzione europea, dalle istituzioni multilaterali, dalla cooperazione.

È evidente che è in atto un’operazione, diretta contro il campo occidentale, che vorrebbe allontanare le democrazie dai propri valori, separando i destini delle diverse nazioni.

Non è possibile distrarsi e non sono consentiti errori. (…)

L’epoca di transizione in cui ci troviamo presenta pericoli che dobbiamo saper tempestivamente riconoscere: a stagliarsi all’orizzonte c’è il rischio di un generale arretramento della civiltà.

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