Come la pensa Mattarella sulla guerra
Pubblichiamo brani dell’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa
Il Consiglio d’Europa è figlio di quella spinta al multilateralismo che caratterizzò gli anni successivi al Secondo conflitto mondiale, insieme al sistema delle Nazioni Unite. Una spinta basata su una considerazione elementare: la collaborazione riduce la contrapposizione, contrasta la conflittualità, aumentando le possibilità di composizione positiva delle vertenze.
Non fu facile imboccare la strada della riconciliazione. Così come non è stato facile giungere alla condivisione di una comune eredità; avere il coraggio di passare, nel rapporto tra gli Stati, dal diritto della forza alla forza del diritto.
Costruire una pace duratura è stato un processo lento e graduale che ha saputo evitare il rischio di una terza guerra mondiale, sfiorato con la guerra di Corea e il blocco di Berlino, e ha saputo passare, in quegli anni lontani, attraverso la regolazione della condizione dell’Austria sotto clausola di neutralità e il superamento della crisi di Cuba.
Quanto la guerra ha la pretesa di essere lampo – e non le riesce – tanto la pace è frutto del paziente e inarrestabile fluire dello spirito e della pratica di collaborazione tra i popoli, della capacità di passare dallo scontro e dalla corsa agli armamenti, al dialogo, al controllo e alla riduzione bilanciata delle armi di aggressione.
E’ una costruzione laboriosa, fatta di comportamenti e di scelte coerenti e continuative, non di un atto isolato. Il frutto di una ostinata fiducia verso l’umanità e di senso di responsabilità nei suoi confronti.
L’obiettivo hitleriano che condusse alla Seconda guerra mondiale era quello di fare della Germania la potenza prevalente con un ruolo dominante su altri popoli e altri Paesi.
Fu un disegno che coinvolse regimi di numerose altre nazioni – il Regno d’Italia fra queste – e che fu battuto dalla coscienza civile internazionale.
Ma il registro della storia ci ricorda come stabilità e pace non siano garantite una volta per sempre: ce lo testimoniano drammatiche e tristi vicende nei Balcani, nel Caucaso, nel Mar Nero.
La pace non si impone automaticamente, da sola, ma è frutto della volontà degli uomini.
Viviamo oggi, nuovamente, l’incubo – inatteso perché imprevedibile – della guerra nel nostro Continente.
Si pratica e si vorrebbe imporre l’arretramento della storia all’epoca delle politiche di potenza, della sopraffazione degli uni sugli altri, della contrapposizione di un popolo – mascherato, talvolta, sotto l’espressione “interesse nazionale” – contro un altro.
Imperialismo e neo-colonialismo non hanno più diritto di esistere nel terzo millennio, quali che siano le sembianze dietro le quali si camuffano.
Non è più il tempo di una visione tardo-ottocentesca, e poi stalinista, che immagina una gerarchia tra le nazioni a vantaggio di quella militarmente più forte. Non è più il tempo di Paesi che pretendano di dominarne altri.
Di fronte a un’Europa sconvolta dalla guerra nessun equivoco, nessuna incertezza è possibile.
La Federazione Russa, con l’atroce invasione dell’Ucraina, ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva liberamente aderito, contribuendo ad applicarle.
Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli.
Si tratta di principi che hanno saputo incarnarsi nella storia della seconda metà del ‘900 e, a maggior ragione, devono sapersi consolidare oggi.
La ferma e attiva solidarietà nei confronti del popolo ucraino e l’appello al Governo della Federazione Russa perché sappia fermarsi, ritirare le proprie truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato, è conseguenza di queste semplici considerazioni.
Alla comunità internazionale tocca un compito: ottenere il cessate il fuoco e ripartire con la costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace.
Mentre il conflitto ha ulteriormente indebolito il sistema internazionale di regole condivise – e il mondo, come conseguenza, è divenuto assai più insicuro – la via di uscita appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali.
La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca.
La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva. Dobbiamo saper scongiurare il pericolo dell’accrescersi di avventure belliche di cui, l’esperienza insegna, sarebbe poi difficile contenere i confini.
Si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, su diritti affievoliti per alcuni popoli e Paesi e, invece, proclamare, nello spirito di Helsinki, la parità di diritti, la uguaglianza per i popoli e per le persone.
Secondo una nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate.
La sicurezza, la pace – è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra – non può essere affidata a rapporti bilaterali – Mosca versus Kiiv -. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli.
Garantire la sicurezza e la pace è responsabilità dell’intera comunità internazionale. Questa, tutta intera, può e deve essere la garante di una nuova pace.
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