Il problema non è Trump
È inutile girarci intorno: all’appuntamento con la storia gli stati europei (non l’Europa che è un’espressione geografica o, tutt’al più, un processo di convergenza tra stati) sono arrivati come sonnambuli. Sotto la protezione americana hanno avuto 80 anni per decidere cosa essere e hanno imboccato la via giusta con la Nato, con il Mercato comune, con l’euro e con la UE. Poi si sono fermati. Il progetto di una difesa comune fu abbandonato fin dagli anni ’50 per il diniego della Francia. Ci si è affidati alla Nato dominata dall’apparato militare degli Stati Uniti. Oggi proprio questo viene messo in discussione sulla base di un’interpretazione degli interessi nazionali americani che Trump ha enunciato chiaramente e più volte. È pazzo, è servo di Putin, fa del male agli Stati Uniti, ha in mente solo i suoi luridi affari, è un gangster? Tutto può essere vero, ma la sostanza del problema non cambia e lui non è la causa della crisi profonda degli stati europei.
Il documento sulla strategia di sicurezza degli Stati Uniti è una conferma e sottintende l’allontanamento dall’alleanza con l’Europa e da ogni impegno globale americano. Nel documento si riconosce che “l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti” e si proclama: “avremo bisogno di un’Europa forte per aiutarci a competere con successo e per lavorare insieme a noi per impedire a qualsiasi avversario di dominare l’Europa”.
Tuttavia prevale la sfiducia perché “è più che plausibile che entro qualche decennio al più tardi, alcuni membri della NATO diventeranno in maggioranza non europei. Di conseguenza, resta aperta la questione se vedranno il loro ruolo nel mondo, o la loro alleanza con gli Stati Uniti, nello stesso modo in cui lo vedono coloro che hanno firmato la carta della NATO”.
Gli obiettivi strategici per l’Europa oscillano tra valore delle nazioni europee e disvalore di ciò che l’Europa è oggi. “Consentire all’Europa di stare sulle proprie gambe e operare come un gruppo di nazioni sovrane allineate, anche assumendo la responsabilità primaria della propria difesa, senza essere dominata da alcuna potenza avversaria; coltivare la resistenza alla traiettoria attuale dell’Europa all’interno delle nazioni europee; sostenere le nazioni sane dell’Europa centrale, orientale e meridionale attraverso legami commerciali, vendita di armi, collaborazione politica e scambi culturali ed educativi; porre fine alla percezione, e prevenire la realtà, della NATO come un’alleanza in continua espansione”.
In questi punti c’è il sostegno alle forze politiche che più di altre vengono ritenute capaci di rappresentare l’identità europea che starebbe solo nella separazione delle sovranità nazionali (AFD in Germania per esempio) e c’è uno stop all’espansione della Nato oltre la dimensione europea attuale (no all’Ucraina).
Un programma tutto politico da calare nella situazione attuale che, in Europa, è a rischio di guerra. A est la guerra c’è già ed è totale. La paura di tanti è che arrivi fino a loro. Dopo 80 anni di pace e benessere la prospettiva di essere in qualche modo coinvolti in un conflitto è spaventosa. Tuttavia non lo decidono gli stati europei o la UE se correre tale rischio perché non è da questa parte che viene la guerra. L’invasione dell’Ucraina è parte di un progetto putiniano molto più ampio e va dalla ricostituzione dell’impero sovietico al riconoscimento di una Eurasia posta sotto il controllo di Mosca. Putin vuole tornare ai confini fissati a Yalta con le armate di Stalin che occuparono e presero possesso di tutta l’Europa dell’est. Il problema per lui non è avere tutto il Donbass, ma avere la possibilità di fare del Donbass una base da cui lanciare altri attacchi innanzitutto verso Kiev e poi verso gli stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) i più vulnerabili membri della UE e della Nato. Se fossero attaccati tutta la Nato dovrebbe intervenire contro la Russia a meno che qualcuno non si sfilasse dall’alleanza o non dichiarasse di condividere gli obiettivi russi. Trump sta lavorando al disimpegno degli Stati Uniti dalla Nato in Europa e i filorussi che operano negli stati europei stanno lavorando per passare dalla parte della Russia. Questo sta succedendo.
La risposta di quasi tutti gli stati europei che intreccia competenze della Commissione, del Consiglio e patti assunti al di fuori dei Trattati (i volenterosi) indica che non c’è nessuna intenzione di subire il ricatto americano e le minacce russe.
La minaccia all’Europa è nell’oggettività di questa situazione resa ancor più estrema da un Presidente degli Stati Uniti che giustifica l’invasione dell’Ucraina e avalla la pretesa russa di prenderne il controllo per far avanzare di migliaia di km l’effettiva frontiera russa.
Così stando le cose noi italiani che dobbiamo fare? Possiamo lanciare il “si salvi chi può” e separarci da altri stati europei offrendoci come preda oppure rafforzare le nostre alleanze difensive e politiche. La prima scelta ci indebolisce, la seconda ci rafforza. In un mondo dove l’uso della forza si avvicina ai nostri confini la seconda scelta è obbligata.
Tutto deve assumere il carattere dell’urgenza. Non servono le chiacchiere, serve la forza della quale tanti europei hanno pensato si potesse fare a meno. Rafforzare la difesa significa avere gli strumenti per farlo ed è inevitabile che si usi il canale Nato per potenziare i progetti comuni e inserirli in uno schema di difesa coordinata già esistente.
Forse da un male può nascere il bene di una nuova identità europea. Ma ci vuole il consenso delle opinioni pubbliche oggetto di un bombardamento di disinformazione russa fatto per seminare caos e paura. Manca il contrattacco e i media non aiutano. Non si può lasciare l’iniziativa ai filorussi. C’è uno spazio mediatico da occupare
Claudio Lombardi


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