L’eterno dilemma italiano: chi paga?

Su 30 miliardi di manovra finanziaria per il 2025 ben 17 vanno alle riduzioni fiscali sui redditi fino a 40 mila euro annui. Riduzioni che, da annuali, diventano strutturali. Negli ultimi anni si è affermata questa linea: mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori a spese dello Stato e non, come sarebbe logico, attraverso aumenti delle retribuzioni. Con crescita del debito e a carico dei contribuenti che non godono di nessuno sconto fiscale e di nessuna facilitazione. Ci sono poi i bonus edilizi, un peso occulto perché già scontato nei saldi ma indicato dal governo in 38 miliardi. In questo quadro, che consente pochissima elasticità sui conti, i partiti di opposizione bersagliano il governo con continue richieste di aumenti della spesa. Eppure sanno che il quadro finanziario è determinato dal nuovo patto di stabilità di durata quinquennale che è vincolante. È paradossale che siano gli stessi partiti che hanno gestito per molti anni il governo e che a partire dalla pandemia hanno fatto esplodere il debito pubblico con ogni sorta di spesa e hanno lasciato l’eredità di un conto da pagare di oltre 200 miliardi per i bonus edilizi (truffe comprese). Oggi alzano le barricate perché il Fondo sanitario nazionale riceve un incremento limitato. A loro basta ignorare il passato e la magia è fatta: la spesa della sanità pubblica dovrebbe crescere di decine di miliardi, ma senza toccare gli sconti fiscali e incrementando le spese per gli stipendi degli insegnanti e di tutti i pubblici dipendenti, ma anche stanziando risorse per i giovani e per le pensioni degli anziani. Se si mettono insieme tutte le richieste delle opposizioni non si è lontani dai cento miliardi di spesa aggiuntiva. Evidentemente hanno imparato la lezione della demagogia e anche partiti che avevano fatto della responsabilità il loro tratto distintivo, come il Pd, provano a scassare tutto pur di tornare al comando.

Merito del governo è di aver fermato il treno dei bonus riuscendo a mantenere gli equilibri di bilancio pur destinando la gran parte delle risorse all’incremento dei redditi medio-bassi. Molto criticabili sono state, invece, le scelte di imporre comunque la flat tax al 15% per le partite Iva e la chiusura dei contenziosi con il fisco in cambio di pagamenti irrisori.

La parola d’ordine da anni è tagliare le tasse, ma questa non si concilia con la necessità di spendere per le politiche pubbliche a cominciare dai servizi sanitari e dell’istruzione. La domanda cruciale che andrebbe fatta agli italiani è però molto semplice: CHI PAGA?

La versione comunemente accettata è che in Italia dilaga la povertà. A sostenere questa versione i dati delle dichiarazioni Irpef che fanno gravare sui redditi sopra i 35 mila euro annui (il 14%) la maggior parte del prelievo fiscale (il 62,52%) e tutti gli altri che pagano poco, pochissimo o niente. L’osservatorio del Centro studi itinerari previdenziali presieduto da Alberto Brambilla è una guida preziosa per orientarsi nei dati delle dichiarazioni dei redditi degli italiani. “A leggere le dichiarazioni dei redditi degli italiani del 2022 possiamo definirci un Paese di “poveri benestanti”. “Un Paese dove: il 23,75% dei contribuenti dichiara redditi da negativi a 7.500 euro lordi l’anno e paga un’imposta media di 16 euro l’anno; il successivo 18,84% di cittadini, che dichiara tra 7.500 e 15.000, paga un’IRPEF media di 250 euro sempre grazie alle agevolazioni. In totale, il 42,6% dei cittadini – che, considerando le persone a carico, sono 25,23 milioni – paga solo l’1,73% dell’IRPEF. C’è poi il successivo 13,5% che dichiara redditi tra 15 e 20mila euro, paga il 5,65% dell’IRPEF e un’imposta media di 1.271 euro. Quindi, il 56% della popolazione paga a mala pena l’8% dell’IRPEF. La successiva fascia di reddito da 20.001 a 29.000 euro comprende 9.169.315 contribuenti (il 22,1% del totale, ma tocca oltre 13 milioni di persone) che pagano un’imposta media annua di 3.506 euro, che si riduce a 2.456 euro per singolo abitante, e versano in totale 32,15 miliardi, pari al 18,35% delle imposte”.

Per avere un termine di raffronto bisogna considerare che la sola spesa sanitaria ammonta a 138 miliardi di euro (più o meno 2400 euro per abitante). Quindi, per questi primi 3 scaglioni di reddito, la differenza tra l’IRPEF versata e il solo costo della sanità ammonta a 57,814 miliardi che sono a carico degli altri contribuenti. E qui parliamo appunto della sola sanità, senza considerare tutti gli altri servizi forniti dallo Stato e dagli enti locali di cui pure beneficiano, e che qualche altro contribuente si dovrà accollare”.

Ma sarà vero che gli italiani se la passano così male? Proseguiamo con l’analisi di Alberto Brambilla.

Ci sono indicatori di non povertà come il volume di denaro speso per il gioco d’azzardo. Secondo i dati forniti dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, si è passati dai 111,18 miliardi di euro del 2021 ai 136 del 2022, per attestarsi nel 2023 alla spaventosa cifra di 150 miliardi. A questa somma, sempre secondo l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (libro Blu), occorre aggiungere almeno altri 25 miliardi di gioco illegale.

L’Italia è ai vertici in Europa, oltre che per il possesso di abitazioni, autoveicoli e motoveicoli, anche per la telefonia mobile e gli abbonamenti internet (oggi il 98,3% della popolazione tra i 15 e i 64 anni possiede almeno uno smartphone). Gli italiani primeggiano anche per le TV a pagamento soprattutto per sport e cinema. Siamo al secondo posto per possesso di animali da compagnia dopo l’Ungheria. Ci sono poi altre spese, tra le quali quelle per conoscere il futuro dai maghi e fattucchiere, dove gli italiani primeggiano con oltre 9 miliardi (ultimi dati disponibili 2019), più di quello che si accantona per i fondi pensione.

Non sembrano consumi da paese in povertà considerando anche la spesa assistenziale che , nel 2023, ha toccato i 164 miliardi. E dunque?

In primo luogo è abbastanza evidente che siamo in presenza di un’evasione di massa (che ognuno può rilevare nella sua vita quotidiana: la colf, il giardiniere, l’idraulico, il meccanico e così via). Come si farà a finanziare nei prossimi anni il nostro generoso welfare se sono così pochi quelli che danno e così tanti quelli che prendono? E, in questo quadro, non sono ancora stati citati i milioni di pensioni pagate dallo Stato a persone che durante la loro vita lavorativa non hanno versato contributi e, ovviamente, nemmeno le imposte. Altro che portare le pensioni a mille euro al mese!

Già, ma noi aspettiamo che vengano gli immigrati a salvarci. Da cosa? Su 38 milioni circa di italiani in età da lavoro ne lavorano solo circa 24 milioni. Le imprese chiedono lavoratori qualificati che sarebbe molto più facile formare tra gli italiani piuttosto che trovarli tra chi sbarca sulle nostre coste. È abbastanza evidente che la bassa produttività italiana fatta anche di tanto lavoro dequalificato viene sostenuta dalla manodopera degli immigrati perché nasconde i limiti e non spinge a superarli.

Bisogna riflettere sul fatto che sia la flat tax al 15% per le partite Iva sia la penalizzazione dei redditi oltre i 40 mila euro spingono verso l’evasione e scoraggiano la crescita dei redditi anche perché meno redditi dichiari e maggiori sono le assistenze di Stato, Regioni, Comuni, e altri enti locali; viceversa, più redditi dichiari e più la doppia, tripla progressività, penalizza il lavoro.

Il dilemma italiano “chi paga?” nasconde tutti i limiti strutturali che bloccano lo sviluppo del Paese. O li prendiamo sul serio o ci trascineranno a fondo

Claudio Lombardi

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