Stop al diritto di sciopero selvaggio
Nella seduta del 15 ottobre 1946 la prima sottocommissione del’Assemblea Costituente, presieduta da Umberto Tupini, approvava il seguente testo: “Il diritto di organizzazione sindacale è garantito. E’ assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero. La legge ne regola la modalità di esercizio unicamente per quanto attiene: alla procedura di proclamazione, all’esperimento preventivo dei tentativi di conciliazione, al mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva. Il diritto al riposo è garantito.”
La formulazione definitiva, contenuta nell’art. 40 della Costituzione dice “ Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
La differenza fra i due testi indica, in modo inequivocabile, che nell’assemblea si è giunti ad una formulazione più generica a causa di contrasti fra le forze politiche, appianati rinviando la soluzione del problema al legislatore ordinario che, però, in 70 anni non è stato in grado di provvedere. Ciò è dovuto al timore, radicato nelle forze che avevano partecipato alla Resistenza, che una qualsiasi regolamentazione potesse in qualche modo rievocare le famose e vituperate norme del codice Rocco del periodo fascista che avevano vietato lo sciopero.
Questo tabù, comprensibile nel periodo storico dell’immediato dopoguerra, si è mantenuto inalterato per decenni, lasciando sempre più spazio a forme di sindacalismo totalmente irresponsabile di cui abbiamo alcuni esempi clamorosi nei recenti scioperi in Alitalia, nella Metropolitana di Roma, nel sito archeologico di Pompei. In tutti questi casi gli scioperi sono stati proclamati da sigle sindacali minori, non dai sindacati confederali; a Pompei la vertenza, fra scioperi a sorpresa e assemblee straordinarie, dura da 20 anni ed è guidata da un sindacalista prima UIL e poi CISL, cui erano state ritirate le deleghe già da Raffaele Bonanni e da cui ha preso le distanze la segretaria della CISL Annamaria Furlan con le seguenti parole “ Non condividiamo la sua linea e lo abbiamo dimostrato interrompendo i rapporti con lui”.
Ha anche detto Furlan “Noi siamo assolutamente contrari sia allo sciopero dei piloti Alitalia, sia a quello che è successo a Pompei. Specie in questo momento, il turismo è una fonte di ricchezza straordinaria e quindi proteste del genere, per di più attuate nel pieno della stagione estiva, sono forme di autolesionismo”.
Condivido pienamente questo giudizio al quale aggiungerei solo che si tratta anche di forme di sabotaggio e boicottaggio, non più tollerabili in un Paese civile perché procurano un elevato danno economico e, quindi, sociale. Un boomerang per gli stessi lavoratori di un Paese che ha un disperato bisogno di recuperare condizioni favorevoli al creare e far prosperare le imprese e con esse il lavoro. Il calpestare elementari diritti di civismo (di civiltà) procura contrapposizioni e divisioni utili solo a chi ha interessi nel far precipitare l’Italia nel sottosviluppo.
Bisogna porre fine ad una situazione che fa sbeffeggiare il nostro Paese sulla stampa internazionale e che è incompatibile con la democrazia, in quanto permette a infime minoranze un potere di veto che danneggia l’intero Paese. E’ opportuno ricordare che già nel lontano 1946 la sottocommissione citata affermava la necessità di regolamentare la procedura per “evitare che lo sciopero fosse proclamato per il capriccio di poche persone”.
A questi principi si ispira il disegno di legge presentato il 14 luglio in Parlamento dal Senatore Ichino che prevede due possibilità; lo sciopero può essere proclamato da organizzazioni che rappresentino il 50% più uno dei dipendenti oppure da sigle minoritarie purché superi un referendum fra i lavoratori dell’azienda, con il 50% dei sì fra i votanti e un quorum del 50% dei dipendenti. Il ddl per ora riguarda solo il trasporto pubblico ma si sta valutando di estenderlo al settore dei beni culturali che gestisce un patrimonio dell’umanità e quindi svolge un servizio per il mondo intero.
D’altronde, come ha detto Ichino “Cisl e Uil hanno già firmato con la FCA di Marchionne un accordo aziendale che applica lo stesso principio di democrazia sindacale previsto nel nostro ddl, e quello non è nemmeno un servizio pubblico.”
Il che conferma quanto sostenuto nel precedente post circa la necessità, per garantire la competitività del sistema-Paese, di un “patto dei produttori” che, nel pieno rispetto dei diritti legittimi dei lavoratori, tuteli anche l’efficacia e l’efficienza delle organizzazioni che producono beni e servizi, siano essi privati o pubblici.
E’ compito urgente e inderogabile della politica dare una risposta all’annosa e mai affrontata questione della regolamentazione del diritto di sciopero, dalla cui adeguatezza dipenderà in larga misura la credibilità delle forze attualmente in campo.
Roberto Barabino tratto da http://www.civicum.blogspot.it/
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