Fatti di Colonia: ci vuole chiarezza
Criminalizzare intere categorie di persone (i rifugiati, gli immigrati, i mussulmani) per quanto accaduto la notte di Capodanno, come fanno alcune forze politiche, è indecente.
Ma altrettanto indecente è il sistematico tentativo di minimizzare l’accaduto, forse nel vano tentativo di non allarmare ulteriormente l’opinione pubblica, ma ottenendo nei fatti l’esatto opposto.
Ci ha tentato, all’inizio, il capo della polizia della città tedesca (poi rimosso), la cui reticenza ha impedito alla notizia di emergere sui media per quasi una settimana. Poi il testimone è stato preso dalle autorità politiche che, pur riconoscendo e stigmatizzando la gravità delle aggressioni subite da centinaia di donne in oltre dieci città europee (più di 500 solo a Colonia), hanno sostenuto per un certo tempo l’inverosimile tesi che le aggressioni non sarebbero state organizzate. Solo dieci giorni dopo i fatti il Ministro della Giustizia tedesco ha affermato, in contrasto alla posizione fin lì dominante. “ non credo non ci sia stato un accordo o che la cosa non sia stata preparata”.
Se ci domandiamo il perché di tale reticenza, possiamo trovarlo nel fatto che dietro alla spiegazione ora emergente (un’azione organizzata attraverso i social network e poi diventata virale all’interno di una o più comunità) , potrebbe esservene un’altra assai più preoccupante e cioè l’avvio di un nuovo fronte nella guerra dichiarata dall’Islam radicale contro l’occidente, che si avvarrebbe – secondo la teorizzazione fatta oltre dieci anni fa da uno degli ideologi più estremisti – di tre armi: quella demografica, per l’espansione crescente della componente mussulmana della popolazione europea (nel 2050 la maggioranza degli svedesi apparterrà a questa comunità), ora spinta anche dalla politica della Merkel; quella terroristica che, con i fatti di Parigi ha fatto un salto di qualità e quella psicologica, iniziata con gli sgozzamenti in diretta TV. Il fatto preoccupante è che, pur essendo le aggressioni di Colonia assai meno gravi di quelle cruente di Parigi, potrebbero inscriversi nel filone della guerra psicologica mirante a instillare incertezza e paura in strati diffusi della popolazione.
C’è da augurarsi che l’ipotesi fatta non sia confermata e che si sia trattato soltanto di una specie di gigantesco “rave party” finito male. Ma quello che è certo è che non bisogna più indulgere, in omaggio ad un risibile “politically correct”, nell’autocensura per non “mancare di rispetto” ad una o più comunità straniere. Se si insistesse in questo demenziale atteggiamento, quello che può essere stato solo un grave incidente, potrebbe diventare lo stimolo per nuove e magari più pericolose provocazioni.
Il nocciolo del problema, come ha ben detto Ernesto Galli della Loggia in un editoriale sul Corriere della Sera è che, accertato il totale fallimento del multiculturalismo, cioè della convivenza in uno stesso Stato di più comunità fra loro separate (che ha portato ad esempio in Gran Bretagna a diffusi comportamenti illegali: infibulazione, poligamia, tribunali islamici, tollerati dalla autorità), non resta che l’integrazione degli stranieri, il che però comporta, da parte loro, di accettare i valori fondanti delle nazioni che li accolgono e di rinunciare, pertanto, ad alcuni dei propri. Senza questa rinuncia l’integrazione non esiste.
Il problema è che molte comunità straniere, provenienti da Paesi in cui religione e Stato coincidono, non sono intenzionate a mettere in discussione i propri valori, perché li ritengono non negoziabili. E’ questo il tema che le Istituzioni e l’opinione pubblica europea dovrebbero affrontare a viso aperto e senza infingimenti. Altrimenti saranno guai.
Roberto Barabino tratto da http://www.civicum.blogspot.it/
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!