Israele non nasce dal colonialismo

Uno degli elementi cardine della propaganda antisemita contemporanea è l’accusa secondo cui gli ebrei sarebbero stati europei che, immigrati in massa nel Mandato britannico della Palestina, avrebbero colonizzato la regione, sottraendo le terre agli arabi locali. Questa narrazione, però, presenta almeno tre criticità fondamentali:

  1. La maggioranza degli israeliani discende da ebrei espulsi dal mondo arabo-musulmano, non dall’Europa.
  2. L’accusa si basa sullo stereotipo antisemita dell’ebreo subdolo che “ruba” ciò che non gli appartiene.
  3. Anche gli ebrei europei non erano realmente “europei”, né giuridicamente né culturalmente.

Analizziamo ciascun punto.

  1. La pulizia etnica degli ebrei dal mondo arabo-islamico

Tra gli anni ’40 e ’70, circa 850.000 ebrei furono cacciati con violenza dai paesi arabi e musulmani dove risiedevano da secoli, spesso millenni. Questi profughi – oggi definiti ebrei mizrahim e sefarditi – costituiscono oggi la maggioranza della popolazione israeliana. Se è lecito parlare di “colonizzazione”, allora bisognerebbe applicare lo stesso termine alle migrazioni forzate di palestinesi nel 1948, ma raramente lo si fa in modo simmetrico. Inoltre, mentre i rifugiati palestinesi furono mantenuti in uno status di apolidia permanente dai paesi arabi (per motivi politici), gli ebrei espulsi dal Nord Africa e dal Medio Oriente furono integrati in Israele.

  1. Lo stereotipo dell’ebreo “ladro di terre”

L’accusa di furto riprende un topos classico dell’antisemitismo: l’ebreo come straniero senza radici, che si appropria di risorse altrui. Questo cliché ha una lunga storia, dalle calunnie medievali sull’usura fino ai Protocolli dei Savi di Sion. Ma la realtà è che l’acquisto di terre in Palestina, prima del 1948, avvenne principalmente attraverso transazioni legali, spesso da latifondisti arabi assenteisti (come le famiglie al-Husseini e Nashashibi). Inoltre, molte delle aree su cui sorse Israele erano paludi malariche o desertiche, bonificate dal lavoro dei pionieri ebrei.

  1. Gli ebrei europei non erano “europei

Anche gli ebrei ashkenaziti (quelli provenienti dall’Europa) non erano considerati parte integrante delle società in cui vivevano. Due aspetti lo dimostrano:

L’esclusione giuridica: durante la Shoah, gli ebrei furono privati della cittadinanza e dei diritti fondamentali. Ma già prima, in molti contesti, erano soggetti a leggi speciali. Nell’Impero russo, ad esempio, erano confinati nella Zona di Residenza ed erano considerati proprietà dello Zar. In Sicilia e in Aragona, sotto Federico II, erano servi della corona (una condizione simile alla servitù della gleba).

L’impossibilità dell’assimilazione: come dimostrano i fratelli Singer (scrittori yiddish), l’integrazione degli ebrei era sempre precaria. Orson Welles, nel suo film “Il crimine dell’altro” (1946), ritrae un gerarca nazista che, rifugiatosi in America, rivela la sua mentalità antisemita affermando: “Quell’uomo non era tedesco… era ebreo”. Persino gli ebrei più assimilati – come quelli tedeschi, i più integrati culturalmente – furono i primi a essere deportati.

Una storia di esclusione, non di privilegio

La condizione storica degli ebrei ha molto più in comune con quella delle popolazioni oppresse (come i neri liberati dalla schiavitù) che con quella dei “bianchi” europei dominatori. Definire Israele un “progetto coloniale” significa ignorare sia la specificità della storia ebraica sia il fatto che, per secoli, gli ebrei furono oggetti di dominio, non soggetti imperialisti.

Roberto Damico (da facebook)

Israel Birth Of A Nation

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