Ecco cosa manca al Pd: intervista a Fabrizio Barca
Pubblichiamo brani di un’intervista a Fabrizio Barca realizzata da Daniela Preziosi pubblicata su www.ilmanifesto.it.
Il Pd doveva accettare di sospendere i lavori dell’aula per l’ennesimo guaio giudiziario del Cavaliere?
«Non credo proprio, ma lo ha fatto. E senza consultare i deputati. Leggo dichiarazioni del segretario Epifani molto critiche. E allora mi domando: chi è il Pd? Cos’è il Pd?».
Non vuole fare il segretario. Forse il personal trainer della base?
Il sollecitatore, piuttosto. Provo a capire se riesco a scatenare non solo nella base ma nei gruppi dirigenti, anche territoriali, l’idea che alcune cose di questi anni sono sbagliate: bisogna farne altre.
Ha dato dei ’dorotei’ ai vertici del Pd. Finirà per diventar loro antipatico. Invece fino ad ora l’hanno corteggiata, sperando di iscriverla a una corrente.
Nella mia funzione posso dire quello che penso, del resto come ogni iscritto a un’associazione – perché il partito è un’associazione, non dimentichiamolo – può fare, se ne rispetta le regole. Uso l’espressione ‘dorotei’ perché verifico un’apparente condivisione ma una chiara non voglia di confrontarsi. Mi si dica che sbaglio; ma nessuno me lo dice. Non basta simpatizzare con me, vorrei ci si misurasse con la questione principale che pongo sul tavolo. La carenza
di confronto sulla cultura politica, l’indebolimento del rapporto del Pd con gli intellettuali e i tecnici, con i codici di conoscenza del paese, sono dati di fatto. L’incapacità di proporre un disegno di cambiamento da parte della sinistra, e poi di governare, è l’insuccesso ventennale. È dovuto a un deficit di autorità quando si governa, o di conoscenza e partecipazione, come credo?
La ’democrazia che decide’ è tema nel Pd area Veltroni.
Io dico invece che il problema del governare l’Italia è legato a una macchina dello stato che trascura i processi di attuazione: non li segue, non li monitora, non li valuta, non apprende, non informa. Annuncia, annuncia, annuncia; norma, norma, norma. Quindi ha potere; ma non segue l’attuazione quindi non può dire ai cittadini se quello che ha promesso avviene o no.
Questa sua analisi deriva dall’esperienza di confronto dei tempi di Bankitalia con il progetto di programmazione territoriale ‘Cento città’? Il governo D’Alema aveva un’idea diversa.
No. Deriva da casi più recenti, dai tentativi non riusciti di riformare la scuola, dalle continue non riuscite spending rewiew, dall’insuccesso della realizzazione delle infrastrutture strategiche, le attività primarie dello stato: è la differenza fra governare bene e male.
Lei insiste sul deficit di conoscenza nella cultura di governo del Pd. Per la prima volta, c’è un candidato come Gianni Cuperlo, dirige un centro studi e dei saperi ha fatto il suo lavoro politico.
Quando parlo di deficit di conoscenza non mi riferisco a singole persone o al partito, parlo di quelli che governano. Quando sei ministro, o presidente di regione, o sindaco, anche se sei il più bravo, le conoscenze che hai sono una parte infinitesima di quelle che servono a ben governare. La capacità di ben governare consiste nella capacità di fare squadra e di presidiare il processo di attuazione dei processi che proponi. La stragrande maggioranza della conoscenza non è nella tua testa o in quella dei soggetti che la attuano o in quelli che ne beneficiano: è fra gli insegnanti, i medici, gli ingegneri che attuano gli interventi.
Come può un partito chiedere partecipazione se poi ignora le scelte degli elettori? Le larghe intese, prima del governo Letta erano persino un tabù nel Pd.
Promettendogli che mai più la selezione dei candidati sarà così mal congegnata. Non c’è nessun altra promessa credibile. Il punto dove siamo arrivati deriva dall’aver selezionato un numero troppo elevato di deputati non affidabili. Ma un partito, per selezionare persone affidabili, deve essere un’associazione viva. Non la definiremmo neanche associazione, una cosa che si riunisce ogni 5 anni. I candidati devono emergere dal confronto, anche con gli esterni.
Il governo Letta non è uno stato di necessità ma un punto cui si è arrivati per 101 inaffidabili?
In politica non esistono gli stati di necessità. Esistono scelte che possono essere ritenute superiori a seguito di eventi. Ma non obbligate. Questa vicenda è stata uno sbandamento drammatico.
Il suo Pd è di sinistra. Anche quello del Bersani del 2009. Se oggi si pensa a Renzi, non sono certa che venga in mente l’idea di un partito di sinistra.
Discuto spesso di questo punto. C’è un equivoco però, nato alla fondazione del Pd, che ha portato erroneamente a identificare ’sinistra’ con la matrice socialcomunista. Se si fosse discusso di più di cultura politica, si sarebbe sciolto a suo tempo l’equivoco: avere come obiettivo il miglioramento della società e delle sue persone, coltivare la tutela della concorrenza contro i tentativi di monopolizzazione, sono principi di sinistra e pezzi forti del pensiero liberale. Tant’è che gli azionisti e i liberalsocialisti erano di sinistra. Come i cristiano sociali.
Contro la legge Mammì, madre di tutti i conflitti di interesse, si dimisero 5 ministri della sinistra Dc.
La Dc aveva molte anime. Aveva una sinistra più a sinistra del Pci. Del resto ha più dimestichezza e sintonia con il capitalismo un ex comunista che un ex cristiano sociale.
Il suo Pd si iscriverebbe nel Pse?
E’ l’ultimo dei problemi. Il Pd dovrebbe lavorare in stretto collegamento con i partiti del gruppo socialista e democratico del parlamento europeo, cosa che non avviene. C’è la scadenza elettorale decisiva di maggio, è indispensabile arrivarci con un candidato unitario per la presidenza della commissione e una piattaforma minima comune per l’accelerazione dell’integrazione politica e di bilancio. La situazione dell’Europa al momento è insostenibile. Anche su questo la discussione del Pd è scarsa.
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