Governo Conte o nuova Italia?
Ora che il governo Conte sta partendo bisogna prendere un po’ di distacco e cercare di capire cosa è successo in Italia. Certo, dopo tre mesi di travaglio, quasi non ci credeva più nessuno e per questo lo choc (sia positivo che negativo) c’è è inutile negarlo ed è pari a quello che ci fu nel 1994 quando si impose al centro della scena politica Silvio Berlusconi. Come allora si tratta di un passaggio epocale. Come allora è stato preparato da molti anni di cambiamenti nel substrato culturale che orienta gli umori e le reazioni dell’opinione pubblica. Come allora questa incubazione ha dato forza e slancio all’offerta politica che oggi si è tradotta nella coalizione gialloverde. Ovviamente, a differenza del 1994, il governo Conte non si basa sul carisma e sulla popolarità del suo Presidente. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo tanto è evidente, ma è giusto farlo perché, in realtà la novità (una rivoluzione culturale? ) che rappresentava Berlusconi allora oggi viene incarnata da due partiti fino a poco tempo fa poco credibili come leader di una svolta epocale. E invece è proprio quello che stanno facendo Lega e M5S camminando sulle loro gambe e senza avere le spalle coperte da “fratelli maggiori” che garantiscano per loro (come accadde con i governi Berlusconi). La loro affermazione non deriva dal lavoro di un’agenzia pubblicitaria come fu con la Forza Italia delle origini. Lo stesso Movimento Cinque Stelle, pur essendo una creatura saldamente stretta nel controllo della coppia Grillo-Casaleggio che l’hanno pensata e costruita con un lento avvicinamento alla politica durato anni, è arrivato alle elezioni del 2013 e, ancor più a quelle del 2018, con un forte radicamento nell’opinione pubblica e nel territorio. Per la Lega è anche superfluo ricordare che ormai è il più vecchio partito rimasto sulla scena della politica essendo nato nel 1989. La mutazione genetica voluta e guidata da Salvini lo ha definitivamente trasformato in partito nazionalista abbandonando l’antica vocazione separatista che risale all’inizio degli anni ’80 (Liga Veneta e Lega Lombarda).
Perché di svolta epocale si tratta e perché non durerà poco? In realtà Lega e M5S hanno un tratto in comune che li rende molto forti. Hanno intercettato il profondo bisogno della maggior parte degli italiani di liberarsi dai vincoli del realismo che li vorrebbe sempre sottomessi all’idealismo delle compatibilità. Globalizzazione, regole di mercato, parametri europei di finanza pubblica questi sono i limiti che non solo gli italiani, ma una parte crescente dei popoli avverte come imposizioni ingiuste. Da Brexit all’elezione di Trump ai governi nazionalisti dell’est Europa ormai la tendenza è chiara.
Nella sua declinazione italiana questa rivolta contro quelle che appaiono come imposizioni degli establishment assume i connotati della difesa degli interessi concreti di tutti coloro che si ritengono penalizzati dal “sistema”. Cosa unisce un giovane disoccupato del Sud al rider del nord che consegna le pizze a domicilio all’artigiano lombardo o al piccolo imprenditore del centro-nord? Tutti sentono che è arrivato il momento di difendere i propri interessi e non vogliono più un governo che presenti loro delle compatibilità o dei vincoli senza offrire alternative concrete. Purtroppo l’accumulo dei problemi ai quali non è stata data risposta ha creato la base rancorosa che poi è esplosa di fronte ad alcuni spettacoli indecorosi offerti dal mondo della politica allargato a tutti coloro che da questa hanno ricevuto avallo e copertura. Da Tangentopoli in poi. Tutti quelli che sono stati identificati come “vecchia politica” sono stati bollati con il marchio d’infamia di complici o collusi con chi non ha pagato il prezzo delle crisi che si sono susseguite nel corso degli anni riuscendo sempre a far apparire inevitabile che a pagarlo fossero gli altri.
La spinta che ha portato ai risultati elettorali e al governo Conte non si esaurirà facilmente. A meno che non accada qualche catastrofe che mostri l’avventurismo di un programma velleitario che ignora la realtà. Anche da sinistra si è detto in questi giorni che non si possono presentare lo spread o i mercati come i giudici supremi ai quali piegare le scelte di un popolo. Giusto, ma non di questo si tratta. Gli elettori che hanno voluto questa svolta epocale si rifiutano di riconoscere che l’Italia vive a debito dovendo mantenere una massa di titoli venduti sui mercati che vanno rinnovati non appena vengono a scadenza perché non possono essere riassorbiti dal bilancio dello Stato. Se ciò accadesse, ovvero se non ci fosse bisogno di mantenere lo stock di debito (peraltro in crescita), allora sarebbe una situazione diversa. Molti lo dicono da anni che un debito gigantesco è un condizionamento pesante alla libertà di azione di qualunque governo e che ridurlo progressivamente, in assoluto e in rapporto al Pil, sarebbe la più grande liberazione che gli italiani dovrebbero augurarsi. In queste condizioni invece si moltiplicano le spinte e i progetti per liberarsi del debito rompendo con l’euro e magari anche facendo default. Il famoso piano B elaborato dal prof Savona e coerente con le campagne antieuro della Lega e del M5S esiste e spiega come si ridurrebbe il debito grazie alla svalutazione (almeno il 30% iniziale) e al taglio imposto ai creditori esteri.
Il taglio, però, colpirebbe anche stipendi, salari, pensioni, risparmi di tutti gli italiani. Gli elettori che si ribellano ai vincoli dell’establishment e che invocano la rottura con l’Europa lo hanno capito?
Purtroppo a questo appuntamento si è arrivati tardi e male. Bisognava pensarci prima e prevenire. La Germania ha imposto negli anni più difficili un rigore inutile quando, invece, sarebbe stato più utile allargare i deficit pubblici per spingere i consumi e l’economia. Il Fiscal Compact da noi inserito in Costituzione nel 2012 sta lì a testimoniarlo. D’altra parte la classe dirigente italiana (politici, intellettuali, alte burocrazie, imprese, sindacati, media) non ha avuto il coraggio di mettere mano ai limiti strutturali del “modello Italia”, a tutti quei fattori cioè che hanno fatto arretrare per molti anni il nostro Paese e che erano mascherati negli anni della lira dalle svalutazioni per mantenere la competitività. Dovremmo finalmente renderci conto che il problema non è l’Europa o l’euro, ma siamo noi e che non possiamo pensare che gli altri – la Germania, l’Europa, la finanza internazionale – ci sostengano perché noi dobbiamo mantenere tutti i nostri problemi insoluti.
Il programma o contratto di governo Lega-M5S non fa altro che aggirare la questione fingendo che un po’ di decisionismo e di intransigenza possa sostituire un piano di sviluppo e di ristrutturazione dell’Italia. Reddito di cittadinanza e taglio fiscale a favore dei redditi più alti facendo esplodere il deficit e il debito. Questa è la sostanza. La svolta epocale c’è stata e non finirà presto, ma il governo Conte ha già imboccato la strada che lo porta sul ciglio del burrone
Claudio Lombardi
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