La crisi dei prezzi di gas ed elettricità
Perché proprio adesso?
Perché il prezzo del gas si è impennato a livelli impensabili anche solo un anno fa? Abbiamo capito che dopo due anni di pandemia il mondo si è riavviato tutto insieme e ciò ha creato penuria di materie prime e semilavorati, ma soprattutto è cresciuta la domanda di energia e quindi di gas. La Cina ne chiede sempre di più perché ha deciso di fare una sua transizione ecologica e di abbandonare il carbone. La Russia ha tagliato le esportazioni verso l’Europa (-40%) essendone il principale fornitore perché usa il gas come strumento della sua politica espansionistica. La crisi energetica attuale è, quindi, molto diversa da quelle del passato che riguardavano il petrolio e che erano dovute essenzialmente alla dinamica domanda/offerta.
Sullo sfondo c’è la debolezza del blocco occidentale guidato da una super potenza, gli Usa, riluttante a svolgere questo ruolo e con un’Europa al traino che non conta nulla sul piano geopolitico e militare. Sul territorio europeo la caduta dell’Urss ha portato all’espansione dell’alleanza avversaria, la Nato, alla quale hanno aderito nel corso di vent’anni tutti i paesi dell’ex blocco socialista. Inevitabile che ciò fosse avvertito come una minaccia da una potenza militare come la Russia ex super potenza globale passata da una crisi profonda e ridotta in confini molto più ristretti di quelli che aveva conosciuto dopo la seconda guerra mondiale. Putin ha capito che il periodo storico era propizio per scrollarsi di dosso una pressione che stava facendosi preoccupante e sta agendo con l’arma della pressione militare sull’Ucraina e con quella del taglio delle forniture di gas all’Europa.
Al netto dei complicati meccanismi di formazione del prezzo del gas questo è lo scenario del quale tener conto. Un posto di riguardo spetta alla Cina. Non si tratta solo della sua fame di gas, ma anche della competizione ormai aperta e dichiarata con gli Usa con il resto del mondo visto come terreno di conquista economica. La “fabbrica del mondo” ha dimostrato nel corso della pandemia quanto fossero indispensabili i suoi prodotti e le enormi difficoltà dell’industria automobilistica lo confermano. Sta, però, dimostrando anche quanto possa pesare la competizione per le materie prime e per l’energia. Basti pensare che la transizione energetica in Europa consiste essenzialmente nell’elettrificazione di tutto ciò che oggi è mosso da gas e petrolio, ma per questo sono essenziali gli accumulatori e le materie prime delle quali la Cina ha quasi il monopolio mondiale.
La Russia è vista con particolare considerazione dalla leadership cinese sia perché è una potenza militare, sia perché possiede enormi riserve di gas e sia perché può essere un’arma di ricatto verso l’Europa. Da questo punto di vista il futuro non sarà roseo per una Unione europea ricca e impotente perché disunita e inesistente sul piano politico e militare.
Per limitarsi al gas l’Europa, e l’Italia in particolare, possono rispondere alla riduzione di importazioni dalla Russia in diversi modi: dall’aumento delle importazioni da paesi già collegati da gasdotti (Algeria, Libia, Olanda, Qatar come Gnl) al potenziamento della TAP all’incremento della produzione nazionale. In presenza di un oligopolista la diversificazione delle fonti è la prima e più efficace risposta. Ci si poteva pensare prima? Sì.
Che c’entra l’energia elettrica?
La domanda è semplice: se i rincari sono del gas perché sale anche il prezzo dell’energia elettrica? La risposta pure lo è, ma vediamola. Le regole per la formazione dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica oggi non sono agganciate ai costi di produzione. Si chiama system marginal price (Smp) il metodo di calcolo che si applica in tutti gli stati membri della Ue. In pratica, per ogni ora del giorno viene costruita una curva di offerta ordinando gli impianti di produzione in ragione crescente dei loro costi marginali. Il prezzo di equilibrio riflette i costi marginali dell’ultima centrale che deve entrare in esercizio per soddisfare la domanda e che, nella maggior parte dei casi, è alimentata a gas. Quel prezzo si applica a tutte le offerte accettate in quella fascia oraria. Così l’impianto più costoso (ma indispensabile!) copre i suoi costi di esercizio e tutti gli altri ottengono ricavi superiori ai rispettivi costi. Godono cioè di una rendita con la quale recuperano i costi fissi.
Le fonti rinnovabili, quali eolico, fotovoltaico e idroelettrico, hanno costi marginali praticamente nulli. Il nucleare ha costi molto bassi. Di esercizio. I costi degli investimenti però sono un’altra cosa e vanno in senso inverso.
Questa la spiegazione del perché un incremento del costo del gas va a vantaggio di tutti gli impianti che producono energia elettrica anche se non utilizzano gas. Non a caso è in atto un tentativo in vari paesi europei di recuperare una parte di questi extra profitti (Spagna, Romania, Francia e Gran Bretagna, oltre all’Italia).
Nel lungo termine, però, bisognerebbe cambiare le regole. C’è un altro metodo di calcolo già conosciuto in alcuni settori del mercato elettrico: è quello chiamato pay as bid, ossia il pagamento di ciò che viene richiesto all’atto delle offerte di energia elettrica dai diversi fornitori. Il dibattito sulla sua adozione è in corso e la spinta viene da Spagna, Italia, Francia, Grecia e Romania.
I limiti del metodo Smp sono noti ai regolatori. Nel metodo pay as bid invece, nessuno può, da solo, determinare il prezzo dell’intero sistema: ognuno, con le sue strategie di offerta, stabilisce il prezzo in corrispondenza del quale è disponibile a produrre, ma non influenza la remunerazione dei concorrenti. Ciò che conta è che il mercato sia competitivo e trasparente per evitare collusioni tra i produttori.
Ma, si domanda Carlo Stagnaro su www.lavoce.info, le ragioni che hanno indotto a preferire il Smp restano ancora valide in un contesto radicalmente mutato, dove il prezzo marginale dipende sempre più da impianti (a gas) con caratteristiche per nulla rappresentative della gran parte del parco di generazione (fatto soprattutto di rinnovabili)? E osserva che già oggi una quota crescente dell’energia viene scambiata al di fuori della borsa, e quindi seguendo un principio che, di fatto, è quello del pay as bid. Inoltre, è sempre più comune la stipula di accordi per la cessione dell’energia a lungo termine (i cosiddetti Ppa), nei quali il prezzo dell’energia è generalmente slegato dai costi marginali del sistema.
Sono quindi tante le ragioni che spingono per adottare una politica energetica ad ampio spettro, ma non vi sono segni che questo governo voglia e possa farlo.
Claudio Lombardi
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