La rendita e la collusione politica economia burocrazia
Appare intuitivo, oltre che dimostrato dalla storia, che quanto più si amplia l’area d’intervento del governo e dell’amministrazione e si accresce la dimensione delle risorse intermediate dal sistema pubblico, tanto più aumenta la tendenza delle imprese a ricercare opportunità di guadagno tramite rapporti collusivi con coloro che detengono il potere di emanare norme o erogare risorse monetarie. E, come ci ha fatto osservare Mancur Olson più di trent’anni fa, tale processo è ulteriormente intensificato dalla presenza diffusa e consolidata di gruppi d’interessi particolari, impegnati a conquistare quote crescenti di reddito piuttosto che ad accrescerne l’ammontare. Il risultato sarà una riduzione progressiva della produttività totale dei fattori e, quindi, della capacità di produrre reddito ossia un progressivo restringimento del prodotto sociale. Che è esattamente ciò che si osserva, da qualche decennio, nel contesto italiano. La balcanizzazione e il generale indebolimento della rappresentanza hanno giocato un ruolo decisivo.
Tipicamente, il sistema prevede l’interazione, spesso, ma non necessariamente, condizionata da comportamenti collusivi, fra tre soggetti: il politico, cui fa capo il controllo sulle risorse pubbliche, la banca, che ne è, per così dire, il braccio armato, e l’impresa, che deve assicurare il flusso di favori economici che chiude il cerchio. Un’altra versione del modello prevede solo un rapporto di scambio fra legislatore e impresa, avente a oggetto l’emanazione di norme capaci di costituire posizioni di vantaggio a favore dell’impresa, generalmente tramite limitazioni della concorrenza.
Naturalmente, ci sono tanti modi per essere o mettersi in condizione di ricavare una rendita vendendo una risorsa resa artificialmente scarsa a un prezzo che può essere fissato arbitrariamente oppure amministrando l’accesso a una risorsa di cui si ha la disponibilità esclusiva. Ma il caso che qui ci interessa maggiormente è quello che origina da un intervento dell’operatore pubblico, attraverso norme e regolamenti ad hoc, concessioni, ecc. Lo stato e i suoi funzionari, il governo, i partiti e gli uomini politici, i sindacati e i loro esponenti sono i principali complici, spesso i promotori e i difensori del sistema delle rendite. Le imprese, a loro volta, insieme con determinati gruppi di lavoratori o anche singoli attori, sono i principali beneficiari del sistema delle rendite e, quindi, non solo lo subiscono, più spesso lo accettano, talora lo cercano, addirittura lo avallano.
È qui, in questo intreccio perverso fra potere politico ed economia che inevitabilmente si annida la malapianta della corruzione. Rendita e corruzione vanno di pari passo, anche se fra l’una e l’altra non sussiste alcun nesso causale. L’una è il brodo di cultura della seconda; la seconda si alimenta della prima. Tutt’e due affondano le loro radici nella dimensione esorbitante dell’intervento pubblico nell’economia, nel ruolo crescente che, dai tempi lontani dell’unità nazionale, lo stato ha avuto nel finanziamento della produzione, nella distribuzione del reddito e, in generale, nell’intermediazione delle risorse. Un corollario di questa endiadi è il clientelismo ossia il fenomeno sociale che descrive il modo in cui ci si relaziona all’interno di un sistema in cui vige la rendita e domina la corruzione. In cambio della partecipazione, generalmente modesta, alla distribuzione della rendita, gruppi di cittadini si acconciano a rinunciare alla loro indipendenza e autonomia politica, cedendo il consenso agli amministratori delle rendite. Il sistema democratico ne risulta pesantemente indebolito, se non compromesso.
È importante comprendere il carattere sistemico di questi fenomeni e i nessi che li legano inscindibilmente, perché questo ci dice che la lotta per cancellarli non è solo questione di qualche norma in più o più severa, ma esige l’impegno per un cambiamento di sistema, che investa il modus operandi dei principali attori economici, politici, sociali. Ciò implica un intervento radicale sulla macchina dello stato, sui modi in cui viene esercitata l’azione di governo, sia a livello centrale che locale, passando per una drastica riduzione del ruolo d’intermediazione dei politici e degli amministratori e per un sostanziale ricambio e ridimensionamento della dirigenza, troppo compromessa con il sistema di potere che gestisce le rendite e che pratica la corruzione per essere oggetto di riforma.
Lapo Berti (terzo di tre articoli) tratto da www.lib21.org
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