L’arresto di Almasri sarebbe stato autolesionismo
Pubblichiamo parte di un lungo post di Orio Giorgio Stirpe sul caso Almasri (da facebook).
”Cominciamo con il dire che a livello sostanziale – cioè al di là dei modelli di comunicazione adottati – sono convinto che un governo retto da Draghi o da Gentiloni, e probabilmente anche da Conte o eventualmente da Schlein, si sarebbe comportato allo stesso modo: cioè avrebbe evitato di arrestare Almasri e lo avrebbe rispedito al più presto a Tripoli cercando di fare il possibile per evitare clamore mediatico. Allo stesso tempo, temo che un’opposizione guidata da Meloni avrebbe a sua volta cercato di cavalcare il caso approfittando dell’opportunità per indebolire il governo. Questo perché nella stanza delle Istituzioni italiane c’è da almeno settant’anni un elefante felicemente seduto per terra e che nessuno intende far sloggiare. Constato che evidentemente al popolo italiano e ai suoi rappresentanti questo elefante seduto sta bene; però forse sarebbe almeno il caso di prenderlo in considerazione, e di prendere atto delle conseguenze inevitabili della sua presenza. Cerchiamo di andare per ordine (…)
Se la CIA o l’MI6 individuano una cellula terroristica che sta per colpire gli interessi americani o britannici, il Presidente o il Primo Ministro possono tranquillamente decidere di colpire con missili cruise o con un Team di Forze Speciali per neutralizzare la minaccia, e nessuno potrà dire niente: tutt’al più la cosa potrà essere discussa e criticata sui media se diviene di dominio pubblico, ma alla fine il Presidente e il Primo Ministro risponderanno solo agli elettori per ciò che hanno fatto e per le conseguenze della loro azione. Se invece a fare una cosa del genere fosse un Presidente del Consiglio italiano (o probabilmente un Cancelliere tedesco) e la cosa si venisse a sapere, tecnicamente si tratterebbe di un’attività illegale e qualsiasi Procuratore che lo ritenesse opportuno potrebbe indagare e perseguire TUTTO il personale coinvolto, dal Presidente del Consiglio all’equipaggio degli aerei coinvolti o al personale dei Servizi impegnati nell’azione. Questo, indipendentemente dalla giustificazione o meno dell’azione: anche se il 90% degli italiani considerassero corretta l’azione, esisterebbe un “obbligo” dell’azione penale da parte della Magistratura. L’”interesse nazionale” passa in secondo piano in Italia davanti alla Legge. Altrove, non è così: questo è un fatto. E dipende dalla volontà dei rispettivi popoli, non da presunti “diktat” successivi a una guerra finita ottant’anni fa.
Illuminato l’elefante, passiamo al secondo aspetto della questione: il comportamento che si vuole tenere nei confronti delle Nazioni e dei popoli con sistemi costituzionali, legali, sociali e/o culturali diversi dal nostro, e cioè di Stati autoritari, Stati falliti o Stati-canaglia. Esistono sostanzialmente tre tipi possibili di approccio da parte di una democrazia nei confronti di queste autocrazie.
Nel primo caso si cerca di “esportare la democrazia”: ci si pone in atteggiamento di confronto o addirittura di scontro, cercando di omologare la Nazione bersaglio al nostro sistema, in modo da poterci poi interfacciare in maniera confacente alle democrazie; si tratta di un metodo estremamente costoso sotto tutti i punti di vista, che a volte funziona perfettamente (vedi Germania, Giappone e Italia 1945), a volte funziona a metà (vedi Bosnia, Kosovo e Iraq) e a volte fallisce clamorosamente (vedi Afghanistan).
Nel secondo caso si accetta la completa differenza di valori e ci si “sporcano le mani” trattando con le autorità locali benché queste non siano omologabili ai nostri valori; ci si interfaccia con chi nel Paese indicato meglio si presta a collaborare con noi in nome del NOSTRO interesse nazionale rinunciando a perseguire il LORO. In sostanza, dovendo trattare con dittatori, si cerca di influenzare le cose in modo che almeno si tratti di un dittatore amico, con cui sussista un interesse comune. Esempi sono le passate dittature sudamericane o del Sud-Est asiatico e quelle attuali in Africa e Medio Oriente, come le monarchie assolute del Golfo o i governi militari in Egitto e Algeria.
Nel terzo caso non solo si accetta la mancanza di democrazia e la differenza drastica dei sistemi legali, ma si ignora volutamente tutto quello che accade all’interno del Paese con cui si tratta, limitandosi a “fare affari” con chiunque sia al potere laggiù e senza neppure cercare di influenzarne lo sviluppo in una qualunque direzione, limitando i contatti al solo livello economico e – sostanzialmente – incoraggiando la corruzione locale. Si tratta del sistema adottato come regola generale dalla Cina.
Veniamo al caso Almasri. Sappiamo tutti che abbiamo importanti interessi in Libia, quindi non possiamo disinteressarci di quanto accade laggiù o esimerci da mantenere contatti. Sappiamo anche che il Paese è grosso modo spaccato in due e che occorre parlare con entrambe le parti, fra le quali però a suo tempo noi abbiamo scelto di privilegiarne una (Tripoli, dove esiste il Governo riconosciuto dall’ONU), che però è frammentata in diverse fazioni più o meno alleate contro Haftar, ma sempre in competizione fra loro e con differenti livelli di infiltrazione islamista. Ora, fin dai tempi della caduta di Gheddafi, l’Italia ha scelto di rinunciare all’”esportazione della Democrazia” e di privilegiare il secondo metodo, scegliendo a Tripoli l’interlocutore più idoneo. Tale interlocutore doveva essere sufficientemente rilevante dal punto di vista politico e militare, avere un basso gradiente di militanza islamica e non essere già asservito agli interessi turchi. La fazione scelta è la cosiddetta milizia “Rada”, che controlla l’aeroporto e parte del porto di Tripoli, ha una capacità militare relativamente elevata, un basso tasso di fondamentalismo e ci garantisce indirettamente la sicurezza delle installazioni ENI in Tripolitania. I rapporti con tale fazione vengono ovviamente curati con la massima discrezione possibile dal MAE e dai Servizi.
Almasri è un “generale” della “Rada”. Sarà anche un criminale (come tutti quelli che hanno potere in Libia in questo momento), ma è il NOSTRO criminale in Libia, e arrestarlo proprio noi per consegnarlo alla Corte Penale Internazionale – anche se lo meriterebbe – sarebbe un atto di puro autolesionismo che nessun Governo italiano potrebbe permettersi: non solo per evitare rappresaglie ai danni dei numerosi cittadini italiani presenti in Libia o per evitare di danneggiare i rapporti con un alleato chiave in un Paese travagliato, ma soprattutto per proteggere investimenti economici nazionali fondamentali e contenere l’immigrazione clandestina, cioè per aspetti che non possono non essere considerati di “interesse nazionale”.
Insomma: se non ci fosse il famoso elefante, l’azione del Governo sarebbe stata del tutto normale e legittima; la stampa ne avrebbe discusso, ma la Magistratura non si sarebbe neppure sognata di intervenire. Però l’elefante c’è.
Quello che mi colpisce nel caso Almasri, è innanzitutto l’incompetenza delle persone coinvolte, a partire dallo stesso Almasri che sa benissimo di essere ricercato ma se ne va in giro per diporto e a guardare partite di calcio invece di seguirle via satellite; e poi anche il modo in cui le personalità politiche coinvolte fanno finta di non capirsi fra loro a vantaggio degli interessi di partito. Mi spiego: quanto ho riportato più sopra non è certo informazione riservata; chiunque vi può accedere online e rendersi conto personalmente della situazione. Da una parte il Governo potrebbe spiegare la cosa in conferenza stampa, magari congiunta con un rappresentante dell’opposizione per dare una bella dimostrazione di unità nel perseguire l’interesse nazionale e non di partito; dall’altra l’opposizione potrebbe evitare di attaccare il Governo su un fatto dove alla fine si sarebbe comportata esattamente allo stesso modo. La Magistratura, di fronte a questi fatti, avrebbe dovuto valutare la denuncia come chiaramente “inconsistente”. La stessa Corte Penale, conoscendo la situazione descritta, avrebbe potuto chiedere a qualsiasi altra Nazione sul percorso di Almasri di arrestarlo. Su quest’ultimo punto non credo neppure lontanamente al “complotto” (la Corte voleva arrestarlo, non imbarazzare l’Italia, e per arrestarlo bastava chiedere ad altri); però credo alla lentezza burocratica e all’incompetenza dei burocrati: hanno fatto tardi e perso un’occasione, perché era ovvio che l’Italia NON avrebbe proceduto all’arresto.
Alla fine, hanno sbagliato tutti: Almasri facendosi arrestare stupidamente, la Corte Penale Internazionale arrivando in ritardo, il Governo gonfiando il caso per ragioni chiaramente elettorali, la magistratura nascondendosi dietro l’obbligatorietà rifiutandosi di adoperare quel minimo di discrezionalità che le è dato di usare, e l’opposizione che reagisce per riflesso condizionato aggredendo il Governo sempre e comunque.
Alla fine però il vero colpevole è l’elefante nella stanza, che nessuno vuole vedere perché a tutti piace dire che la nostra Costituzione e le nostre Istituzioni che ne derivano sono le più belle del mondo; in realtà lo sarebbero, ma solo se il mondo fosse un posto ideale. E non lo è.
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