Quali investimenti? Piccole opere o Grandi opere?
Politici, Media, Confindustria, Ance, Unione Europea, sono tutti d’accordo su due miti.
1. Non investiamo abbastanza: “se solo avessimo più risorse per investire nei cantieri avremmo risolti i problemi della crescita”; “sono investimenti talmente strategici che non vanno conteggiati nel deficit del paese”.
2. Il vero sviluppo economico si fa con le grandi infrastrutture: “Certo va bene anche qualche piccola opera, ma per modernizzare il paese, per renderci competitivi servono le grandi opere, la TAV, l’alta velocità e cosi via.”
Sulle infrastrutture vi è un consenso bulgaro. Naturalmente si tratta di un falso mito, forse uno dei più sbagliati e più pericolosi della politica economica italiana. Le spese in conto capitale dell’Italia, in gran parte infrastrutture, sono state pari a 600 miliardi di euro (ai prezzi di oggi) nell’ultimo decennio. Circa un terzo del debito pubblico. Non abbiamo speso abbastanza? L’Italia ha speso in questo primo decennio tra il 2001 ed il 2010, mediamente 4,1% del PIL all’anno (circa 60 miliardi a prezzi correnti), verso 2,9% all’anno della Germania, 3,2% della GB, e 3,8% della media UE, compresi i paesi che hanno fatto massicci programmi di investimenti infrastrutturali quali la Spagna, e tutti paesi dell’Europa dell’est.
Un punto di PIL in più rispetto alla Germania vuol dire 16 miliardi circa l’anno di extra spesa. Con questo importo si potrebbe dimezzare l’IRAP. Oppure introdurre il reddito di cittadinanza. La domanda quindi è se dobbiamo spendere di più o invece se non dobbiamo spendere meglio? Una recente ricerca del McKinsey Global Institute (“Infrastructure productivity: how to save 1 Trillion a year”) evidenziava che, su scala globale, è possibile risparmiare il 40 per cento della spesa infrastrutturale, ottenendo gli stessi risultati in termini di efficacia delle infrastrutture. In pratica secondo la McKinsey in media nel mondo, si spreca quasi la metà della spesa. E in Italia?
In Italia, una parte importante degli investimenti è destinato al finanziamento e alla manutenzione delle infrastrutture soprattutto di trasporto e comunicazione. Una ricerca della Banca d’Italia, nel periodo 2000-08, mostra che gli investimenti annui in trasporto e comunicazione in Italia erano pari a quasi 3% del PIL, mentre in Francia erano 1,7%. In proporzione alle dimensione delle reti ferroviarie e autostradali (circa 40,000 km in Francia e circa 23,000 in Italia) il costo italiano è 3 volte quello francese e più del doppio di quello tedesco.
Il costo al chilometro della TAV è stato stimato 3 o 4 volte quello francese e spagnolo. Quali sono i motivi dei nostri costi esorbitanti?
Pesano la corruzione e la conformazione più montagnosa del nostro paese, ma pesa soprattutto il fatto che specie per le grandi opere, i costi sono sostenuti dal governo centrale, ma molte delle decisioni sono prese dalle amministrazioni locali. Questi non hanno nessun incentivo a risparmiare sapendo che esiste un pagatore di ultima istanza, cioè lo stato centrale.
In Italia la spesa è di scarsa qualità. Non solo per la bassa produttività e i costi alti (per esempio nelle grandi infrastrutture), ma anche per le scelte dei progetti spesso guidate dagli interessi dei costruttori o dei destinatari dei vari sussidi e non dagli interesse dei cittadini. Siamo sicuri che la TAV Bari-Napoli, che costa alcuni miliardi e riduce il tempo di attraversamento merci di 40 minuti, sia davvero utile? Una mozzarella o un divano hanno davvero bisogno di arrivare quaranta minuti prima?
“Tutto vero ma non si può negare che la spesa per infrastrutture generi dei posti di lavoro e rimetta in moto l’economia!” Questa l’obiezione del partito unico delle grandi opere. Falso. La componente di costo del lavoro nella spesa per una grande opera tipica è di circa il 25 per cento. Cioè solo un euro ogni quattro spesi va a pagare lo stipendio di un lavoratore. Il resto va in energia, macchinari, commissioni bancarie, studi di ingegneria, profitti del costruttore.
“Va bene, ma non consideri le ricadute economiche indirette della nuova autostrada a causa del minor tempo di percorrenza, più affari, più ricavi, più crescita. Se solo considerassi le esternalità positive, vedresti che le opere sono necessarie!” Questo il refrain del partito unico delle grandi opere. Falso. Le poche ricerche effettuate dimostrano che il profilo economico di un’opera è tanto migliore quanto più piccola è l’opera stessa. Infatti:
a) la ricaduta occupazionale delle piccole opere è intorno al 50 per cento, più del doppio delle grandi opere,
b) le opere con il miglior rapporto beneficio/costi sono quelle che riducono la congestione del traffico, un problema che colpisce soprattutto i centri urbani e richiede piccoli interventi sugli snodi,
c) le analisi del governo inglese, considerate rappresentative anche per altri paesi europei mostrano che le opere che costano più di un miliardo hanno un ritorno molto più basso.
La situazione è quindi chiara. In Italia non abbiamo un problema di quantità di spesa in infrastrutture ma di qualità della stessa. Cosa fare?
1. Introdurre la Co-partecipazione al finanziamento delle amministrazioni locali che beneficiano degli investimenti per evitare il fenomeno “tanto paga Roma” (es. modello già esistente in California)
2. Mettere in competizione proposte di investimento alternative (al livello nazionale, regionale o locale) valutate sulla base dei rapporti costi benefici in un processo trasparente. Una commissione di esperti “terzi” nazionali ed internazionali fornisce un parere indipendente sui costi, rischi vantaggi e svantaggi delle diverse proposte e le alternative sono dibattute pubblicamente attraverso una discussione in Rete.
3. Combattere la “lievitazione” dei costi attraverso due interventi:
- Si contrattano solo lotti funzionali di grandi opere (cioè che hanno di per sè qualche utilità funzionale per gli utenti), e non lotti costruttivi.
- Si contratta “a corpo”, cioè senza variazioni in corso d’opera. Questo vuol dire appaltare i lavori sulla base di un progetto esecutivo (ciò richiederà cambiamenti normativi).
4. Ridurre drasticamente gli investimenti in grandi opere e puntare su opere di piccola-media taglia quali interventi sulla viabilità per decongestionare il traffico nei punti critici all’interno o nelle vicinanze dei centri urbani, interventi di valorizzazione dei centri urbani, interventi di recupero ambientale e di messa in sicurezza di edifici in aree critiche, come scuole e ospedali.
In sintesi, si possono ridurre le spese di almeno dieci miliardi l’anno ed ottenere al tempo stesso risultati migliori puntando sulle piccole opere ed introducendo misure di razionalità economica e trasparenza nella scelta di quali opere finanziare. Perché non si fa?
Grandi opere muovono grandi interessi. Piccole opere, piccoli interessi. La prossima volta che un uomo politico si presenta alla lavagna con una lista di opere faraoniche che richiederanno decine o centinaia di miliardi e lavori per decenni riflettete prima di votarlo.
Tratto da www.officinedemocratiche.it
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