Reddito di cittadinanza o reddito minimo garantito?
Da un po’ di tempo purtroppo se ne parla davvero poco, anche gli stessi promotori del M5S sembrano averlo accantonato, mentre in fondo tra le altre forze politiche nessuno sembrava prenderlo sul serio e allora per nessuno sembra oggi serio discuterne, insomma il reddito di cittadinanza è caduto nel dimenticatoio della politica, sommerso dagli eventi . E’ stato il cavallo di battaglia del M5S sin dagli esordi e soprattutto nella campagna elettorale del 2013 è sembrata la vera trovata “rivoluzionaria” del movimento, che dalle parole vomitate sui palchi le ha tramutate in una elaborata proposta di legge presentata in Senato (n.1148/2013) a settembre del 2013. Poi però, giorno dopo giorno, tra una campagna elettorale e l’altra, tra una lotta intestina e l’altra, quella proposta tanto ambiziosa mano a mano sembra abbia perduto fascino persino ai loro occhi e si è affievolita e così i “grillini” nel frattempo hanno perso tempo a prendere di mira il Governo e Renzi più che a sostenere e divulgare il loro progetto (uno dei pochi realmente definiti!).
Eppure è una proposta quella del M5S sulla quale sarà necessario discutere prima o poi e non lasciarla nel dimenticatoio perché il problema di fondo resta: come contrastare la povertà, come aiutare i giovani e l’inclusione sociale, come diminuire la disuguaglianza? A queste domande bisogna trovare giuste risposte o quantomeno provare a darle! Sono problemi reali del Paese cui il M5S ha tentato, e questo è un gran pregio da riconoscere, di trovare una risposta globale, non una semplice “pezza”, un tentativo di portare la questione delle “ridistribuzione reddituale” nel dibattito politico e di conquistare la “folla” al progetto di un reddito di cittadinanza che aiuti il povero e lo renda meno isolato nella vita sociale.
E’ però doveroso precisare che la proposta “grillina” presentata in Senato non ha i requisiti di un “reddito di cittadinanza” vero e proprio bensì di un “reddito minimo garantito”, visto che così come impostato non sarà generalizzato a tutti i cittadini italiani (ricchi e poveri, lavoratori e pensionati ecc.) ma soltanto a quelli che necessitano di un sostegno rispetto alle proprie condizioni economiche, pertanto come da più parti evidenziato è necessario e obbligatorio che si cambi l’intestazione, non per puro formalismo ma effettivamente per non ingannare i cittadini: non è un reddito di cittadinanza generale quello proposto ma soltanto un reddito minimo!
La proposta del M5S si sostanzia in effetti sul supporto da erogare ai cittadini in difficoltà economica tramite un importo dello Stato, indicando delle limitazioni sulla base di una soglia di povertà cui far riferimento e sulla base di determinate condizioni familiari, insomma lo Stato sarà tenuto a riconoscere delle somme a sostegno del reddito “minimo” con valori che possono oscillare da 780 euro al mese nel caso di single, e con scale di valori che portano a seconda della presenza di figli ecc. ad importi più alti (es. 1 genitore e 1 figlio minore = 1014 euro mese). Sono previsti poi obblighi per i cittadini di rispondere a chiamate al lavoro, a rendersi disponibili per formazioni ecc., accentuando un forte impegno del Centro per l’impiego nella funzione di ingresso al lavoro o reingresso (questo ci sembra già il primo grande limite: il CPI non è mai riuscito a svolgere una funzione così penetrante nel mercato del Lavoro!) con decadenze eventuali dal beneficio in mancanza di accettazione di offerte lavorative (fino a 3 volte ma tenuto conto di vari aspetti fra i quali la corrispondenza con il proprio percorso formativo, lo stipendio, il luogo ecc.) ed altre regole di decadenza legate al superamento della soglia di povertà.
Insomma il tanto conclamato “ reddito di cittadinanza” di fatto sarà un reddito riconosciuto non a tutti ma solo a quelli più in difficoltà e che dovrebbe costare allo Stato circa 16 miliardi di Euro, una cifra non da poco viste le penurie del nostro Bilancio anche se non eccessivamente distante dai 10 miliardi del costo per gli 80 euro, del governo Renzi.
Una proposta seria dicevamo ma accantonata, una proposta però che non ci convince sia per la sua difficoltà d’applicazione e i suoi costi (le procedure di riconoscimento non sono certamente semplici così come la gestione delle richieste e le verifiche ) oltre che per la sua capacità innata di dissuadere le persone ad accettare lavori se questo non comporti un reddito superiore a quello di sostegno percepito. Infatti, se ipotizziamo un giovane cui venga riconosciuto l’importo di 780 euro mese quale reddito minimo di cittadinanza perché dovrebbe impazzire per andare a lavorare magari per 1000 euro al mese? Perché dovrebbe accettare un tirocinio formativo, quale forma di ingresso al lavoro, a 400 euro quando stando senza fare nulla ne prende 780? E questo cosa porterà alla lunga se non una disaffezione al lavoro e alla crescita? Inoltre tale meccanismo farà lievitare inevitabilmente il lavoro nero cui ricorreranno tutti pur di mantenere il sussidio e questo comporterà un vortice pericoloso da bloccare.
E’ però una proposta che attende un serio dibattito e una risposta “politica”, una controproposta, una nuova idea, un nuovo modo di affrontare la questione della povertà innanzitutto e che non può essere solo quella del SIA (troppo limitato!) o degli ammortizzatori sociali (solo per ex lavoratori), forse si potrebbe pensare ad altre forme quali ad esempio l’imposta negativa o ad altre forme di sostegno alla povertà che siano generalizzate e non favoriscano il lavoro nero o la negazione del lavoro stesso. Però parliamone!
Alessandro Latini
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