Russia – Ucraina: il punto di Orio Giorgio Stirpe
L’attesissimo incontro di Istanbul c’è stato, ma si è rivelato come previsto una pantomima crudele della “grande diplomazia” invocata scriteriatamente da chi s’illude che il modo migliore di porre fine alla guerra in corso sia “ripudiarla”. Ora la mia intenzione qui non è dire “l’avevo detto”, perché come si sa non ho un prodotto da vendere, e avere ragione non mi serve a niente. Il mio intento è cercare di spiegare come le cose non potessero andare diversamente, se non magari nella forma più esteriore, a causa della posizione strategica complessiva degli attori protagonisti. Vediamo di scorrerli velocemente uno alla volta.
PUTIN E LA RUSSIA
La posizione strategica della Russia non è invidiabile. Una Potenza regionale a livello militare convenzionale, superpotenza nucleare e grande esportatore di materie prime con un PIL da Nazione di media grandezza in Europa, guidata da un leader con ambizioni imperiali e un ego ipertrofico, si trova impelagata in un conflitto armato convenzionale simmetrico senza sbocchi contro una Nazione complessivamente più debole nella misura di 1:3. Il rapporto di forze è tale da lasciare l’iniziativa strategica alla Russia, ma non da consentirle libertà di azione, mentre le condizioni complessive del Sistema-Nazione è tale da permettere solo una guerra di attrito che consuma le risorse ad un ritmo molto superiore rispetto ai guadagni che offre sul campo.
In queste condizioni, Putin ha probabilmente ormai compreso di non avere alcuna prospettiva di vittoria militare. Il mancato defenestramento di Gerasimov e la sopravvivenza politica di Shoigu testimoniano la continuità del patto costitutivo fra il Regime e le Forze Armate e quindi la monoliticità perdurante del potere putiniano. Gli unici alleati di fatto della Russia rimangono Iran e Corea del Nord, il cui sostegno rimane però limitato dalle rispettive scarse capacità di generare risorse: possono entrambi solamente svuotare i propri depositi a favore dell’alleato, ma unicamente nella misura in cui possono permetterselo a fronte dei rispettivi avversari diretti a loro militarmente superiori: Israele e Corea del Sud. La Cina rimane un alleato incompleto: disponibile ad un effettivo sostegno politico-diplomatico, ma solo ad un minimo supporto economico e a nessun reale aiuto militare; di fatto Beijing appare più intenta a lucrare sulla situazione economica e a contenere i rischi politici creati dall’avventura scriteriata del suo “eterno alleato”.
Non potendo vincere sul campo o contare su un intervento decisivo di alleati esterni, a Putin resta solo l’opzione di ottenere un successo politico: per ottenerlo deve screditare l’immagine dell’avversario di fronte ai suoi alleati, scardinare l’alleanza occidentale che lo sostiene e raggiungere una situazione per cui la posizione di Zelensky risulti talmente debole da costringerlo a chiedere la pace pur non risultando militarmente sconfitto. Per ottenere questo risultato, Putin deve riuscire ad apparire vincitore in una realtà virtuale da creare mediaticamente e da “vendere” sul mercato dell’informazione. Riuscire a creare l’immagine prevalente di un’Ucraina sconfitta potrebbe condurre ad una rottura del fronte occidentale di sostegno a Kyiv, e conseguentemente ad un indebolimento di Zelensky e ad un crollo del morale ucraino.
In questa strategia, diventa fondamentale separare l’America dal fronte occidentale, e quindi sfruttare l’”effetto Trump” in funzione “pacifista”. Di qui, la necessità di allisciare il Presidente americano e soddisfare le sue pulsioni narcisistiche dandogli corda il più possibile, ma senza deflettere dagli scopi di fondo dell’”Operazione Militare Speciale”.
ZELENSKY E L’UCRAINA
La posizione strategica ucraina non è migliore di quella russa: economicamente è messa meglio grazie al sostegno europeo, ma le sue opzioni politiche e militari sono minime. La perdita del sostegno incondizionato americano (peraltro da sempre timido) costringe Zelensky a massimizzare quello europeo, ma le risorse militari disponibili grazie alla produzione domestica e al sostegno EU consentono unicamente di mantenere l’attuale posizione di stallo. Il fronte interno si mantiene saldo, ma nel contempo impone il mantenimento di una posizione diplomatica rigida: qualsiasi cedimento nei confronti della Russia comporterebbe un crollo della popolarità del Governo e quindi in effetti le “carte” da giocare rimangono sostanzialmente quelle di resistere militarmente ad oltranza cercando di massimizzare il sostegno occidentale che si può ottenere.
In tale situazione, a dispetto della delusione per il percepito “tradimento” americano, Zelensky è costretto a mantenere un rapporto con Trump cercando di accattivarsene se non le simpatie personali almeno quelle politiche: in questa ottica appare chiaro l’intento di dimostrare “gratitudine” all’amministrazione USA e la disponibilità a seguirne la linea proposta, volta a creare un percorso diplomatico perlomeno apparente e tale da soddisfare i desideri di Washington.
TRUMP E L’AMERICA
In questo scenario dove la realtà virtuale percepita sembra contare quanto e più di quella effettiva sul campo, a dispetto delle improvvisazioni e delle ingenuità diplomatiche della nuova Amministrazione, Washington è effettivamente l’unico attore con delle “carte” valide immediatamente spendibili: su questo, Trump ha ragione.
Le “carte” in questione sono le risorse militari. Tanto la Russia che l’Ucraina stanno raschiando il fondo dei rispettivi barili, e i loro alleati effettivi – Iran e Corea del Nord da una parte ed Europa dall’altra – hanno sostanzialmente dato quello che potevano: ulteriori risorse potranno essere rese disponibili in futuro, ma non nell’immediato. Con la Cina concentrata sul Pacifico e decisa ad evitare una guerra commerciale a colpi di dazi o peggio ancora di sanzioni, l’America rimane l’unica Nazione con una disponibilità sostanziale di materiale bellico moderno e prontamente (o quasi) utilizzabile, potenzialmente in grado di alterare il presente equilibrio militare.
I carri armati, i veicoli da combattimento per fanteria, le artiglierie semoventi, i mezzi di supporto al combattimento e gli aerei tattici dei depositi statunitensi, avanzati dalla Guerra Fredda ma conservati a costo elevato dal Pentagono (a differenza dell’Europa che ha svenduto o smaltito i propri) potrebbero essere ceduti all’Ucraina in numeri anche elevati.
In passato si sperava (io in particolare lo credevo ovvio, ma evidentemente sbagliavo) che Biden li avrebbe ceduti gratuitamente, ma adesso Trump potrebbe decidere di venderli: direttamente all’Ucraina attraverso il recente trattato per lo sfruttamento delle risorse minerarie, oppure all’Europa perché li giri a Kyiv nell’ambito dei propri programmi militari. In questo modo Trump ridurrebbe il peso economico del mantenimento di tale materiale, otterrebbe un immediato ritorno economico, e conseguirebbe un notevole risultato politico dimostrando il proprio potere, facendo dell’Ucraina un “vassallo” militare dipendente appunto dal mercato degli armamenti americano; priverebbe anche la Cina di un alleato potente e soprattutto apparirebbe al mondo come un vincitore.
Naturalmente tutti gli altri attori sono perfettamente consapevoli di questa opzione militare americana, e sono impegnati in un gioco diplomatico tendente a portare Trump a fare la cosa più utile per loro: Putin vuole che le armi americane restino dove sono, mentre Zelensky vuole che gli vengano consegnate, non importa come. Di qui, la tendenza di entrambi a soddisfare il più possibile le istanze di Washington: se non nella sostanza, almeno nell’apparenza.
In quest’ottica, dove, come detto, la realtà virtuale si sovrappone a quella effettiva sul campo, Trump appare l’attore protagonista che egli stesso desidera essere, ma in realtà è l’oggetto delle manovre diplomatiche e delle attività ibride dei contendenti. Da parte sua, lui rimane essenzialmente focalizzato sulla politica interna, sulla lotta contro i democratici e sul mantenimento della propria base elettorale attraverso i promessi successi economici, mentre l’azione diplomatica rimane “di contorno”. Quindi se la mediazione diplomatica non darà risultati a breve, se ne disinteresserà per tornare a concentrarsi sulle agende che più gli stanno a cuore, e rimarrà aperto ad ogni soluzione che gli fornisca un ritorno economico immediato e soprattutto visibile.
…E L’EUROPA?
A differenza degli altri attori, ovviamente l’Europa non è un giocatore coeso e con una politica unitaria. Qui si trasla ad una disamina strettamente politica (a causa dei Rapporti fra le Nazioni componenti e soprattutto delle loro rispettive politiche interne), quindi la mia competenza cala in maniera corrispondente.
Di fatto, per come la vedo io, l’Europa ha la capacità economica di continuare a sostenere l’Ucraina per il tempo necessario (un anno o due), e quella militare di difendere sé stessa almeno fino al termine del conflitto. La capacità politica di condurre un’azione diplomatica coerente e costante è meno ovvia. A mio parere, sia la Commissione che i Governi principali sono sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda, decisi a sostenere l’Ucraina fino in fondo; il “come” farlo però dipende dai rispettivi problemi e crea divergenze. La Commissione, si sa, dispone di forti leve economiche ma ha poco potere politico e nessuno diplomatico. I “Volenterosi” hanno Governi fortemente pro-Ucraina, ma devono fare i conti con opposizioni politiche domestiche filo-russe molto forti: in UK Farage, in Francia Le Pen, in Germania l’AfD, tutti dati in crescita. Questo li spinge ad azioni rapide e decisive, nella speranza di ottenere un successo prima delle prossime rispettive elezioni.
In Italia la situazione è completamente diversa: i filo-russi all’opposizione NON sono in crescita, però esiste una componente filo-russa al Governo, e Meloni, pur non essendo preoccupata per la tenuta complessiva del proprio Governo, deve tenere conto della fronda all’interno di esso, e questo la costringe ad una politica più prudente e apparentemente separata dagli alleati europei. Di fatto però l’azione rimane sostanzialmente unitaria nel sostegno politico ed economico all’Ucraina e nel riarmo europeo.
Da queste differenze emerge il comportamento complessivo di un’Europa incapace di iniziative decisive, ma impegnata in un’azione costante di sostegno a lungo termine dell’Ucraina e di consolidamento delle proprie capacità militari: un’azione poco incisiva ma costante, e che potrà dare risultati solo a lungo termine. Di fatto, non sarebbe possibile fare di più. Sostanzialmente, quindi, l’Europa rimane semplicemente il solido retroterra economico e diplomatico dell’Ucraina, che gioca la propria partita forte del suo sostegno anche se apparentemente da sola. In questo senso, l’Ucraina non solo è già parte integrante ed effettiva dell’Europa, ma ne è anche la componente più attiva.
CONCLUSIONE
Da quanto sopra si ricava il fatto che qualsiasi trattativa diplomatica al momento è impossibile, e ciò a cui assistiamo non è altro che una pantomima da parte degli attori principali, volta a cercare di agire sull’unico complesso di risorse militari immediatamente disponibili e in grado di alterare l’equilibrio militare attuale: le riserve americane. Trump ritiene di avere le carte in mano, ma in realtà queste carte sono meno pesanti di quanto egli stesso creda: infatti gli altri attori gli riconoscono la disponibilità di tali riserve e per questo gli dimostrano un comportamento rispettoso che non mostrerebbero verso nessun altro aspirante mediatore (fosse l’ONU, il Brasile o il Papa); ma non sono disposti a deflettere dalle proprie necessità strategiche per accontentarlo… E lui non dispone – contrariamente alle sue aspettative – né del prestigio né del peso politico necessario a costringerli a farlo.
Quindi, inevitabilmente, la guerra continua. La realtà sul campo, a dispetto di quella virtuale creata ad arte dai vari attori attraverso i media, continua a imporre la sua cruda superiorità.
ORIO GIORGIO STIRPE (da facebook)


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