Una scuola da ricostruire

Un articolo di Gianfranco de Turris tratto da www.barbadillo.it

La scuola italiana da un bel pezzo è ridotta in macerie e trasformata in una specie di  campo di battaglia nel senso letterale  del termine. Essa (insieme alla famiglia) dovrebbe essere il luogo istituzionale dove si formano le giovani e future generazioni, ma da troppo tempo sembra essere una terra di nessuno dove tutti fanno quel che vogliono nella indifferenza generale. Forse sarebbe meglio dire: in cui tutti sono contro tutti.

In una ventina di anni si sono susseguite riforme fra loro contrastanti durante governi di opposte idee  politiche che non hanno creato certezze e imponendosi comunque poco alla volta un lassismo totale che non ha fatto il bene degli alunni ed ha abituato malissimo i loro genitori che poi è la generazione nata dopo il famigerato Sessantotto: promozione garantita a tutti, abolito da un ministro ex DC l’esame di riparazione con l’invenzione dei “crediti”, gli alunni dovevano trattare i docenti come amiconi e viceversa, nessun rispetto per un luogo istituzionale e ci si poteva vestire come al pub o in spiaggia con calzoni sbrindellati e magliette stazzonate, le ragazzine con l’ombelico al vento. Non si usa più la divisa o il grembiule, ma di fronte a certe esagerazioni li si rimpiange. A monte c’è la perdita di autorevolezza (ben diversa dall’autoritarismo) degli insegnanti senza per questo essere meno ”amici” degli studenti ma con rispetto, e che deriva anche dalla frustrazione di essere ancora pagati una miseria. Ecco perché la disciplina non esiste più.

Non è finita  perché si è raggiunta una situazione in precedenza inimmaginabile verificandosi adesso scene di “guerra civile” scolastica: alunni che aggrediscono i docenti anche in classe, ragazzi che entrano a scuola con i coltelli in tasca e feriscono i compagni e i professori, tanto che si dovrebbe dotare ogni edificio di un metal detector per impedirlo, genitori che  malmenano  docenti e presidi per un rimprovero o un brutto voto al loro figlioletto che a priori ha sempre ragione, occupazioni  con ogni scusa “politica” che nulla ha a che vedere con la cultura o l’istruzione e dove si infiltrano non-studenti, gruppuscoli ideologizzati e centri sociali estranei agli alunni, che devastano le classi, distruggono le suppellettili, saccheggiano i locali, demoliscono i bagni con danni per centinaia di migliaia di euro. Tutto ciò senza alcuna reazione e senza alcuna condanna perché si tratterebbe di azioni giustificate da superiori motivazioni “morali” o “ideali”, ma le cui spese ricadono sul ministero o sui singoli istituti, cioè sulla comunità, su noi tutti. Pesanti conseguenze non sanzionate e proprio per questo considerate una norma da replicare senza problemi sia a livello collettivo (occupazioni violente) sia a livello individuale (aggressioni).

Ora il ministro della Istruzione (e del Merito!) Giuseppe Valditara, docente di diritto romano e che quindi capisce assai bene certi presupposti normativi e certi valori generali, un poco alla volta sta, così mi sembra, cercando di fare ordine da un lato nei principi e dall’altro  nei piccoli fatti quotidiani, quelli che servono a regolare l’attività di convivenza civile per far uscire la scuola dal Far West in cui è caduta, per poi in futuro, si spera, mettere mano al livello esplicitamente didattico.

Ha cominciato con la proibizione di portare in classe i cellulari, o meglio gli smartphone che ormai sono in pratica computer tascabili tuttofare, che devono essere lasciati all’ingresso e inserirti in una custodia chiusa e che saranno restituiti all’uscita; poi ha indicato come regolamentare il loro uso e quello dei tablet durante le lezioni, che devono essere usati solo se necessari al tipo di lezione e per dialogare con l’insegnante, e non certo per uso personale, per divertirsi e distrarsi durante le lezioni. Per il capitolo occupazioni la misura è stata drastica e concreta per porre freno all’anarchia, e si rifà al tradizionale proverbio: chi rompe paga, chi sporca pulisce, in questo seguendo il ministro della Cultura Sangiuliano che ha fatto approvare una dettagliata legge in merito per la quale sono stati ad esempio  condannati appartenenti a “Ultima De-generazione”, gli imbrattatori  del portone del Senato, a pagare decine di migliaia di euro (ma li pagheranno mai?). Vale a dire: i danni provocati alla struttura sono a carico solo degli occupanti e non della scuola o di tutti gli studenti, anche se il problema pratico da risolvere non è facile e troverà molti ostacoli, cioè l’identificazione degli occupanti, per cui le forze dell’ordine dovrebbero intervenire non per sloggiarli ma solo per identificarli e sapere così chi dovrà pagare eventuali devastazioni.

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