Armarsi rende inevitabile la guerra?

Sostenere che la prima causa delle guerre sia la corsa agli armamenti (da ultimo Travaglio: https://tinyurl.com/54xs42kh ) è come sostenere che la prima causa dei temporali siano i venditori di ombrelli e poncho; fateci caso: ogni volta che spuntano fuori, di lì a poco il temporale scoppia.

Nel corso della storia le guerre sono iniziate per mille motivi, che siano volontà di sottomettere il nemico, impadronirsi di rotte e commerci o delle sue risorse. Quella in Ucraina non fa eccezione: è scoppiata perché la Russia intendeva impadronirsi dell’Ucraina, non certo perché disponesse di alcune migliaia di mezzi blindati dei quali non sapeva cosa farsene. La corsa agli armamenti è semmai un effetto, non la causa. Se la causa manca, come mancò nei lunghi decenni della guerra fredda, la guerra non scoppia.

Se una regola generale può trovarsi, invece, è che la guerra viene mossa da chi, a torto o a ragione, è convinto di migliorare la sua posizione con le armi. È quindi necessario che si abbia ben chiaro che ciò non può succedere e l’equilibrio del terrore della guerra fredda era funzionale allo scopo: in caso di conflitto nucleare, infatti, nessuno dei contendenti, anche se vincitore sulla carta, ne sarebbe uscito in condizione migliore, perché tutti ne sarebbero usciti distrutti. Ciò che bisogna impedire, quindi, è che la guerra diventi un buon affare.

Tornando a noi, e all’Ucraina. Ciò che potrebbe veramente essere causa di guerra (futura) sarebbe premiare la Russia, dimostrare che la sua invasione di 3 anni fa abbia raggiunto un suo scopo, sia esso il dominio totale o parziale sull’Ucraina. Qualora la Russia dovesse ricevere una ricompensa per la sua guerra, allora sì, si spalancherebbe la possibilità di rivivere, in un futuro più o meno prossimo, lo stesso film: se è andata bene con l’Ucraina, perché non provare con l’Estonia? Perché non chiudere il corridoio di Suwałki (https://tinyurl.com/4p6d2tee ) e ricongiungere Kaliningrad alla madre patria? Perché non riprendere il controllo sul Mar Baltico che, 35 anni fa, era un lago del Patto di Varsavia mentre oggi lo è della NATO, in particolare dopo l’ingresso di Finlandia e Svezia nell’alleanza atlantica? Le motivazioni teoriche, in poche parole, non mancherebbero a chi si sente orfano della passata potenza dell’URSS.

Cedere alle richieste russe, quindi, chiamare pace la resa degli ucraini, chiamando diplomazia la cessione di terre che il diritto internazionale riconosce come ucraine, può quindi, per paradosso, preludere alla guerra (futura): da una parte si ricompensa l’aggressore, piegando alla legge del prepotente il diritto internazionale, dall’altro si crea un risentimento negli sconfitti che, prima o poi, cambiate le attuali condizioni politiche, potrà portare ad un nuovo conflitto in cerca di rivincite. Il riarmo, d’altro canto, se è finalizzato a render chiaro che una guerra non è un buon affare, potrebbe avere l’effetto non di farla scoppiare ma, invece, di allontanare il conflitto perché l’aggressore potrebbe essere costretto a pensarci due volte prima di invadere il vicino.

Le guerre non scoppiano se non c’è volontà di farle scoppiare, e scoppiano perché si ritengono un buon affare. In Europa, per fortuna, questa volontà manca, anche perché in 80 anni abbiamo dimostrato ad abundantiam che a vivere in pace ci guadagniamo tutti. Si tratta di preservare questa pace, e quest’Europa.

Jack Daniel (da facebook)

(Foto di Dariusz Sankowski da Pixabay)

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