Contro il precariato per riprendersi la bellezza della vita (di Simona Davoli)
Sono belli e incazzati i giovani che in questi ultimi anni sono scesi in piazza il contro il precariato. Una generazione che ha subito fin troppo e che ora dice basta a questa brutta realtà che non li rappresenta.
Ma l’idea di bellezza verso cui tendono le ragazze e i ragazzi che combattono questo sistema precario del lavoro, non è l’idea del bello imposta dalla società dell’immagine attuale fatta di apparenza e estetiche innaturali. Quello di cui ci si vuole riappropriare è un concetto di bellezza legato alla tradizione della Grecia antica.
Un’idea per cui la bellezza e’ l’armonia del tutto. E proprio per denunciare il disordine e la disarmonia della società italiana odierna che costringe le sue menti più preparate ad emigrare all’estero e relega in una specie di sottoscala emotivo e professionale i cervelli che restano che si continua a protestare contro un governo che con la sua riforma del lavoro sembra non aver compreso affatto la gravità del sistema del lavoro italiano e le conseguenze tragiche che questo sistema sta provocando.
Oggi viviamo in una realtà che costringe un’intera generazione di persone brillanti e colte a fare da assistenti, e spesso da schiavetti, a un folto gruppo di over 60 ignoranti e prepotenti che hanno dalla loro solo il peso (e non la forza) degli anni e dei posti fissi.
Non ne possiamo più di un’Italia che ci costringe ad imparare, dopo anni di studio, l’unica lezione che non abbiamo mai voluto apprendere, ovvero che una raccomandazione vale più di un buon curriculum. Non se ne può più di una realtà dove l’operaio non può più avere il figlio dottore, grazie ad un Paese in piena discesa sociale.
Noi che abbiamo dalla nostra la forza delle idee nuove e dei nostri studi, siamo pronti a riprenderci con ogni mezzo quel pezzo di bellezza della vita che ci è stato rubato dallo squallore dell’Italia dell’ultimo ventennio.
Noi non abbiamo colpe. Abbiamo studiato e lavorato come muli per veder realizzato quelli che consideravamo essere i nostri diritti prima ancora che e i nostri sogni.
Vogliamo goderci la bellezza di avere un figlio senza dover decidere se farlo o no in base ad un rinnovo contrattuale. Vogliamo avere la possibilità, a trent’anni, di ospitare degli amici in una casa di proprietà che abbiamo potuto comprare grazie a un mutuo che le banche ci hanno concesso. Vogliamo poter tornare a dormire serenamente, senza svegliarci nel mezzo della notte all’idea della scadenza trimestrale del contratto di lavoro. Vogliamo, in conclusione, poter tornare a goderci le cose belle che la vita ci offre.
Con le manifestazioni, i flashmob e le sporadiche apparizioni tv, chiediamo che il nostro non sia considerato lavoro atipico, ma lavoro e basta. E che quindi sia retribuito dignitosamente con contratti che ci permettano di esprimere le nostre capacità, senza essere tenuti al laccio da un giogo padronale che oramai sembra essere tornato di moda.
Per riappropriarci della bellezza della vita che ci è stata sottratta non vogliamo barattare più nulla. Questo è il nostro tempo. Questa è la nostra vita e se non avremo risposte siamo disposti anche a scendere in piazza ogni giorno (imparando dal popolo arabo, se serve) per fare una nuova rivoluzione, bella e possibile.
Simona Davoli
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