I fatti di Colonia e i valori da trasmettere
Interessante riflessione dello scrittore algerino Kamel Daoud sui fatti di Capodanno a Colonia pubblicata domenica 10 gennaio da Repubblica. La riproponiamo in sintesi perché con equilibrio e chiarezza tocca i vari aspetti di questa vicenda.
I fatti di Colonia riflettono “l’immagine che gli occidentali hanno dell’Altro, il rifugiato/immigrato: spiritualismo esasperato, terrore, riaffiorare della paura di antiche invasioni e base del binomio barbaro/civilizzato”. … e ciò “ha già riaperto il dibattito sull’opportunità di rispondere alle miserie del mondo accogliendo o asserragliandosi”.
Continua Kamel Daoud “Spiritualismo esasperato? Già. In Occidente l’accoglienza pecca di un eccesso di ingenuità. Del rifugiato vediamo lo stato ma non la cultura. È la vittima sulla quale gli occidentali proiettano pregiudizi, senso del dovere o di colpa. Si scorge in lui il sopravvissuto, dimenticando che è anche vittima di una trappola culturale che deforma il suo rapporto con Dio e con la donna.
In Occidente il rifugiato o l’immigrato potrà salvare il suo corpo ma non patteggerà altrettanto facilmente con la propria cultura, e di ciò ce ne dimentichiamo con sdegno. La cultura è ciò che gli resta di fronte a sradicamento e traumi provocati in lui dalla nuova terra. In alcuni casi il rapporto con la donna – fondamentale per la modernità dell’Occidente – rimarrà incomprensibile a lungo, e ne negozierà i termini per paura, compromesso o desiderio di conservare la “propria cultura”. Ma tutto ciò può cambiare solo molto lentamente. Le adozioni collettive peccano di ingenuità, limitandosi a risolvere i problemi burocratici e si esplicano attraverso la carità”.
Osserva lo scrittore algerino che il rifugiato non è certo un selvaggio, ma è sicuramente un diverso che ci pone problemi molto più grandi del munirlo di pezzi di carta che giustifichino la sua presenza ed offrirgli un posto dove dormire. “Occorre dare asilo al corpo e convincere l’animo a cambiare. L’Altro proviene da quel vasto universo di dolori e atrocità che è la miseria sessuale nel mondo arabo-musulmano. Accoglierlo non basta a guarirlo. Il rapporto con la donna rappresenta il nodo gordiano nel mondo di Allah. La donna è negata, uccisa, velata, rinchiusa o posseduta. È l’incarnazione di un desiderio necessario, e per questo ritenuta colpevole di un crimine orribile: la vita”.
Tutte le colpe della donna si concentrano sul suo corpo perché “Il corpo della donna è il luogo pubblico della cultura: appartiene a tutti, ma non a lei”. “La donna è la posta in gioco, senza volerlo. Sacralità, senza rispetto della propria persona. Onore per tutti, ad eccezione del proprio. Desiderio di tutti, senza un desiderio proprio. Il suo corpo è il luogo in cui tutti si incontrano, escludendola. Il passaggio alla vita che impedisce a lei stessa di vivere”.
Secondo Daoud “È questa libertà che il rifugiato, l’immigrato, desidera ma non accetta. L’Occidente è visto attraverso il corpo della donna: la libertà della donna è vista attraverso la categoria religiosa di ciò che è lecito o della “virtù”. Ed è per questo che “Il corpo della donna non è visto come luogo stesso di libertà, in Occidente un valore fondamentale, ma di degrado. Per questo lo si vuole ridurre a qualcosa da possedere o a una nefandezza da velare”.
Prosegue la riflessione “Colonia è dunque il luogo dei fantasmi. Quelli elaborati dall’estrema destra che evoca le invasioni barbariche e quelli degli aggressori, che vogliono che il corpo sia nudo perché è “pubblico” e non appartiene a nessuno”. Insiste Kamel Daoud in un concetto chiave del suo scritto “non si vuole ancora capire che dare asilo non significa semplicemente distribuire “carte” ma richiede di accettare un contratto sociale con la modernità”.
Qui arriva il giudizio più duro sull’immaginario che deriva dalla religione islamica. “Nel mondo di “Allah”, il sesso rappresenta la miseria più grande. Al punto da dare vita a un porno-islamismo a cui i predicatori ricorrono per reclutare i propri “fedeli”, evocando un paradiso che più che a una ricompensa per credenti somiglia a un bordello, tra vergini destinate ai kamikaze, caccia ai corpi nei luoghi pubblici, puritanesimo delle dittature, veli e burka. L’islamismo è un attentato contro il desiderio. E talvolta questo desiderio esplode in Occidente, dove la libertà appare così insolente. Perché “da noi” non esiste via d’uscita se non dopo la morte e il giudizio universale. Ritardo che fa dell’uomo uno zombie, o un kamikaze che sogna di confondere la morte con l’orgasmo, o un frustrato che spera di raggiungere l’Europa per sfuggire alla trappola sociale della propria debolezza”.
La conclusione di Kamel Daoud è che non bisogna chiudere né le porte né gli occhi. Bisogna concepire l’accoglienza come una lunga opera nella quale i rifugiati e gli immigrati “non possono essere ridotti a una minoranza delinquenziale”. La loro presenza “ci pone di fronte al problema dei “valori” da condividere, imporre, difendere e far capire”. Una responsabilità della quale non possiamo non farci carico
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