Hamas perde, ma Israele con Netanyahu non vince

A un mese dal 7 ottobre si può dire che Hamas ha vinto la guerra della comunicazione e che il massacro degli israeliani è stato un buon investimento. Costato poco in termini di popolarità sta rendendo moltissimo. Innanzitutto è stato dimenticato rapidamente, ma anche le reazioni a caldo si sono subito orientate contro Israele ritenuta responsabile dell’esasperazione dei palestinesi senza distinguere tra quelli di Gaza, pienamente liberi dal 2005, e gli altri.

Appena l’esercito israeliano ha iniziato a reagire colpendo obiettivi militari a Gaza, contro Israele si è scatenata la rivolta sia delle piazze arabe che di quelle occidentali. Gli scontri hanno causato molte vittime civili lasciati apposta allo scoperto perché fossero coinvolti nelle operazioni di guerra. Inutilmente l’esercito israeliano ha invitato gli abitanti ad allontanarsi. Invece di favorire lo spostamento Hamas ha cercato di impedirlo continuando a sparare i suoi razzi da strutture civili. Lo scopo dichiarato da Ismail Haniyeh leader dell’organizzazione dal suo comodo hotel di Doha è quello di versare il sangue di donne, bambini e anziani palestinesi per risvegliare lo spirito combattente. Così le masse arabe si sono subito ritrovate nell’odio per Israele e per gli ebrei. Gli accordi di pace in discussione (con l’Arabia Saudita) si sono bloccati e gli stati arabi che li avevano già raggiunti sono stati messi sotto accusa. Una potenza regionale come la Turchia si è messa apertamente dalla parte di Hamas. Nei paesi occidentali le uniche manifestazioni di massa che hanno accomunato Stati Uniti e paesi europei, sono state quelle contro Israele con parole d’ordine false (la causa palestinese che con Hamas non c’entra nulla) o apertamente islamiste (Palestina libera dal fiume al mare significa la cancellazione di Israele). Le piazze si sono riempite e la componente di immigrazione musulmana ha fatto sentire il suo peso condizionando la reazione di alcuni governi. Atti di aggressione contro luoghi e simboli ebrei si sono diffusi sia negli Usa che in Europa come mai era avvenuto in passato. L’ONU ha votato una risoluzione su iniziativa di quaranta stati che condanna Israele, ma non Hamas.

Un capolavoro di tattica con Israele attirato in una guerra a Gaza (inevitabile dopo il massacro del 7 ottobre) che non voleva combattere e subito messo sotto accusa per questo. Hamas ha anche aumentato la sua popolarità tra i palestinesi di Cisgiordania ponendo così le basi per un allargamento del conflitto. I successi politici del movimento islamista però si fermano qui. Nessun paese arabo si è accodato al Jihad contro Israele. Persino Iran ed Hezbollah si sono tirati indietro forse intimoriti dalla reazione degli Stati Uniti che hanno schierato navi e sottomarini, ma anche un’offensiva diplomatica senza precedenti. In pratica Hamas è rimasto solo con le piazze musulmane e con quelle occidentali che ben presto si stuferanno di urlare slogan demenziali radicati per le prime in un pericoloso fanatismo religioso e per le seconde in una totale confusione di idee e di identità.

Gli islamisti però hanno una strategia che non è uno stato per i palestinesi, ma la distruzione di quello israeliano e lo sterminio degli ebrei. Come abbia fatto un messaggio di morte universale di questa portata a trascinare in piazza i manifestanti in Occidente pone domande cruciali. Ma come faccia questo messaggio di guerra totale a mobilitare le masse musulmane ne pone altre ancora peggiori. L’opinione pubblica occidentale che si mobilita contro Israele giustifica tutto in nome della debolezza dei palestinesi di fronte alla potenza israeliana dimenticando che i palestinesi vengono tenuti alla catena a Gaza da ben 17 anni da parte di Hamas che usando il territorio come base militare e i suoi abitanti come scudi umani.

La realtà che viene ignorata è molto semplice: Israele è uno stato di pochi milioni di abitanti circondato da centinaia di milioni di musulmani che le sono ostili; suo è l’interesse a vivere in pace perché ha costruito l’economia più dinamica dell’intero Medio Oriente e del nord africa e la società più libera. Ha bisogno di collaborare con i palestinesi non di farci la guerra.

Federico Rampini scrive sul Corriere che “Il principio per cui i più poveri hanno sempre ragione non viene applicato solo a favore dei palestinesi e contro Israele. Ha generato conseguenze in molti altri campi: dall’immigrazione clandestina alle politiche verso la criminalità, fino all’atteggiamento verso i Paesi ex coloniali che sembrano aver diritto a risarcimenti perpetui (a prescindere dall’uso dissennato che le loro classi dirigenti fanno di quei risarcimenti). La ricchezza dell’Occidente, o quella di Israele, è diventata la prova schiacciante di una colpa”.

Rampini ha cercato di capire le radici delle correnti antioccidentali che si mobilitano in aiuto di quel sud del mondo visto come una specie di luogo della debolezza inconsapevole e irresponsabile anche se spesso è dominato dalla corruzione, dall’ignoranza e dalla violenza. Ben pochi scendono in piazza contro regimi spietati come la Russia, la Cina, la Corea del nord o l’Iran e nessuno contro l’islamismo che si propone di conquistare il mondo. Il colpevole di tutto è sempre l’Occidente. Gente che ha sfruttato tutte le possibilità che il progresso occidentale le ha offerto, compresi milioni di immigrati, improvvisamente rinnega l’idea stessa di progresso e sogna un ritorno alla natura selvaggia arrivando a scorgere nei guerriglieri e nei terroristi una manifestazione di purezza. Le piazze occidentali soffrono di un infantilismo patologico alimentato da incredibili farneticazioni di intellettuali più o meno importanti (la filosofa Judith Butler teorica del femminismo queer, del sesso come costrutto sociale, ha definito Hamas e Hezbollah movimenti sociali progressisti che appartengono alla sinistra globale).

L’urgenza del momento non sono però le fastidiose piazze occidentali verso le quali sarebbe bene sviluppare il massimo della lotta politica e intellettuale perché si tratta di minoranze rumorose e aggressive alimentate anche dai troppi immigrati islamisti che vivono qui, ma ci odiano. L’urgenza è che Israele abbia un altro governo. Questo guidato da Netanyahu e sotto ricatto dei partiti estremisti di destra, non può indicare nessuna strategia perché l’unica che aveva ha portato ad una rafforzamento di Hamas e al disordine permanente in Cisgiordania. Le incredibili dichiarazioni di Netanyahu di voler occupare Gaza parlano chiaro: con questa maggioranza di governo la guerra sarà per sempre perché non sa come uscirne. Gli Stati Uniti hanno parlato con una chiarezza mai vista in precedenza, ma Netanyahu sta giocando il tutto per tutto pensando che il ricatto funzioni anche per la presidenza Usa e con la chiara intenzione di arrivare fino alla desiderata rielezione di Trump.

La guerra tra Israele e Hamas è un buco nero di violenza e distruzione dal quale si esce sconfiggendo gli islamisti che l’hanno voluta, ma anche offrendo una prospettiva di vita ai palestinesi. Non più guerre, ma convivenza pacifica e sviluppo. Il Medio Oriente ha bisogno di pace e deve essere lo stato israeliano per primo a dichiarare i propri obiettivi contrapponendo all’ideologia di morte dell’Iran e dei fondamentalisti islamici la vita e la libertà che l’Occidente ha saputo difendere e diffondere. Per questo è urgente cacciare estremisti e Netanyahu dai vertici dello Stato e aprire una strada nuova

Claudio Lombardi

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