Il lavoro che si spegne tra casse integrazioni e blocco dei licenziamenti
Il lavoro di moltissime persone nel periodo “pandemico” si è spento. Si è ripiegato sin da subito in se stesso, fra un pesante lockdown imposto dalle autorità e le sue infinite paure. Si è spesso rifugiato, pur di sentirsi vivo, in un “finto” smart working per molti. Per altri è stato un chiaro segnale del prossimo addio al posto di lavoro , tra una cassa integrazione e una crisi senza fine. Insomma il lavoro fra marzo e maggio, per la maggior parte dei lavoratori, è morto e l’assassino è stato il Covid 19, ma non solo.
E’ stato tenuto in vita artificiosamente mentre tutto intorno crollava questo sì, ma si era compreso sin dai primi giorni che non c’era e non c’è scampo: il lavoro ante-pandemia l’abbiamo perduto. In molti lo hanno visto svanire, andarsene, scivolare dalle proprie disponibilità e dal proprio futuro. Ora che si è finalmente ripartiti – tra incertezza e polemiche con una miriade di problemi in tutti i settori economici, tra una le fasi 2 e 3 che stentano a decollare del tutto e con un PIL annunciato da tempi di Guerra – il lavoro continua arranca, si ritrova sommerso di parole ed attenzioni speciali, viene additato come “il problema” ma resta al palo e non si comprende da dove partire per risollevarlo.
In questi mesi abbiamo visto nascere e morire diverse Task force governative ma nessuna specifica sul lavoro. Perché? Mancanza di idee o rassegnazione? I numeri sullo stato del mercato del lavoro sono impietosi e lo saranno via via sempre di più, con valanghe di espulsioni dalle aziende a partire dal giorno della fine del blocco ai licenziamenti fissato al 17 Agosto e con la fine prossima del ricorso agli ammortizzatori sociali. Possiamo starne certi: ci sarà un esercito di disoccupati e inoccupati (più di un milione?) che si aggirerà nel Paese senza speranza, cui nessuno sembra sia in grado di dare alcuna risposta e non si sa se ci sarà un sostegno economico dignitoso. A partire dal prossimo autunno la tensione sociale è destinata a crescere.
Possiamo affermare che il Governo non ha fatto nulla? Certo che no, il Governo è stato pronto e attivo su questo fronte, si è mosso nella direzione di salvaguardare il lavoro sin dai primi giorni dell’emergenza, ha cercato soldi per finanziare gli ammortizzatori sociali e ha promesso respiro ai lavoratori, li ha tenuti attaccati al loro posto di lavoro. Ha, però, sbagliato usando uno strumento complesso e confuso per fronteggiare l’emergenza – le varie tipologie di cassa integrazione e non una sola – che ha portato a molti ritardi nel mettere nelle tasche dei lavoratori i soldi.
Il governo, infatti, con il decreto legge Cura Italia aveva messo a disposizione per le aziende varie tipologie di integrazioni salariali per 9 settimane e, contemporaneamente, aveva bloccato la possibilità di effettuare licenziamenti economici per 60 giorni. Lo scopo era non far perdere lavoro e reddito, rinviando tutto alla fine dell’emergenza. A maggio con il decreto legge Rilancio ha rinnovato di alcune settimane gli ammortizzatori sociali con ulteriori 5 settimane da usufruire entro il 31 agosto più altre 4 tra settembre e ottobre e, contemporaneamente, ha deciso di prolungare il blocco dei licenziamenti al 17 agosto, lasciando scoperte alcune settimane tra questo termine e la ripresa delle integrazioni salariali. In pratica lasciando ai datori di lavoro l’onere di colmare il “buco” di reddito tra la fine del blocco dei licenziamenti e la ripresa dell’integrazione salariale.
Ha sbagliato a fare i conti? Un mero errore? Certo è che il venir meno della contemporanea presenza di ammortizzatori sociali e divieto di licenziare pone molti interrogativi a partire dalla legittimità di imporre un divieto di licenziare. È ovvio pensare che le aziende in una situazione economica drammatica possano avere necessità di riorganizzarsi anche con un ridimensionamento e non solo sopravvivere per alcuni mesi congelando la loro situazione. Di qui una domanda cruciale: che valore economico ha mantenere in vita un lavoro decotto o inutile?
E’ decisivo, pertanto, che il Governo riallinei la Cassa integrazione con il blocco dei licenziamenti e lasci libere le aziende di muoversi e riorganizzarsi, aumentando l’importo della Naspi per i lavoratori espulsi (molti la preferiscono essendo di importo più alto della Cassa integrazione!). E’ decisivo che il Governo passi all’attacco sulla questione Lavoro, fornendo ai datori nuovi strumenti e nuove opzioni anche per il mantenimento in servizio dei propri lavoratori, che apra ai contratti a termine senza lacci e lacciuoli, che apra a tutto quello che è possibile utilizzare per consentire alla gente di lavorare, senza badare troppo oggi alla forma, magari anche agevolando nuovi contratti flessibili e un ritorno persino ai voucher. C’è bisogno che almeno per un anno vengano eliminate tutte le barriere (soprattutto ideologiche) che frenano le assunzioni e il mantenimento in servizio, riducendo gli oneri per le aziende.
Alessandro Latini
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