Il mondo che non capiamo e che ci respinge

Anche quest’anno nel messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica l’evocazione della pace ha avuto un ruolo centrale. Nei discorsi ufficiali delle nostre cariche istituzionali così come in quelli dei leader politici è d’obbligo il richiamo alla pace. Che è piuttosto strano considerando che dall’Italia dall’8 settembre del 1943 non arrivano minacce di guerra. Mattarella, però, chiarisce: “La pace che non significa sottomettersi alla prepotenza di chi aggredisce gli altri Paesi con le armi, ma la pace del rispetto dei diritti umani, la pace del diritto di ogni popolo alla libertà e alla dignità”. Come si fa a non essere d’accordo? L’Italia vuole la pace, ma che sia giusta. Benissimo. Manca però qualcosa a queste affermazioni perché se l’Italia non fa la guerra e vuole la pace giusta il grande interrogativo è sui passi successivi. Come si fa a contrastare quelli che la guerra la perseguono come strumento di affermazione del loro potere? Aiutando chi resiste. Così abbiamo fatto con l’Ucraina sia pure con molti limiti e tra mille dubbi dell’opinione pubblica. Così non abbiamo fatto con Israele. Al contrario, abbiamo contribuito a far passare la narrazione che lo stato ebraico, piccolo e composto da pochi milioni di abitanti e da 80 anni obbligato a difendersi da guerre ed aggressioni terroristiche da parte degli stati arabi e musulmani della regione, sia in realtà l’aggressore.

In questi due casi si avverte molta ostilità verso chi si difende e lotta per sopravvivere. Perché? Fra le tante spiegazioni ne scegliamo due. In primo luogo c’è l’astrazione nella quale abbiamo messo le nozioni di “pace” e di “guerra” come scelte etiche e non politiche. In questo modo incombe anche sull’aggredito la responsabilità di scegliere comunque la pace e non la guerra. Il messaggio all’opinione pubblica è che la pace debba prevalere sempre anche a prezzo di un cedimento. L’esatto contrario di ciò che si fece nella guerra contro la Germania nazista e grazie alla quale siamo liberi. In secondo luogo c’è il favore per quelli che si contrappongono al sistema occidentale che sarebbe il maggiore responsabile delle ingiustizie nel mondo. Per questo, persino dittature spietate come quella nazionalistica di Putin o quella teocratica degli ayatollah iraniani possono riscuotere comprensione e simpatie nei paesi occidentali. D’altra parte il Papa all’inizio dell’invasione dell’Ucraina non indicò come una causa degna di menzione “l’abbaiare della Nato ai confini della Russia”? Una spiegazione della guerra ancora molto in voga. La radice culturale è l’ostilità per l’Occidente e per gli Usa in particolare. Una radice profonda che nemmeno una guerra di conquista di un paese libero riesce a smuovere. Eppure Putin e i suoi ideologi lo avevano proclamato il loro progetto che mira alla ricostituzione dell’impero sovietico. L’errore di calcolo è stato quello di pensare che l’Ucraina sarebbe caduta in poche settimane e che la minaccia della guerra atomica avrebbe bloccato la Nato. Ha sbagliato, ma i paesi occidentali sono stati molto attenti a non spingere per una vittoria militare dell’Ucraina dosando gli aiuti in modo che non ci fosse un tracollo delle armate russe. Dunque la minaccia atomica ha funzionato e le opinioni pubbliche europee si sono divise condizionando i governi. Ora è tardi per rimediare, ma dovrebbe essere chiaro che una vittoria sia pur parziale in Ucraina porterà solo ad altre guerre. Il disegno è quello di una Russia a capo dell’Eurasia con un’Europa vassalla abbandonata dagli Stati Uniti. Un disegno folle che, però, non trova un’adeguata resistenza negli stati europei e negli Usa. Biden non aveva capito bene cosa si stava giocando con la sua moderazione e oggi il rischio è che gli Usa di Trump comincino lo sganciamento dall’Europa che ha scoperto solo adesso la sua estrema debolezza. A Putin basterà essere molto accorto per chiudere prima la guerra in Ucraina e poi cominciare a “lavorare ai fianchi” altri paesi non membri della Nato, offrendo qualcosa agli europei a partire dal gas per ottenere la loro neutralità e la loro amicizia. Un disegno che prescinde dalla debolezza militare che la Russia ha mostrato in questi tre anni, ma che punta a consolidare alleanze e sostegni in campo internazionale.

Contrapposizione all’Occidente è la motivazione anche dei movimenti che dicono di battersi per la causa palestinese che campeggia sulla scena internazionale dal 1948 senza mai arrivare ad una pace. Non possono farla. Gli arabi di Palestina sono stati il più grande investimento fatto dagli antisionisti. Molti hanno usato i palestinesi (chiamati così con geniale invenzione per legarli a quel territorio solo negli anni ’70 pare su suggerimento dell’Urss) per i loro fini,  ma l’obiettivo principale è sempre stato espellere Israele dal Medio oriente. Come è noto non solo Israele ha vinto tutte le guerre, ma ha anche concluso trattati di pace con i principali stati arabi della regione. Si apprestava a concludere quello cruciale con l’Arabia saudita quando l’Iran ha deciso di scatenare Hamas per arrivare ad una guerra totale sperando di prevalere ed assumere il controllo della regione. L’Iran ha capito che con i Patti di Abramo si sarebbe chiusa l’epoca delle guerre contro Israele. Doveva usare per l’ultima volta la carta del massacro dei palestinesi per chiudere quella porta. Loro pensavano che gli stati arabi non sarebbero rimasti a guardare il sacrificio dei palestinesi messi da Hamas in prima fila davanti alle bombe perché fossero uccisi. I capi lo hanno anche proclamato, ma nei paesi occidentali, chi doveva capire la verità ha fatto finta di niente sposando il progetto genocidario degli islamisti racchiuso in uno slogan che è sempre quello del 1948: “Palestina libera dal fiume al mare”. Il piano non è riuscito, nessuno stato arabo è sceso in guerra e adesso non ha senso sperare in un cessate il fuoco che darebbe solo tempo agli apostoli della guerra di rigenerarsi.

Per questi motivi auspicare genericamente la pace porta solo a non capire la realtà e a rendere incomprensibile la storia spingendo verso la passività e il disinteresse. Così facendo non si presentano all’opinione pubblica le vere scelte di fronte alle quali sono posti gli stati.

Non ci piace, ma la realtà del mondo è che è in corso un attacco di entità statali e non statali ai paesi occidentali, alla loro cultura e ai loro valori che ha motivazioni geopolitiche, economiche e ideologiche. Buttarsi su scelte etiche non serve a nulla e porta a cullarsi in uno status quo che verrà meno in breve tempo. Saremo chiamati noi italiani a scelte di bilancio molto difficili e non potremo sottrarci. Quando l’esigenza di una moltiplicazione delle spese militari si renderà indispensabile capiremo quanto abbiamo sprecato per decenni all’ombra della protezione americana. Lo capiranno tutti gli stati europei tranne quelli, come la Polonia, che lo hanno già capito perché sanno di essere in prima linea. Capiremo anche come la competizione tra economie diventerà aspra e ci renderemo conto che la scala di priorità che ha assegnato non più tardi di cinque anni fa all’Europa il compito di salvare il pianeta guidando una transizione energetica senza basi industriali si rivelerà insensata e distruttiva. L’Unione europea manifesterà tutta la sua fragilità e la sua inadeguatezza a guidare un’area di 450 milioni di persone e l’utopia del federalismo europeo non potrà resistere alla prova della realtà.

Purtroppo è facile pensare che la democrazia farà fatica a sopravvivere sottoposta a questi stress e al dilagare di entità incontrollabili attraverso internet che indirizzeranno le scelte delle persone. I processi che portano a questo mutamento sono in corso da anni e sarà difficile contrastarli.

La nostra libertà è diventata il campo di gioco di chi vuole togliercela.

Claudio Lombardi

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