Ottaviano Del Turco: un colpevole errore giudiziario

Dei conflitti tra politica e magistratura si parla da almeno trent’anni, ma la vergogna dell’attacco alla Banca d’Italia da parte della Procura di Roma con l’imputazione del Governatore Baffi e l’arresto del direttore generale Sarcinelli con accuse poi rivelatesi completamente infondate risale al 1979. Da ultimo c’è stato il caso del Presidente della regione Liguria Toti tenuto agli arresti domiciliari per tre mesi e quindi impossibilitato a svolgere le sue funzioni per un’indagine iniziata quattro anni fa (nessuna urgenza quindi) e quello ventilato per un presunto traffico di influenze di Arianna Meloni per aver partecipato, da segretaria di FdI, alle consultazioni per individuare le persone da nominare a cariche dipendenti dal governo. Per quest’ultimo è giunta la smentita della Procura di Roma, ma è servito per attirare l’attenzione sulla possibilità reale che si svolgesse un’indagine su un caso inesistente per l ‘assoluta insindacabilità dell’iniziativa giudiziaria di un PM.

Il caso di Ottaviano Del Turco è diverso. Si è tornati a parlarne in occasione della sua morte il 23 agosto. Lui fu condannato in via definitiva prima a 9 anni e 6 mesi e poi dopo un lungo iter processuale a 3 anni e 11 mesi vedendo cadere tutte le accuse salvo quella di induzione indebita in virtù della quale avrebbe indotto l’imprenditore della sanità privata abruzzese Angelini a versargli sei milioni di euro. Tutto comprensibile se di quei soldi fosse stata trovata almeno una traccia nei movimenti finanziari imputabili a Del Turco. Così non fu e, in pratica, l’unica prova restò fu l’accusa di Angelini ritenuta valida da tribunali, corti di appello e Cassazione. Il caso ci deve interessare perché è la dimostrazione che il sistema giudiziario è una macchina capace di distruggere una persona per non smentire sé stesso, ovvero i magistrati. Ammettere l’errore avrebbe significato scoperchiare qualcosa di ben più grave e così si impresse una macchia indelebile sulla reputazione di Del Turco dirigente della Cgil, dirigente del Psi, deputato, senatore, europarlamentare, ministro, presidente della regione Abruzzo. Un bersaglio ghiotto da additare all’odio anticasta e da ritenere pregiudizialmente colpevole.

Quella che segue è una sintesi di due articoli scritti su Il riformista il 10 e 11 dicembre 2020 (qui e qui i relativi link) da Gian Domenico Caiazza avvocato che ha difeso Ottaviano Del Turco nei processi.

“Ottaviano Del Turco commise un solo – ma fatale- errore, nella sua esperienza di Governatore dell’Abruzzo: ritenersi più forte dell’immenso potere esercitato dalla sanità privata in quella Regione. Prima in campagna elettorale, poi appena eletto, perseguì – starei per dire con sorprendente impudenza, ma questo era l’uomo- la priorità politica di ricondurre nella legalità il rapporto tra sanità pubblica e privata, istituendo finalmente un meccanismo di controllo serio e credibile sull’immenso flusso di denaro pubblico che confluiva senza freni nella sanità privata convenzionata. In tre anni al governo della Regione – come alla fine hanno dovuto prendere atto, dalla Corte di Appello in avanti, gli stessi suoi giudici- la Giunta Del Turco, semplicemente accertando irregolarità ed illegittimità retributive del più vario genere, aveva revocato alle cliniche private abruzzesi qualcosa come un centinaio di milioni di euro.

Quando, il 14 luglio 2008 la Polizia Giudiziaria venne a prenderlo a casa per portarlo in carcere (insieme a mezza sua Giunta regionale), l’ordinanza di custodia cautelare che Ottaviano, incredulo, poté leggere era scritta interamente recependo senza filtri le dichiarazioni di due signori: Vincenzo Maria Angelini, proprietario del più importante gruppo di cliniche private abruzzesi; e Luigi Pierangeli, presidente dell’Aiop, associazione di categoria che raggruppava tutte le restanti cliniche private diverse da quelle del gruppo Angelini. Il cento per cento della Sanità privata abruzzese dava il benservito alla Giunta che aveva osato tanto. I due gruppi erano in realtà in forte competizione tra di loro; ma l’obiettivo fu infine convergente.

Questa incredibile e quasi maniacale attività di denuncia fu recepita dalla Procura di Pescara senza una sola obiezione, ed infine trasfusa pari pari in un incredibile raffica di capi di imputazione per abuso in atti di ufficio, falsi ideologici e chi più ne ha più ne metta, dei quali – ascoltatemi bene – non uno solo, dico non uno solo, è sopravvissuto all’impietoso giudizio di inesistenza dei fatti, ovviamente solo dopo la incredibile sentenza di primo grado che, asseverando invece senza esitazioni la bontà di quelle denunce, condannò Del Turco a dieci anni di reclusione. Nulla, una montagna di chiacchiere pretestuose, gratuite, infondate, grossolanamente speculative, odiosamente saccenti, desolantemente insensate dal punto di vista tecnico-giuridico, utilissime però a fare fuori quella Giunta, come puntualmente accadde.
Si ipotizzò che il rivale di Angelini avesse ragione a denunciare i favoritismi per le cliniche di quest’ultimo e che il motivo dovesse essere la corruzione. Angelini però negò, ma gli venne contestata la sottrazione di ben 60 milioni dai conti delle sue aziende. Qui arriva la svolta. Scrive Caiazza che il Procuratore capo dott. Trifuoggi, fece presente ad Angelini che se avesse dichiarato che quei soldi gli erano necessari perché costretto a pagare la politica, da potenziale indagato sarebbe diventato persona offesa perché concusso da Del Turco e sodali. Ovviamente Angelini, a breve, dichiarò che una parte dei soldi sottratti alle sue aziende servivano proprio a quello scopo.

Le prove addotte erano di due tipi: le ricevute dei telepass autostradali con uscita sempre allo stesso casello e delle foto: una che ritraeva Angelini con una mazzetta di denaro in mano; un’altra con una figura sfocata con una busta in mano sul vialetto di casa Del Turco e un’altra ancora di Angelini con un sacchetto pieno di mele e castagne. Tutto qui.

Anche la Corte di Appello, che demolirà i quattro quinti delle accuse ritenute provate in primo grado, manterrà la residua condanna agganciata a questa follia. E la Corte di Cassazione, che a sua volta annullerà anche il capo di associazione per delinquere che la Corte di Appello aveva incomprensibilmente mantenuto in vita, dirà: non siamo giudici di merito, non entriamo nella dinamica del fatto, ma questa è l’unica dazione rispetto alla quale vi è un principio di prova (le foto ed il racconto dell’autista) e quindi questo residuo brandello della vicenda lo dobbiamo salvare. Ebbene sì Ottaviano Del Turco è stato condannato in via definitiva per corruzione a svariati anni di reclusione sulla base di queste “prove”. Tracce di quel denaro nella disponibilità di Del Turco non furono mai trovate. Questa sì che era una prova vera, ma non se ne tenne conto.

Caiazza ricorda un passaggio del dibattimento in udienza. «È esatto dire che non avete riscontrato né un euro, né la traccia di un euro che non avesse una giustificazione su risorse finanziarie pregresse ai fatti che interessano questo processo?», chiedo in udienza al Colonnello Favia della Guardia di Finanza. «Sostanzialmente è giusto», è la sua risposta.

Continua l’articolo di Caiazza: la Corte di Appello de L’Aquila, in accoglimento di larga parte del nostro appello, ci assolve – e con noi i nostri coimputati – da quasi tutte (21!) le fantomatiche tangenti, facendo salve quelle in qualche modo riferibili alle leggendarie foto delle mele. Da sei milioni e trecentomila euro, ora ne avremmo invece presi ottocentomila. Ma soprattutto, ci assolve (per insussistenza dei fatti) da tutti – tutti – i reati che avremmo commesso per favorire Angelini in cambio del denaro. Tutti. La Giunta Del Turco, ammette ora la Corte, non ha mai sviato l’amministrazione della sanità Regionale in favore di nessuno (anzi, ad Angelini, il favorito, ha decurtato 68 milioni di euro!). E quindi, questa associazione per delinquere si sarebbe costituita intorno a quale obiettivo? Non si sa. E Angelini perché avrebbe dovuto dare del denaro a chi gli ha decurtato 68 milioni di euro? Boh. La Corte di Cassazione annullerà poi anche la associazione per delinquere (il fatto non sussiste, sancirà definitivamente il giudice di rinvio), salvando solo, come ho detto, le dazioni riconducibili alla tragicomica storia delle foto. Così si impicca un uomo ad un errore giudiziario, quando esso è troppo, davvero troppo grande per poter essere interamente ammesso e riconosciuto dal sistema, che si autoprotegge, per quanto possibile.

Hai arrestato il Presidente di una Regione democraticamente eletto, e mezza sua Giunta; hai interrotto il corso democratico di una istituzione elettiva; hai coperto di ignominia uomini pubblici e le loro famiglie. Tutto questo sul nulla: in questa Italia divenuta orgogliosamente patria della forca e del linciaggio, ci vogliono non dei giudici, ma degli eroi che abbiano la forza di sancire che fu tutto un enorme, grossolano, imperdonabile “errore” giudiziario. Nella vicenda giudiziaria di Del Turco, questo di fatto è stato ammesso, ma salvando un pezzettino di quella indecenza, giusto un pezzettino, al quale chi ne fu responsabile possa aggrapparsi.

Claudio Lombardi

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