Riforme istituzionali: la strada giusta già c’è e allora?
Sembra quasi strano non commentare i temi del momento, quelli che campeggiano sulle prime pagine e in testa ai notiziari televisivi: la legge elettorale e la riforma del Senato.
Bè veramente ci sarebbe anche la continua caduta del Pil, l’aumento della disoccupazione e la battaglia in Europa per la flessibilità di bilancio. Ma queste sono questioni che ci vengono proposte sempre dopo le altre due. Chissà, forse ci sbagliamo a sottovalutarle e hanno ragione i giornalisti e i politici a metterle al primo posto. Eppure resta un dubbio.
Diciamo la verità: si profila una legge elettorale che introduce il ballottaggio e che si basa su collegi piccoli con pochi candidati e già così si avvicina molto a quanto necessario per voltare pagina rispetto alla situazione attuale. Qualche cambiamento si potrà introdurre durante l’esame, ma, insomma, sembra che la strada sia quella giusta. D’altra parte perfino il M5S sta partecipando alle trattative per cercare la soluzione migliore.
Anche sul Senato possiamo dire che le ragioni del monocameralismo e i difetti del bicameralismo sono stati così discussi negli anni passati che riesce difficile adesso comprendere un dibattito che sembra ricominciare sempre da capo.
A parte il modo in cui è stato usato il bicameralismo perfetto (che basterebbe per non avere alcun rimpianto) non si può negare che la questione dell’elezione diretta dei senatori è collegata sia alle funzioni che il Senato dovrà svolgere, sia alla scelta di fondo tra bicameralismo paritario e bicameralismo diversificato. Se si sceglie questa seconda opzione e se la funzione che si vuole far svolgere al Senato è quella della rappresentanza delle autonomie regionali e locali diventa difficile sostenere l’elezione diretta da parte dei cittadini la quale non può che essere collegata ad un piano paritario tra le camere del Parlamento.
Non si può nemmeno sostenere che la riforma del Senato sia una strada senza ritorno o una svolta autoritaria perché la situazione di provenienza (tutti gli eletti nominati dai capi partito) era quella più favorevole ad un regime di svuotamento della democrazia. Quella nella quale abbiamo vissuto dal 2005 ad oggi e non quella che si vuole costruire. Quindi, se la democrazia italiana è sopravvissuta a quella situazione (generando anche degli anticorpi molto efficaci come il M5S e il nuovo PD oltre che lo sfaldamento del centro destra), perché dovrebbe rischiare dalla riforma in discussione oggi?
Conclusione: le riforme istituzionali sono importanti perché oggi non abbiamo legge elettorale e perché il sistema politico si è rivelato inefficiente e utile soprattutto a chi di politica vive e non ai cittadini. Una maggioranza parlamentare si è già formata e potrebbe allargarsi intorno a soluzioni che sembrano essere sulla strada giusta. Quindi discutiamone molto, ma non perdiamo di vista che le questioni cruciali sono le altre (e su queste siamo in alto mare) – caduta del Pil e disoccupazione più austerità europea – e che gridare alla svolta autoritaria per suscitare allarme fra i cittadini può solo contribuire ad allontanarli dalla politica che, spesso e volentieri, discute solo su se stessa.
Claudio Lombardi
Non condivido niente Claudio. Il modello “sindaco d’Italia + sindaci sul territorio” dalla riforma costizionale, da quella elettorale e da quella sulle province umilia la democrazia in questo paese e tutti i corpi intermedi cancellando i pesi e contrappesi che servono tra poteri nazionali e tra poteri locali proprio per evitare autoritarismi e sviluppo diseguale del paese.