Senza difesa non c’è pace

“No ai soldati, no alle spese in armi.” È una frase che attraversa le piazze, i social, le coscienze. Fa bene al cuore, suona pulita. Ma nel mondo reale non basta mai a fermare il sangue. Perché la pace – quella vera, non quella disegnata a colori pastello sulle bandiere – non è un dono del cielo. È un’architettura fragile costruita in un mondo dove il male non va in vacanza.

C’è chi si ostina a pensare che basti volerla, la pace. Che basti dichiararsi “contro la guerra” per meritare un’aura di superiorità morale. Ma cento anni di storia ci dicono l’opposto. Da quando il Novecento ha aperto i suoi cancelli di ferro con due guerre mondiali e li ha chiusi con la polvere di Baghdad e i droni di Kabul, la lezione è sempre la stessa: la pace non arriva da chi la invoca, ma da chi la difende.

L’ILLUSIONE DEI BUONI SENTIMENTI

Nel 1919, dopo la Prima guerra mondiale, si disse: “Mai più guerre.” Si crearono la Società delle Nazioni, le conferenze di pace, le dichiarazioni solenni. Ma vent’anni dopo, le stesse nazioni “civilizzate” firmavano accordi con dittatori e chiudevano gli occhi di fronte alle persecuzioni. Credevano di comprare la pace con la codardia. Pagavano la sicurezza con l’illusione. In cambio ottennero solo la catastrofe. Quell’errore lo chiamiamo “pacifismo ingenuo”. È la convinzione che, se smetti di armarti, l’altro farà lo stesso. È la fede cieca nel disarmo unilaterale, come se la moralità di uno potesse redimere la ferocia dell’altro. Ma la storia è spietata con i sognatori: Hitler non fu fermato dalle preghiere, Stalin non si commosse davanti alle risoluzioni, e oggi nessun tiranno si ferma davanti ad un hashtag.

L’ETA’ DELLA DETERRENZA

Dopo la Seconda guerra mondiale, l’umanità imparò la lezione: non esiste pace senza forza. Nacque la deterrenza. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si armarono fino ai denti, eppure non si spararono mai direttamente. Paradosso crudele: la guerra fu evitata non grazie ai pacifisti, ma grazie alla paura reciproca. La bomba atomica divenne una garanzia di sopravvivenza, nonostante la sua natura mostruosa.

Certo, era una pace imperfetta, fatta di ipocrisie, spionaggi, guerre per procura. Ma evitò l’apocalisse globale. Quella fragile architettura tenne in equilibrio il mondo per quarant’anni. Eppure oggi, molti che vivono nei suoi benefici la giudicano con disprezzo, dimenticando che la libertà europea è figlia anche di quella minaccia costante.

LA PACE DEGLI ALTRI

Negli ultimi trent’anni, dopo la caduta del Muro, l’Occidente si è raccontato una favola. “La storia è finita”, dicevano gli economisti e i politologi; il mercato globale avrebbe sostituito i carri armati. Era la nuova religione del progresso. Le guerre sarebbero state solo errori del passato, e la democrazia si sarebbe diffusa da sola, come il Wi-Fi.Invece no. I Balcani si sono riempiti di fosse comuni. L’Africa è diventata teatro di guerre dimenticate. Il Medio Oriente ha preso fuoco, un Paese dopo l’altro. E in Europa, un esercito con la Z sui carri armati ha riportato la guerra di trincea nel 2022.

Chi oggi urla “no alle spese militari” sembra ignorare che ogni volta che l’Occidente si ritira, qualcuno riempie il vuoto: milizie, autocrazie, regimi fondati sulla paura. Non sono gli eserciti a distruggere la pace: spesso la mantengono. È l’assenza di potere che genera il caos.

IL DISARMO MORALE

C’è un disarmo più pericoloso di quello militare: quello morale. È la rinuncia a distinguere tra aggressore e aggredito, tra libertà e oppressione. È la postura di chi dice “sono contro tutte le guerre” come se fossero tutte uguali, come se difendersi o invadere fossero atti equivalenti. Così facendo, si premia il cinismo dei forti e si condanna la resistenza dei deboli. La pace, in realtà, non è l’assenza di conflitto, ma il risultato di un equilibrio dinamico fra forze. Chi non lo capisce, finisce per confondere la resa con la saggezza. E quando la resa diventa virtù, la libertà diventa un lusso che pochi possono permettersi.

CHI CERCA DAVVERO LA PACE?

Tutti dicono di volerla, ma quanti sono disposti a costruirla? Cercare la pace significa impegnarsi nella diplomazia, nella giustizia internazionale, nel contrasto ai regimi che calpestano i diritti umani. Ma significa anche – e questo nessuno vuole ammetterlo – mantenere forze di difesa pronte a intervenire quando la parola non basta più. Perché non tutti la cercano, la pace. C’è chi cerca solo la vittoria. C’è chi usa la pace come arma di propaganda mentre finanzia milizie, censura dissidenti, opprime popoli. E c’è chi, in Occidente, preferisce fingere di non vedere, per non sporcarsi le mani con la realtà. Il problema non è solo morale: è politico, strategico, storico. La pace non è un diritto automatico, ma un dovere continuo.

IL PREZZO DELLA LUCIDITA’

Essere pacifici non è la stessa cosa che essere pacifisti. Il pacifico sa che la pace va difesa, anche con mezzi imperfetti. Il pacifista assoluto crede che ogni difesa sia un’aggressione. E quando le bombe cadono sugli altri, trova conforto nel dire che “la guerra è sempre sbagliata”, dimenticando che a volte è la guerra degli altri a mantenere la sua pace. Cento anni di storia ci hanno mostrato che i conflitti non nascono solo da cattiveria, ma da squilibri economici, ideologici, culturali. Non basta disarmare i soldati; bisognerebbe disarmare l’odio, la fame, la propaganda, l’ingiustizia. E per farlo servono risorse, istituzioni, forze di sicurezza credibili, e un sistema internazionale che non si pieghi alla paura.

Chi dice “no alle spese in armi” dovrebbe rispondere a una domanda semplice: e se domani il tuo vicino decide che la tua libertà gli dà fastidio, chi la difende? I tweet? Le bandiere arcobaleno? O gli uomini e le donne che, pur detestando la guerra, sanno che a volte la pace si salva solo restando in piedi?

IL MONDO NON E’ UNA FAVOLA

Il mondo non è una favola a colori. Non lo era nel 1940, non lo era nel 1968, non lo è nel 2025. Ci sono regimi che bruciano libri, lapidano donne, perseguitano minoranze, imprigionano chi pensa. E ci sono nazioni che, mentre sventolano parole di pace, finanziano quella violenza perché conviene ai loro affari. La pace è diventata marketing, diplomazia di facciata, strumento di potere morbido. Eppure c’è ancora chi crede che basti sognare per cambiare il mondo. Non è cattiveria, è ingenuità. Ma l’ingenuità, nella storia, ha sempre avuto conseguenze sanguinose. Dietro ogni slogan “no alle armi” ci sono migliaia di persone che possono permettersi di pronunciarlo solo perché qualcun altro, in un altro tempo, ha impugnato un’arma per difendere la libertà che oggi li fa parlare.

UNA LEZIONE LUNGA UN SECOLO

Dall’Europa postbellica alla Corea, dal Vietnam all’Ucraina, dall’Afghanistan all’Africa subsahariana, la storia ci ha insegnato che la pace non è mai neutra. Ogni pace ha un prezzo: o la paghi tu, o la pagano gli altri. Puoi scegliere di chiudere gli occhi, ma non puoi scegliere le conseguenze. E allora forse la domanda da porre non è più “chi vuole la guerra?”, ma “chi è disposto davvero a costruire la pace?”. Perché la pace non si ottiene disarmando i propri eserciti, ma disarmando l’ipocrisia. Non si ottiene urlando “basta armi”, ma pretendendo che quelle armi siano usate per difendere la libertà, non per distruggerla. Non si ottiene con i sogni, ma con la lucidità. La pace vera è un compromesso fra la ragione e la forza, fra il coraggio e la paura, fra l’umanità e la realtà. Chi la cerca davvero non la promette, la costruisce – giorno per giorno, con mani sporche e coscienza pulita. Perché dire “no ai soldati” è facile. Capire che senza di loro non esisterebbe nemmeno il diritto di dirlo – quello è difficile.

Luigi Giliberti (da facebook)

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