Sussidi o lavoro? Il problema dietro le sommosse in UK
Dopo che Roma conquistò Cartagine l’economia dell’Italia centrale cambiò rapidamente: si passò dalle piccole proprietà rurali ad un’economia basata su grandi proprietà latifondiste. I vecchi occupanti, che campavano su un piccolo podere, furono espulsi con le buone o con le cattive e sui latifondi cominciarono a lavorare gli schiavi che, in quel secolo (il II a.C) affluivano a centinaia di migliaia grazie alla conquista del bacino del Mediterraneo avvenuta nell’arco di pochi decenni.
I plebei espulsi dalle campagne si riversarono a Roma, e formarono una sorta di sottoproletariato urbano che poi si riconobbe nei Gracchi e diede origine ad un secolo di guerre civili.
La colpa della loro condizione veniva da loro ricondotta a due categorie di persone: i ricchi e potenti (i patrizi avidi) e fino a qui poco da discutere; ma poi, in quella stessa plebe, si faceva largo un senso di disprezzo verso gli schiavi stessi, definiti razza infida e sempre nemica.
Quei plebei erano vittime ante litteram della modernizzazione (si passava da un’economia di sussistenza o quasi ad una, molto più produttiva, basata sul latifondo) e della globalizzazione (oramai ogni podere non bastava più a sé stesso, ma si produceva per l’esportazione, magari in mercati lontani).
Il post di Martino Mazzonis (ora ripubblicato su civicolab QUI ndr), che consiglio di leggere, descrive una situazione odierna lontana 2000 anni e 2000 chilometri dalla Roma di allora, ma che si presenta in molte parti dell’Occidente attuale. Comunità britanniche di lavoratori che perdono il loro status un tempo rispettabile di minatori o operai o pescatori e si trovano ai margini del mondo attuale, vivendo in gran parte di sussidi. Non è solo un senso di povertà, ma di esclusione. Gli operai e i minatori erano la base della ricchezza e della creazione del valore, e i primi a saperlo erano loro stessi: avevano redditi modesti, ma sapevano benissimo di essere centrali nell’economia della Nazione e avevano, detto in altri termini, un forte potere contrattuale per cui, scioperando, costringevano la Nazione a interessarsi a loro.
Oggi il problema è che queste ex classi lavoratrici soffrono sia di basso reddito che di esclusione sociale: non sono più centrali, sono un peso, non hanno più potere contrattuale (se sciopera un percettore di sussidio, a chi reca danno, a chi può importare qualcosa?) e si fanno ascoltare solo con azioni eclatanti, talvolta distruttive. L’assistenza che viene distribuita serve, fondamentalmente, a evitare che masse ingenti si riversino nella metropoli, a Londra, come avvenne per Roma 2000 (e passa) anni fa. Rimangono quindi ai margini sia della creazione del valore (che avviene a Londra, nella moderna economia finanziaria) sia della società in generale. Si crea quindi un senso di frustrazione che porta a pigliarsela con gli immigrati, capro espiatorio indicato dalle destre in tutto il mondo, perché mettere in discussione la vera causa, il processo di modernizzazione e globalizzazione, è cosa troppo grande e, apparentemente, senza soluzione. Le destre, quindi, offrono alla pubblica collera i radical chic (o chi per loro), additati come coloro che il processo di globalizzazione hanno provocato, e dal quale ci hanno guadagnato, e chi sta in basso, gli immigrati, arrivati (sostengono) proprio grazie alle politiche dei radical chic (o chi per loro).
Tutto ciò non lo si risolve con un reddito di cittadinanza. Anche tralasciando ovvie considerazioni di tipo economico (quanto costa? Chi lo pagherebbe?), un reddito del genere cristallizzerebbe uno status di esclusione in modo perenne. Non solo queste persone non sono più centrali nella creazione del valore e nell’economia nazionale, ma non lo saranno mai più: sussidiati a vita, per sempre ai margini della società. La soluzione (assai teorica) sarebbe quella di far ritornare questi ceti popolari e queste antiche comunità al centro della vita economica, farle partecipare alla creazione del valore generale, come ai tempi in cui fabbrica e carbone erano essenziali. Ma è teoria, in pratica nessuno (che mi risulti) ha trovato una soluzione che non sia l’assistenza che genera maggiore esclusione e quindi maggiore frustrazione, qui, in molte parti d’Europa, così come in certe zone degli USA.
Coloro che la fanno facile, i difensori ad oltranza del reddito di cittadinanza o del reddito universale come soluzione taumaturgica, vale a dire i fuffaroli e i demagoghi in servizio permanente effettivo, dimenticano che il problema non è solo, appunto, reddituale, ma sociale. Vivendo di sussidi si vive in una società che ti comunica il messaggio che di te non c’è nessun bisogno, di te non sappiamo cosa farcene e se tu non esistessi sarebbe meglio per tutti, meno problemi, meno soldi spesi. Questo, al di là del reddito comunque basso, genera esclusione, e quindi frustrazione e rabbia.
Jack Daniel (da facebook)
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