Tempi difficili: occorrono strategie e lucidità
Ha ragione Romano Prodi viviamo in tempi di equilibri fragili e l’incidente che fa precipitare la situazione causando una tragedia mondiale è sempre più possibile. La guerra in Ucraina che si è estesa in questi giorni in Russia, la guerra in Medio Oriente che ormai ha superato Gaza secondo i desideri dell’Iran, di Hamas e di Hezbollah, la rinnovata minaccia del terrorismo islamico dell’Isis Khorasan. Tanti sono i fronti aperti e tanta è l’impreparazione degli stati e delle opinioni pubbliche occidentali. Fra queste prevale lo stupore e l’ingenua fiducia che alla fine tutto si aggiusterà. Per tanti è impossibile pensare che qualcuno sia veramente un nemico e l’invocazione del dialogo si accompagna al rifiuto della guerra e delle armi come se questo bastasse a non essere più un bersaglio.
Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 31 luglio svolge un ragionamento all’insegna del realismo che ci manca. “Tempi difficili attendono l’Europa, quell’Europa che insieme agli Stati Uniti è il cuore dell’Occidente. Ogni giorno nei confronti di questo Occidente cresce l’ostilità dei vecchi e dei nuovi giganti del potere mondiale, Russia e Cina in prima fila. Un’ostilità che alimenta pericoli e sfide di ogni tipo a cui trovare una risposta non è facile”.
Sottolinea Galli della Loggia che predomina la mancanza di realismo di gran parte dell’opinione pubblica e delle classi dirigenti dei Paesi occidentali. Questa mancanza “impedisce la consapevolezza stessa della vastità e della varietà delle minacce che incombono” e di adottare le necessarie contromisure. Ad ogni tensione si tende a rispondere che occorre il dialogo e che la via della diplomazia è quella più sicura. La verità è che nessun politico osa spaventare opinioni pubbliche abituate a non riconoscere la possibilità del conflitto, anche solo per difendersi. “Un’istintiva opzione di arrendevolezza pervade le nostre reazioni agli eventi che il mondo ci scaraventa addosso”.
Molti anni di pace e l’ombrello protettivo degli Usa sembrano aver reso non concepibile la possibilità che ci sia un avversario al quale contrapporsi. L’idea stessa di guerra è respinta come un male assoluto. Lo abbiamo visto con l’invasione dell’Ucraina che per molti è impossibile concepire una qualsiasi difesa armata. Anche quando si tratti di opporsi ad un nemico animato da una feroce volontà di conquista.
Questo atteggiamento intellettuale ignora una realtà fatta di strategie di annientamento capaci di portarci tutti alla guerra nucleare. Cosa si propone di fare l’Iran per il tramite delle sue organizzazioni protette Hamas, Hezbollah e Houthi? L’Iran sta costruendo la bomba atomica e la missione che la teocrazia al potere si è data è di cancellare la presenza degli ebrei in Medio Oriente, espellere gli Usa e conquistare i luoghi sacri dell’Islam. I palestinesi sono solo la carne da cannone (rivendicata esplicitamente e pubblicamente come tale dai capi di Hamas) che deve impegnare Israele in un conflitto senza vie d’uscita fino alla deflagrazione generale che arriverà con la bomba atomica iraniana. Lo sappiamo così come sappiamo che l’uso dei civili come scudi umani è il cardine della tattica militare di Hamas eppure grande è l’indignazione quando calcoli sbagliati delle forze armate israeliane, errori oppure vere e proprie trappole portano ad una strage di civili. Allora tutto viene dimenticato: le strutture militari (basi di lancio, centri di comando, depositi di armi) poste dietro e sotto abitazioni, scuole ed ospedali o dissimulati nei campi profughi; l’appello a provocare vittime civili giunto dai capi Haniyeh e Sinwar fin dall’inizio della guerra. L’invito ad arrendersi veniva rivolto agli ucraini invasi, ma non ad Hamas. C’è tanta ipocrisia persino in politici come Tajani e in tutti quelli che gridano al crimine per l’ennesimo bombardamento di una scuola a Gaza. Che dovrebbe fare Israele? Smettere di combattere. Hamas avrebbe vinto, si riorganizzerebbe e tornerebbe all’attacco perché il suo fine è la cancellazione di Israele, non ottenere uno stato palestinese. Questo non entra in testa alle opinioni pubbliche che vedono la superficie degli eventi e non vanno oltre.
Possiamo pensare che il dialogo e l’appello alla pace risolvano questa situazione? Ovviamente no. Senza la sconfitta dell’Iran e delle sue filiali in Palestina, Libano, Yemen non ci può essere nessuna pace, ma solo tregue per riarmarsi.
Lo stesso accade per l’Ucraina. Addirittura il nostro ministro della difesa è giunto a dire che l’attacco ucraino in territorio russo allontana la pace. No la pace resta lontana finchè Putin e il suo disegno imperialista dispongono del potere assoluto su una potenza nucleare come la Russia. Quel disegno porta guerra e non si combatte con le belle parole. Putin vuole una vittoria sull’Ucraina e dopo ne vuole ancora altre finchè non riesce a raggiungere le dimensioni territoriali che si è prefisso e finchè l’intera Europa non diventa un cliente della Russia con la rottura della Nato e il ritorno degli Usa nel loro continente. La posta in gioco è questa non altra.
Per contrastare questo disegno non servono appelli, serve deterrenza. La deterrenza è la parola chiave non il dialogo. E lo è anche la resistenza nei confronti delle ideologie di morte. Nel momento in cui i regimi dittatoriali e autocratici capiscono che la strada della forza è sbarrata si può iniziare a discutere.
Più in generale si scorge una difficoltà a ragionare in termini di interessi piuttosto che di ideali. Prendiamo la Libia. Dopo aver abbattuto Gheddafi nel 2011 (decisione sciagurata ma forse anticipatrice di uno sviluppo che ci sarebbe stato comunque) la Libia (ammesso e non concesso che esista una entità nazionale libica e non quel groviglio di tribù e gruppi armati che vediamo all’opera nel post 2011) doveva ricadere sotto l’interesse europeo a mantenere una sorveglianza attiva, una sorta di protettorato militare. Fu scelta la strada della diplomazia e della fuga dalla realtà e Russia e Turchia hanno colmato il vuoto stendendo la propria protezione militare sulle fazioni prevalenti che si fronteggiavano.
Ma l’Europa è consapevole dei propri interessi? No, perché non è un soggetto di politica internazionale. Continuare ad ascoltare da parte europea – 450 milioni di abitanti e forza economica di rango mondiale – appelli al dialogo senza mai dire per quale strategia si è disposti ad impegnarsi è ridicolo. Hanno dato addosso a Giorgia Meloni per il lancio del Piano Mattei, ma almeno quella somiglia ad una strategia. Che ha senso solo se è europea ovviamente. L’Europa si è persa tra le aspirazioni di redenzione del mondo dai cambiamenti climatici dandosi obiettivi tanto stringenti quanto inutili sugli equilibri globali e la smania regolatoria di aspetti secondari (seppure razionali) dei mercati (prese di corrente tappi ecc). In mezzo tanta retorica.
Se negli Usa vince l’isolazionismo trumpiano il cerchio si chiude e le potenze che si sono mosse per aggredire l’Occidente non troveranno un resistenza adeguata. È questo che vogliamo?
Claudio Lombardi
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