Tirati per i capelli parliamo di art 18
Siamo quasi tirati per i capelli a parlare di art. 18. E allora parliamone visto che tutti ammettono la sua marginalità quanto a numero di casi trattati, ma nessuno rinuncia a considerarlo fondamentale. I difensori dicono che corrisponde ad un principio di civiltà giuridica e a diritti intoccabili dei lavoratori. Per chi vuole modificarlo è un intralcio da eliminare.
Meglio mettere subito da parte la disputa sulla civiltà giuridica e sui diritti che non convince. Su questa strada il rischio abbastanza concreto è di approdare ad una nozione di immutabilità dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato fuori dai casi previsti dalla legge che, oggettivamente, non può certo incoraggiare le assunzioni.
Se si sta su questo piano lo scontro diventa, infatti, senza sbocco. Si possono infatti escogitare mille tutele per chi viene assunto con contratto a tempo indeterminato, ma non si può obbligare un datore di lavoro ad assumere. A meno che il datore di lavoro non sia lo Stato e non si tratti di attuare una decisione politica.
D’altra parte la tutela dell’art 18 oggi (ma fino al 2012 era molto più vasta) prevede che il lavoratore licenziato da qualunque azienda (meno e più di 15 dipendenti) possa sempre ricorrere al giudice il quale può valutare i motivi del licenziamento e disporre la reintegrazione nel posto di lavoro in una serie di casi previsti tassativamente dalla legge e in altri che conseguono alla valutazione del giudice stesso.
È un problema serio? Non è un problema? È abbastanza facile comprendere che un datore di lavoro, magari piccolo, voglia poter decidere chi mantenere in azienda e chi no perché il rapporto di lavoro è un rapporto dinamico che è difficile inquadrare nelle maglie strette di una legge. E soprattutto è un rapporto indirizzato ad un risultato – l’attività produttiva – senza il quale non ha motivo di esistere l’azienda. Ma i pochi casi nei quali si ricorre alla reintegra testimoniano del fatto che l’art 18 non è il problema principale con il quale un datore di lavoro si trova a combattere.
Come già detto tante volte il problema è il sistema Italia e i suoi limiti tanto che l’art 18 con la sua reintegra nel posto di lavoro può apparire persino irrilevante.
Tralasciando (basta nominarli e si capisce quanto siano determinanti) i problemi infrastrutturali e di contesto (criminalità, ferrovie, strade, telecomunicazioni, energia, burocrazia, accesso al credito) e limitandosi al lavoro il problema è che i contratti a tempo indeterminato danno accesso a tutele sia giuridiche che economiche che tutti gli altri tipi di contratto non consentono. Contratto collettivo nazionale, cassa integrazione, malattia, maternità, disoccupazione ecc ecc.. Poiché queste limitazioni riguardano oltre la metà dei lavoratori (e non calcoliamo quelli in nero) il problema più urgente è dare qualche copertura a anche a loro cercando di uniformare i trattamenti a prescindere dal tipo di contratto.
Intanto è urgente limitare i contratti truffa per arrivare a due sole tipologie: tempo determinato e tempo indeterminato. Già la riforma che ha portato a tre anni la durata dei contratti a tempo determinato ha stabilito che, per ogni azienda, questi non possano eccedere il 20% del totale dei dipendenti pena sanzioni economiche. Significa che l’80% deve essere di contratti a tempo indeterminato. È già qualcosa no?
Altro punto, questo sì fondamentale, è l’estensione dell’indennità di disoccupazione a tutti, lavoratori autonomi compresi. Già oggi l’Aspi e la mini Aspi hanno aperto la strada ad un nuovo regime degli ammortizzatori sociali. Vogliamo considerarla una priorità?
Il diritto ad avere una copertura per la maternità è importante oppure no? È ovvio che sì, ma anche questo va stabilito per legge e anche di questo si discute nella riforma del lavoro all’esame del Parlamento.
Bisogna valutare se una riforma che unifichi le tutele per tutti i contratti di lavoro sia in grado di creare le condizioni più favorevoli affinché sia più facile assumere con un contratto di lavoro regolare e sia più facile per i lavoratori ottenere retribuzioni più elevate che è la vera urgenza di oggi.
Basti pensare che un’indennità di disoccupazione generalizzata può aiutare a resistere alle offerte di salari di fame. Ovvio che da sola non basta. Ci vogliono anche le “famose” politiche attive del lavoro che puntino su una formazione vera e collegata con le esigenze delle aziende magari mettendo fine allo scandalo di miliardi di euro spesi in una formazione fasulla.
La questione del lavoro non può stare tutta nella disciplina legale dei contratti. Se non funziona l’economia e se lo Stato non promuove l’avvio di attività produttive e di servizio innovative e più efficienti non c’è tutela in grado di fermare il declino. E da qui il discorso dovrebbe cominciare
Claudio Lombardi
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