Una storia vera (di Giada Cornacchini)

Pubblichiamo il testo vincitore del premio letterario “Fulvio Cerofolini” istituito dall’ANPI di Genova. L’autrice ha 15 anni.

Questa non è una di quelle storie inventate, con persone nate dalla propria fantasia, ma è una storia vera di un uomo che scese da un treno e si ritrovò in quel gran piazzale, dove la sua vita cambiò. Beh quell’uomo era mio nonno, Angelo. Era solo un ragazzo di 17 anni quando fu chiamato alle armi, un ragazzo, nulla di più era, un ragazzo del Sud abituato al profumo delle arance che si ritrovò a combattere una guerra che non voleva, ma che fu costretto a vivere.

Si trovò in prima linea, in Albania nel 1943, quando prese il congelamento ai piedi e per questo fu rimandato in Italia per essere curato in ospedale. In quel momento cercò di non fare più ritorno al fronte  cercando di prolungare la sua malattia, ma il suo tentativo non durò a lungo e appena lo capirono lo mandarono in prigione  con l’ accusa di essere un disertore della patria.

Un giorno, arrivarono i tedeschi e  lo portarono  in Polonia, nei campi di sterminio come deportato politico, li cominciò il suo calvario fatto di umiliazioni e cattiverie gratuite nei suoi confronti.

Ciò che contava era sopravvivere, lavorare per un tocco di pane e una ciotola d’ acqua; quante volte si ritrovò faccia a faccia con la morte: imboccò la strada della vita quando arrivato ad Auschwitz senza capire le parole di un uomo, che pareva essere un medico, si infilò in una fila che lo portò al “domani”; la fila opposta era destinata a quelle che venivano chiamate “docce”, luoghi dove le persone cadevano in un sonno eterno.

Orrore, disgusto erano i sentimenti che urlavano nello sguardo silenzioso e rugoso di mio nonno quando ricordava uno dei tanti lavori che era obbligato a fare, quello più atroce, quando doveva caricare i morti delle camere a gas su dei carri e portarli ai forni crematori, sperando di non intravedere mai  gli occhi di un amico.

Il suo viso si bagnava di lacrime calde ogni volta che il ricordo gli faceva visita, una ferita incancellabile che non potrà mai essere rimarginata.  Credo che mio nonno, come molte altre persone abbia visto quell’orizzonte che sembrava irraggiungibile, intoccabile che separa l’uomo dal mostro.

C’è una canzone di Guccini che dice: “ Io chiedo, come può l’ uomo uccidere un suo fratello, eppure siamo a milioni in polvere, qui nel vento. Io chiedo quando sarà che l’ uomo potrà imparare, a vivere senza ammazzare, e il vento si poserà…”

È importante non dimenticare ed è importante ascoltare i sussurri leggeri tra le foglie di autunno perché il vento non si è ancora posato, la guerra esiste ancora, il fatto che non ci colpisce in prima persona non vuol dire che non ci sia o che deve essere trascurata. In questo momento ci sono dei mariti, dei fratelli, dei padri che muoiono per il volere di un solo uomo e per la stupidità degli altri nel non saper dire “No”.

“Se voi, giovani d’ oggi, potete fare quello che volete, potete vivere la vita che vivete, è per merito nostro che alla vostra età, morivamo per dare un futuro migliore.” Queste sono le parole di un deportato che con un filo di voce urla al mondo intero un passato che si gela nel suo cuore.

Mio nonno fu liberato dai russi nel  1945 e la prima cosa che fece prima di scappare, fu di scendere in cucina e mangiare il minestrone che ancora bolliva in pentola.

Tornato a casa  si sposò con mia nonna, ebbero 4 figli che a loro volta ebbero dei nipoti e a tutti quanti fu tramandata la storia di mio nonno, un uomo che vide la morte camminargli vicino, ma che vinse su essa.  Arrivato all’età di 86 anni si addormentò con la coperta di amore dei figli e dei nipoti; indimenticabile resterà per me con quei suoi baffetti color neve e quei suoi occhi color celeste.

Tante cose brutte ha subito, ma nonostante tutto lui è riuscito a vedere uno spiraglio di sole in una notte senza luna, voglio concludere con un suo racconto che mi colpì in maniera particolare: il giorno prima di essere liberato dai russi, un  tedesco molto giovane prese una canna di gomma e lo riempì di frustate; quanto pianse quel giorno… era arrivato al limite estremo delle sue forze. Una volta liberato vide il giovane ragazzo che lo fece piangere tanto il giorno prima sdraiato in terra morto, si fermò davanti a lui e gli disse: “ Anche tu avevi una mamma che ti aspettava!”

Questa frase mi rimase nel cuore e capii perché si chiamava Angelo mio nonno.

Giada Cornacchini

3 commenti
  1. Ale dice:

    Sei un essere speciale,oramai non mi sorprendo piu della tua grandezza.Un enorme bacio da chi ti vuole un sacco bene

  2. Ale dice:

    Sei un essere speciale,oramai non mi stupisco piu della tua bravura.Un enorme bacio da chi ti vuole un sacco bene

  3. Gioia Gentile dice:

    Toccante, ed è bello che una ragazza di 15 anni abbia voluto trasmettere e condividere la storia di suo nonno, brava!

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