Il giudizio della Corte dei Conti sulla corruzione: ma il Governo da che parte sta?

Estratto dalla Relazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti presentata all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011

Alla fine del 2010 la stampa internazionale ha riportato il risultato di un’indagine del Transparency International sulla percezione della corruzione nella pubblica amministrazione di numerosi Stati, da cui l’Italia risulterebbe tra le ultime in classifica tra le nazioni esaminate.

In Italia, benché si sia posta particolare attenzione sugli illeciti da corruzione, intesa in senso lato, attraverso dapprima l’istituzione di un Alto Commissariato (cessato nel 2008) e quindi di un Servizio Anticorruzione e Trasparenza presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, che è impegnato faticosamente all’analisi di dati provenienti dai vari settori della P.A. e soprattutto dagli organi di polizia giudiziaria, nonché alla cura di collegamenti internazionali volti a contrastare tale fenomeno esiziale per le economie nazionali, non sono stati raggiunti apprezzabili segni in controtendenza: dal 2004 al 2010 gli insufficienti dati raccolti dal Sistema di Indagini del Ministero dell’Interno segnano un leggerissimo trend discendente.

Anche i positivi risultati connessi allo svolgimento di incisive ed estese indagini giudiziarie sono assolutamente temporanei ed effimeri, se non accompagnati da una adeguata politica di prevenzione che miri a cambiare il quadro di riferimento che ha reso possibile i comportamenti corruttivi.

Nel mentre si nota una rimarchevole diminuzione delle denuncie che potrebbe dare conto di una certa assuefazione al fenomeno verso una vera e propria “cultura della corruzione”, estesi settori della pubblica opinione chiedono al Governo e al Parlamento forti e duraturi interventi perché sia data attuazione alla norma già prevista nella finanziaria del 2007 sulla confisca e il riutilizzo sociale dei patrimoni sottratti ai corrotti e l’adeguamento dei nostri codici alle leggi internazionali anticorruzione.

Ci si interroga in termini dubitativi se, in tema di federalismo fiscale, il decentramento della spesa pubblica possa contribuire a ridurre la corruzione aumentando l’accountability delle P.A. rendendo più diretta la relazione tra decisioni prese e risultati conseguiti ovvero possa avere l’effetto contrario ed aumentare la corruzione quando la vicinanza a interessi e lobbies locali favorisca uno scambio di favori illeciti in danno alla comunità amministrata.

Con molti auspici il 10 marzo 2010 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge contenente “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”.

Sebbene il testo appaia per molti aspetti carente, a cominciare dal fronte dell’accertamento e della repressione di tali condotte, il disegno di legge risulta fermo all’esame del Senato.

Non è stata ancora ratificata la Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione (Strasburgo, 1999) già da tempo sottoscritta dall’Italia, con la conseguenza che il nostro sistema non è stato ancora adeguato alla nuova e più rigorosa disciplina dei delitti contro la P.A. e contro l’industria e il commercio con i quali si concretizza la creazione di fondi neri, che a loro volta costituiscono il necessario punto di passaggio per le successive attività di corruzione.

Né appaiono indirizzati ad una vera e propria lotta alla corruzione il disegno di legge governativo sulle intercettazioni, che costituiscono uno dei più importanti strumenti investigativi utilizzabili allo scopo e neppure l’aver dimezzato con la cd legge Cirielli del 2005 i termini di prescrizione per il reato di corruzione ridotti da 15 a 7 anni e mezzo, con il risultato che molti dei relativi processi si estingueranno poco prima della sentenza finale, sebbene preceduta da una o due sentenze di condanna e con conseguenze ostative per l’esercizio dell’azione contabile sul danno all’immagine.

Nell’auspicio che il ddl in materia di durata dei processi non costituisca un ulteriore ostacolo alla lotta contro la corruzione, da rispettosi osservanti delle norme varate dal Parlamento, si resta perplessi di fronte a recenti leggi che consentono una profonda alterazione di principi di certezza del diritto.

Tra queste vanno segnalate: la L. n. 266/05, commi 231 e seguenti sulla definizione anticipata del giudizio d’appello per condanne riportate in primo grado per fatti dannosi verificatisi ante il 31.12.2005; la L. n. 73/2010 art. 2, comma 2 septies e undecies che consente un condono al 10,91% agli agenti della riscossione che non avevano ottenuto dalle Agenzie provinciali delle Entrate il discarico di non vere quote inesigibili reclamate negli anni precedenti; e l’art. 30, comma 30 ter della L. n. 102/09 (di conversione del D.L. n. 78/09) modificato dall’art. 1, comma 1 lett. C, del D.L. n. 103/09, convertito in L. n. 141/09 sul quale necessitano le seguenti considerazioni legate al danno all’immagine conseguente a reati contro la P.A.

Con quest’ultima disposizione legislativa l’azione inquirente e requirente delle Procure regionali e l’attività giurisdizionale della Corte dei conti risultano essere state fortemente limitate.

Tale norma, infatti, rinviando meccanicamente alla legge n. 97 del 2001 recante “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti della amministrazioni pubbliche” delimita l’esercizio dell’azione di responsabilità del danno all’immagine alle sole fattispecie delittuose concernenti i delitti contro la P.A., disciplinati nel libro II titolo II capo I, cioè dall’art. 314 c.p. all’art. 335 bis. costituendo un’evidente aporia del sistema, in quanto esclude la legittimazione del P.M. ad esercitare l’azione giuscontabile in presenza di un danno non patrimoniale correlato alla lesione dell’immagine della PA derivante da qualsiasi altro grave fatto illecito o dalla realizzazione di una fattispecie penale diversa da quelle appena indicate.

Al contrario, i fatti illeciti (reati e non) che possono ledere un bene non patrimoniale della P.A., quale quello all’immagine, sono molteplici, e non possono esaurirsi alle fattispecie tassativamente indicate dal legislatore quale numerus clausus.

Tale restrizione, prima di qualsivoglia fondamento costituzionale, appare arbitraria e confliggente con il secondo comma dell’art. 103 Cost., per il fatto che l’immagine della P.A. è parte del suo patrimonio, sia pure areddituale, e, pertanto, tutelata dall’ordinamento in maniera non dissimile dagli altri interessi patrimoniali e non integranti il patrimonio della P.A.

Oltre ad una limitazione di carattere oggettivo, la norma in esame contiene un’evidente ed irragionevole restrizione della tutela risarcitoria del diritto all’immagine della PA ai casi di effettiva condanna penale irrevocabile del dipendente pubblico per l’eventuale reato tipico connesso, riesumando in tal modo l’istituto della pregiudizialità penale, ancorché espunta dall’ordinamento con l’abrogazione dell’art. 3 c.p.p..

La norma, infatti, prevede che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro II del c.p. è comunicata al competente Procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto previsto dall’art. 129 delle norme di attuazione del c.p.p. ”.

E’ di tutta evidenza che la norma richiamata introduce un’irragionevole diseconomia processuale. Infatti, nel caso in cui un pubblico dipendente abbia leso un interesse patrimoniale della P.A. con un fatto che integra un reato o con qualsiasi grave fatto illecito, il P.M. presso la Corte dei conti è legittimato a promuovere nel quinquennio l’azione di responsabilità amministrativa, mentre nelle ipotesi di lesione del diritto all’immagine di cui sopra, lo stesso PM deve attendere, come presupposto, la pronuncia irrevocabile di condanna in sede penale per poter agire processualmente per il ristoro del danno non patrimoniale.

Azione che rischia di essere preclusa nelle ipotesi di declaratoria, in sede penale, di prescrizione dello stesso reato e di conseguente proscioglimento dell’imputato, perché sovente accade che l’azione giuscontabile per pregiudizio all’immagine venga preclusa dalla mancata declaratoria della sentenza di condanna, sebbene la commissione del delitto sia stata accertata dal giudice penale, sia pur per le limitate fattispecie penali per le quali è ammessa l’azione di responsabilità del danno all’immagine.

Oltre alla pregiudiziale penale, la novella normativa al comma 30-ter prevede la sospensione del termine di prescrizione dell’esercizio dell’azione erariale per i danni conseguenti alla lesione dell’immagine della P.A. ad opera di un dipendente o di un agente pubblico, fino al termine del procedimento penale, ovvero fino a quando vi sarà, se vi sarà, la pronuncia irrevocabile di condanna penale.

In virtù di quanto sino ad ora detto, in mancanza di una pronuncia penale irrevocabile troverà applicazione il privilegio della irresponsabilità, nonostante il dipendente pubblico abbia tenuto un comportamento contra legem in danno dell’Amministrazione di appartenenza.

Si può notare, inoltre, che la suddetta sospensione comporta una duplicazione dell’attività processuale correlata agli stessi fatti storici che sono a fondamento della condotta antidoverosa, integrando così una violazione del principio del giusto processo sotto il profilo della mancanza di una ragionevole durata del giudizio (art. 111 Cost.).

Inoltre l’indicata sospensione risulta in contrasto con il principio della reciproca autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale prevista dall’ art. 75 del c.p. ed altresì con il principio di cui all’art. 3 della Carta Costituzionale.

Ed invero mentre nel caso di danni patrimoniali derivanti da comportamenti illeciti l’azione giuscontabile non risulta subordinata al perfezionamento di un processo penale con sentenza irrevocabile di condanna, per il danno all’immagine, invece, il P.M. contabile può agire solo a seguito dell’irrevocabilità della pronuncia di condanna, previa sospensione obbligatoria dell’azione risarcitoria.

Ne deriva che la lesione all’immagine, bene non patrimoniale, di una persona giuridica pubblica ha per il legislatore una dignità diversa rispetto alle lesioni di interessi patrimoniali della stessa persona giuridica perché viene degradato da figura autonoma di danno conseguenza, così come le restanti ipotesi dannose non patrimoniali, ad una marginale figura di danno evento da delitto.

Di talché può ben immaginarsi quale sorte possano conseguire quei comportamenti latamente corruttivi che, senza produrre un diretto danno patrimoniale, minano dalle fondamenta la fiducia e la credibilità dei cittadini verso la Pubblica Amministrazione.

Un altro profilo problematico e preoccupante riguarda poi i soggetti destinatari di detta disposizione normativa.

Il combinato disposto di cui all’art. 17 comma 30 ter, e di cui all’art. 7 L. n. 97/2001 si rivolge esclusivamente ai dipendenti pubblici, con esclusione degli amministratori ed in genere di coloro che sono legati all’ente da un mero rapporto di servizio.

Tale distinzione risulta irragionevole ove si ponga mente alla circostanza che il più delle volte sono proprio gli amministratori, che rappresentano nei rapporti giuridici e politici gli enti pubblici, a porre maggiormente in pericolo il prestigio, l’onore e la reputazione degli enti stessi, piuttosto che i pubblici dipendenti legati a tali enti da un mero rapporto lavorativo.

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