Rai: ma quale riforma?

Nello stile efficientista di questo governo ci si avvicina all’approvazione della riforma della Rai. L’obiettivo è chiudere prima di ferragosto, ma anche se non ci si riuscisse lo spostamento sarà di poche settimane. La velocità, però, non è sufficiente: ci vogliono anche i contenuti. Non basta mettere la targhetta “riforma” su un testo e dare l’impressione di aver cambiato tutto. Ora poi che il Governo vuole eleggere il nuovo CdA con i vecchi criteri si capisce che è dura parlare di riforma. Se la memoria non ci inganna il governo partì nella seconda metà del 2014 con annunci impegnativi (fuori i partiti dalla Rai) rispetto ai quali bisogna misurare le reali misure che si stanno per approvare.

velocità del governo RenziDal CdA nominato dalla Commissione parlamentare di vigilanza si passa al CdA nominato da Camera, Senato e Governo. Dal direttore generale si passa all’amministratore delegato. Un rappresentante dei dipendenti siederà nel CdA. Tutto qui? Sì tutto qui se non vogliamo considerare una svolta epocale gli obblighi di presentare la propria candidatura di aspirante consigliere o i paletti messi a garanzia dell’incandidabilità di questi e dell’amministratore delegato.

In un mondo segnato da una vera rivoluzione negli strumenti di comunicazione e dall’emergere di gruppi mondiali che incrociano tutti i tipi di piattaforme, ma anche da una fortissima domanda di libertà di utilizzarle il servizio pubblico aveva bisogno di una rifondazione e di un rilancio. Nulla di ciò nella riforma. Ci si limita ad affrontare l’aspetto aziendale mettendo ancor più saldamente nelle mani dei partiti che compongono il Parlamento e il Governo la nomina del gruppo di persone cui si affida la gestione della Rai. Con una delega si imporrà il pagamento del canone a tutti gli italiani e la riforma finirà lì.

reti di comunicazioneIn sostanza, gli italiani pagheranno per la Rai, ma non potranno influire in alcun modo sulla sua attività. In tutti i servizi pubblici si prevede di acquisire il parere degli utenti e le associazioni che li rappresentano vengono consultate e coinvolte, ma non vi è obbligo di pagare il servizio se non lo si utilizza. Per la Rai che sarà obbligatorio pagare invece, i cittadini non vengono nemmeno citati nella riforma del Governo. Strana cosa se pensiamo che la Rai si occupa di informazione e di intrattenimento cioè la materia più malleabile che ci possa essere per la quale avrebbe senso il coinvolgimento di tutti i punti di vista che compongono la società.

Il Parlamento si prepara ad approvare una riforma senza anima che non cambierà di molto la situazione attuale e, quindi, sostanzialmente inutile.

pluralismoPensiamo, invece, a cosa si sarebbe potuto fare cominciando dalla creazione di un organismo di indirizzo e vigilanza composto da tutte le istanze politiche-istituzionali, culturali, sociali del nostro Paese al quale affidare la nomina di un CdA scelto attraverso una vera selezione dei migliori professionisti. Un consiglio di garanzia come quello previsto dalla proposta di legge ispirata da MoveOn Italia con una parte dei suoi membri eletti direttamente dagli utenti del servizio pubblico. Questa sarebbe stata una vera rivoluzione che avrebbe aperto le porte ad una ridefinizione del servizio pubblico non solo limitato alla televisione e alla radio.

A questo punto l’unica speranza è che i senatori ai quali spetta la prima approvazione della riforma, decidano di introdurre alcuni correttivi alla legge che uscirà dal Senato. Alcuni emendamenti sono già stati presentati e il Governo si appresta a presentare un suo maxi emendamento. I cambiamenti da introdurre? Eccoli: 1. Un membro del CdA eletto dagli utenti del servizio pubblico; 2. Un Consiglio per la partecipazione, organismo consultivo che rappresenti gli utenti e che dialoghi con Commissione di vigilanza e con il CdA; 3. La previsione di sedi e momenti di consultazione con le organizzazioni della società civile sugli indirizzi del servizio pubblico.

Se non si farà neanche questo pagheremo tutti una Rai incapace di sviluppo e orientata a mantenere le posizioni acquisite cioè in declino

Claudio Lombardi

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