1945: fake news atomiche

Tempi di fake news i nostri. La falsificazione dei fatti tuttavia non nasce in questi anni. Molti sono gli esempi che provengono dal passato. Eccone uno che ci riporta agli ultimi mesi della seconda guerra mondiale tra scienziati nazisti, servizi segreti inglesi e americani e l’emblema del male della nostra epoca: la bomba atomica.

Siamo in Francia, dopo lo sbarco degli alleati in Normandia. È la fine del 1944 e l’esito della guerra in Europa è ormai segnato. Per iniziativa dell’OSS (Office of Strategic Services, l’antenato della CIA) ha inizio l’operazione ALSOS. Il compito è semplice, delicato  e rischioso allo stesso tempo: girare l’Europa, compresi eventualmente anche territori ancora in mano ai nazisti, per reperire qualunque indizio, documento, strumenti e soprattutto scienziati coinvolti e impegnati nel programma nucleare nazista per la realizzazione di una bomba che sfrutti l’energia che si libera nella fissione nucleare dell’uranio. Responsabile scientifico dell’operazione è il fisico olandese Samuel Goudsmit, rifugiatosi negli USA, mentre a capo del programma nucleare tedesco c’è il famoso Werner Heisenberg, leader riconosciuto dei fisici tedeschi rimasti in Germania dopo la cacciata (o la fuga) dei grandi fisici ebrei  o degli scienziati non graditi al regime nazista. Altri fisici importanti che fanno parte del programma tedesco (con il nome di Club dell’uranio) sono Wirtz, Gerlach, Diebner, Bothe e von Weizsächer.

Gli alleati sono chiaramente preoccupati per il programma nucleare nazista:  Werner Heisenberg è un grande fisico, uno dei maggiori del secolo, premio Nobel nel 1933 e uno dei fondatori della meccanica quantistica.  Inoltre lo stesso fenomeno della fissione nucleare del nucleo di uranio è stato scoperto per la prima volta in Germania, nel 1938, dal gruppo sperimentale di Otto Hahn, chimico non particolarmente legato al nazismo, ma che è rimasto in Germania a lavorare.

Quello che l’OSS non sa e non può sapere è che in realtà il programma nucleare nazista è ancora molto lontano dal risultato finale, nonostante l’impegno febbrile di Heisenberg e dei suoi collaboratori. Molto lontano per svariati motivi, il primo dei quali è che il percorso  intrapreso dagli scienziati tedeschi è contraddittorio e scorretto, inconsapevolmente, e comunque non porta alla bomba atomica, ma al massimo (senza entrare in dettagli tecnici) ad una pila atomica lontanamente simile (e meno efficiente) a quella già realizzata nel 1942 a Chicago da Enrico Fermi.

Comunque nella primavera del 1945 quasi tutte le persone ricercate sono state ormai catturate poco prima del crollo definitivo del terzo Reich e portate in Inghilterra  in una villa della campagna inglese, Farm Hall. L’ultimo ad essere catturato, dopo il suicidio di Hitler e pochi giorni prima della resa finale, è proprio il capo del progetto, W. Heisenberg. Nei mesi seguenti di prigionia (tutto sommato una prigionia dorata, paragonata a quanto accadeva agli alleati che negli anni precedenti erano fatti prigionieri dai tedeschi) gli scienziati  ricevono notizie del mondo molto saltuariamente dai loro controllori e talvolta dalla radio, e commentano tra di loro i problemi personali e le vicende belliche, ma sono molto reticenti sul passato recente e sulla loro attività in guerra. Questo anche se ignorano che le loro conversazioni sono ascoltate e registrate dal servizio militare britannico. In realtà gran parte di loro confessa di pensare che gli alleati li tengano prigionieri per impadronirsi dei segreti  sulla fisica del nucleo atomico, segreti dei quali loro pensano di essere gli unici depositari.

L’imprevedibile avviene nell’agosto del 1945, quando gli USA fanno esplodere sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki due bombe atomiche progettate e costruite nel centro militare di Los Alamos, nel Nevada. Le due esplosioni hanno un effetto terribile sugli scienziati tedeschi: quello che loro non erano riusciti a realizzare, nemmeno lontanamente, è invece riuscito agli scienziati americani ed ai fuoriusciti europei (in gran parte ebrei). È il crollo del mito della superiorità germanica nella scienza moderna, la fine delle illusioni sulla supremazia ariana sulle altre etnie, che alcuni di loro coltivavano. La crisi è così forte che alcuni di loro sorvegliano  durante la notte Walter Gerlach per  paura che tenti il suicidio.

Ma non finisce così: gli scienziati tedeschi, gli stessi  che avevano lavorato allo sforzo militare nazista fino agli ultimi giorni di guerra, producono nei giorni successivi un documento nel quale sostengono che il loro fallimento era dovuto alla mancanza di risorse e di capacità industriale del terzo Reich. In più, sostengono (spinti in modo particolare da von Weizsächer, figlio di un importante gerarca nazista), che l’impegno del Club dell’uranio era incentrato sulla costruzione di una macchina per produrre energia (l’analogo della pila di Fermi) e non su un ordigno bellico. Questo per scrupoli morali e perché “nessuno di noi voleva mettere un’arma del genere nelle mani di Hitler” (parole di von Laue).

È una invenzione, una verità posticcia e ipocrita, creata allo scopo di dare verginità morale e umana ad un gruppo di scienziati che hanno lavorato fino all’ultimo giorno di guerra per la Wehrmacht hitleriana. Eppure, incredibilmente, nonostante le proteste e le polemiche suscitate dagli scienziati che avevano lavorato sul fronte opposto, la “verità” degli scienziati tedeschi trova terreno fertile e prende consistenza. Da sottolineare che tra gli scienziati che protestano contro questa versione innocentista e purificatrice ci sono persone come lo stesso Samuel Goudsmit, in precedenza amico personale di W. Heisenberg. Una volta rifugiato negli USA, Goudsmit viene a sapere che i suoi genitori sono stati  prelevati dalle SS e portati in destinazione ignota (si trattava del campo di sterminio di Auschwitz). Alla sua richiesta disperata di notizie e di aiuto, W. Heisenberg non ha ritenuto opportuno nemmeno rispondere.

Il punto centrale è che l’inizio della guerra fredda e la necessità di pacificazione con la Germania fanno passare in subordine il problema della responsabilità degli scienziati tedeschi e della loro collaborazione con Hitler. Inoltre la creazione da parte dell’URSS del Fronte della pace, organizzazione che raccoglie firme e sostegno di parte delle personalità progressiste non apertamente schierate con i partiti comunisti occidentali, opera un vero e proprio rovesciamento di paradigma: liberi e umani sono stati gli scienziati tedeschi, che hanno lavorato per Hitler, perché seguendo i loro scrupoli morali non hanno realizzato la bomba atomica, mentre schiavi e disumani sono stati gli scienziati che a Los Alamos hanno lavorato per le forze alleate realizzando questo tremendo strumento di morte. In realtà è cambiato il contesto culturale e soprattutto ideologico: ormai i veri nemici della pace sono, per gli esponenti intellettuali radical chic (tutti rigorosamente residenti in paesi occidentali), gli USA e i loro alleati. Mentre il Fronte della pace è spinto dall’URSS e dai suoi paesi satelliti. A nulla valgono le obiezioni di chi cerca di contestualizzare le azioni di chi lavorava per Hitler rispetto a chi invece lavorava per l’alleanza che si opponeva a Hitler e ai suoi alleati: il peccato originale è stato commesso, la bomba è esplosa per volontà degli USA e gli altri sono dalla parte degli innocenti. Questo paradigma trova il suo testo di riferimento, una specie di bibbia del pacifismo anti-USA, nel libro “Gli apprendisti stregoni: storia degli scienziati atomici” di R. Jungk, edito nel 1956, in piena guerra fredda.  Anno dell’invasione dell’Ungheria da parte dell’armata rossa.

Va tenuto conto del fatto che le registrazioni di Farm Hall erano coperte dal segreto militare e quindi il dibattito verteva soprattutto su differenze di opinioni, di testimonianze e di convincimenti personali. Certo, il fatto che gli scienziati tedeschi avessero lavorato per Hiltler e per chi, come Himmler, organizzava i campi di sterminio aveva un certo peso, ma non toccava il nucleo centrale del paradigma: la bomba atomica come male assoluto e la responsabilità primaria di chi aveva contributo a realizzarla. E, in subordine, l’innocenza a prescindere di chi non l’aveva realizzata. La ricostruzione storica “ad usum delphini” continuò la sua strada, indifferente a contributi storici e biografici che sostenevano tesi diverse. L’autonomia e l’indipendenza dalla realtà fattuale è l’elemento di forza delle invenzioni storiche, purché dietro ci sia una minima motivazione ideologica, religiosa o economica a sostenerla. In questo caso l’odio e/o il disprezzo verso il mondo occidentale o specificatamente verso gli USA e il loro sistema politico ed economico faceva da collante universale.

Basti pensare, come esempio, alla produzione letteraria di un autore come Leonardo Sciascia, produzione che si mimetizza come opera storico-biografica nel libro “La scomparsa di Majorana”, edito nel 1975. L’autore sposa in pieno e senza dubbi la tesi “innocentista” verso gli scienziati tedeschi e “colpevolista” verso gli altri, con pagine che deliziarono  gli esponenti della più pura consorteria radical-chic dell’epoca. Già pronta, così, alla futura battaglia contro il nucleare di pace, quello della produzione di energia elettrica. Peccato non poterla riportare per motivi di spazio. A nulla valsero le proteste di chi quelle vicende le conosceva molto bene, sia per professione che per frequentazione amicale. Cosa volete che valga su questi temi l’opinione di Edoardo Amaldi, il fondatore della scuola italiana di fisica nel dopoguerra, allievo e amico fraterno di Enrico Fermi, a fronte dell’opinione del letterato L. Sciascia? Nulla, ovviamente. E infatti la fake news continuò indisturbata il suo percorso.

Con il passare degli anni la realtà tende però, a volte, a comparire: nel caso specifico la “declassificazione” delle registrazioni di Farm Hall e la loro pubblicazione. [1][2] Dai testi risultarono chiare e nette le “controverità” fattuali. Nessuna remora morale a lavorare per Hitler, nessuna astensione dalla progettazione di ordigni di natura militare. Anzi, rabbia e sconforto nel constatare che “gli altri” erano stati più bravi e più veloci. Un quadro sconfortante e spregevole, in alcuni tratti. Solo in parte corretto ed emendato da chi, come Heisenberg in particolare, rifletté molto su quegli anni e su quegli episodi e pervenne ad una revisione parziale del proprio ruolo e del proprio comportamento. Senza esplicite autocritiche ma cercando di superare le antiche divisioni e contribuendo alla realizzazione di un’impresa scientifica aperta, trasparente e internazionale. Heisenberg e Amaldi (il fisico della querelle con Sciascia) infatti furono i principali ideatori e promulgatori della realizzazione del CERN di Ginevra.

E gli intellettuali radical-chic, convinti sostenitori della fake news? Il silenzio e le leggi della natura hanno in parte provveduto. Molti sono scomparsi ormai, per morte naturale. Alcuni loro seguaci si sono convertiti ad altre nobili cause; tra le ultime citiamo quelle no-Vax, no-OGM, no 5G, più altri fronti tutti da scoprire. L’emergenza Covid-19 ci sta portando e porterà nel futuro altri esempi della loro fantasia senza limiti.

Sergio Mancioppi

*(L’immagine di copertina è un’opera di Fabrizio Clerici : Un’istante dopo – 1972)


[1] “Operation Epsilon: the Farm Hall Transcripts”, Sir Charles Frank (1993).

[2] “Il Club dell’uranio di Hitler: i fisici tedeschi nelle registrazioni segrete di Farm Hall”, Jeremy Bernstein (1996).

2 commenti
  1. Sergio Mancioppi dice:

    No, purtroppo la realtà non è così semplice e lineare. Certo, molti degli scienziati tedeschi non erano entusiasti del nazismo, fatte le debite eccezioni come Pascual Jordan o Diebner o Gerlach o altri, iscritti al partito e docenti con divisa grigio-bruna. Oltre naturalmente i sostenitori della “fisica ariana” come i premi Nobel Stark e Lenard, teorici della fisica priva di impurità ebree, come la teoria della relatività di Einstein. Le complicità e le collaborazioni con il regime erano uniformemente distribuite e nessuno, ripeto nessuno, ne fu immune. Lo stesso Heisenberg durante la guerra viaggiò continuamente nei paesi occupati dai nazisti per propagandare alle comunità scientifiche locali le meraviglie del Terzo Reich e come esserne diventati parte sarebbe stato positivo per la scienza. In Olanda, in Danimarca, in Polonia, in Norvegia, ovunque la croce uncinata avesse messo piede, il premio Nobel Heisenberg andava a propagandare le meraviglie dello stato presente. Il tutto senza condividere le idee del nazismo, ma come fedele servitore dello Stato tedesco. Perché questo è il punto: molti non erano nazisti, ma tutti erano servitori dello Stato e non immaginavano nemmeno una differente possibilità di essere. Gli stessi von Laue o Otto Hahn (sicuramente non nazisti) non osarono mai un solo atto contro il regime. Mentre il buon von Weizsacher divenne pacifista e a favore del disarmo solo a guerra finita, prima fu fedele collaboratore di Heisenberg per la realizzazione della bomba atomica nazista. Dopo la fine della guerra furono tutti capaci di gesti nobili e pacifisti, prima nessuno di loro sollevò mai il minimo dubbio sulla fedeltà allo Stato germanico.
    Si potrebbe continuare a lungo, ma non sarebbe utile.
    Mi permetto anche io di suggerire alcune letture: “Gli scienziati sotto Hitler: politica e comunità dei fisici del Terzo Reich” di A. D. Beyerchen, “Operation Epsilon: The Farm Hall Transcripts” a cura di C. Frank, “Alsos” di S. A. Goudsmit e “Al servizio del Reich: come la fisica vendette l’anima a Hitler” di Philip Ball. Sono testi tragici (purtroppo le trascrizioni di Farm Hall e il volume di Goudsmit non sono state tradotti in italiano), che tolgono ogni dubbio sulla collaborazione attiva di tutti gli scienziati tedeschi. E sulla loro successiva complicità nell’attribuirsi falsi meriti di anti-nazismo.
    Sergio Mancioppi

  2. Ale dice:

    Mi permetto di commentare avendo io, per formazione universitaria, qualche nozione di ingegneria nucleare ma soprattutto perchè ho studiato a fondo la storia del progetto Manhattan e ho una discreta conoscenza del progetto Uranio.

    Hai certamente ragione nel dire che in questa storia cercare buoni e/o cattivi è sciocco e fuorviante, e quindi sulla critica agli intellettuali da salotto sono assolutamente con te 🙂

    Non sono invece d’accordo sul ritratto che fai degli scienziati tedeschi, prima di tutto perchè se qualcuno ha avuto a qualche titolo responsabilità per la collaborazione con il Reich questo non significa che le debbano avere tutti; nello specifico tra gli scienziati rimasti in Germania nel campo della neonata fisica atomica non ve n’erano di particolarmente felici per l’ascesa del nazismo, men che meno dell’inizio della guerra, che ha rappresentato per loro (specialmente per i più importanti) un enorme ostacolo allo studio dell’atomo (pubblicazioni scientifiche secretate, fondi e sforzi indirizzati al settore bellico).

    Vorrei ricordare che molti tra i grandissimi scienziati atomici, da una parte e dall’altra, erano amici e avevano studiato insieme alla scuola di Max Born, a Gottinga, che von Weizsäcker era tutto fuorchè un nazista (anche il padre, che era un diplomatico nella Germania nazista, non aveva simpatie per Hitler, quanto piuttosto verso chi lo osteggiava, mentre suo fratello sarà un importantissimo politico tedesco nella Germania ovest e poi nella Germania unificata, di cui fu primo presidente), che Heisemberg come lo stesso von Weizsäcker nonchè Houtermans von Laue e altri erano ben consci, al contrario degli americani e di chi lavorava per loro, che sotto la Germania di Hitler non si sarebbe potuta costruire nessuna bomba (non vi erano assolutamente le condizioni per poterlo fare nonstante in Germania giunsero alla comprensione fisica di base del problema e avessero fondi, capacità industriali e interessi del Regime) anche perchè lo stesso Hitler, come poi affermato dal ministro degli armamenti, Albert Speer, non aveva la benchè minima idea di quali fossero le potenzialità dell’atomica (non aveva la mente particolarmente dotata per la fisica).

    Ti consiglio la lettura di Richard Rhodes (l’invenzione della bomba atomica con cui ha vinto il Pulitzer nel 1988 e i successivi), che considero il più bravo e completo autore sull’argomento, c’è poi un bellissimo documentario di Virginio Sabel (1963) che è una vera perla (su Youtube dovresti trovarlo) in cui ci sono praticamente solo interviste ai grandi scienziati che hanno partecipato ai due progetti (Manhattan e Uranio) e ti danno un contesto diretto e non masticato dal tempo.

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