Alla ricerca di un nuovo patto di stabilità

Tratto da www.phastidio.net pubblichiamo un articolo di Mario Seminerio

Nei prossimi giorni, verosimilmente dopo la visita a Roma del neo-cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e di fatto ad aprire il semestre di presidenza francese della Ue, dal prossimo gennaio, è attesa una presa di posizione congiunta di Mario Draghi ed Emmanuel Macron sulla riforma del patto di stabilità e crescita.

Per Macron, l’inizio della campagna per le presidenziali di primavera; per Draghi, l’avvio del tentativo di cambiare regole che ha già preventivamente stroncato:

Ovvio che servirà l’appoggio della Germania, che ha un governo tripartito dagli orientamenti economici non esattamente omogenei, entro il quale già si discute di eventuali scorciatoie per espandere il debito per finanziare la transizione digital-ambientale.

Quadro europeo profondamente mutato

Che la situazione europea sia profondamente mutata, al netto del persistente ostacolo pandemico, lo si coglie sia dallo stock di debito che si è accumulato negli ultimi due anni, che ha portato qualcuno a suggerire di dare degna sepoltura al rapporto debito-Pil del 60% e altri a chiedere che l’eccedenza di tale debito pandemico sia mutualizzata come accaduto per la nascita del Recovery Fund, sia dalle pesanti esigenze di investimento connesse alla transizione ecologica.

Ciò premesso, e in attesa di leggere la dichiarazione programmatica franco-italiana, che giunge a stretto giro dopo la firma del Trattato del Quirinale, è utile richiamare soprattutto un aspetto, nel set di regole di bilancio che i paesi potrebbero decidere di cambiare.

In sintesi, servirebbe spostare l’enfasi da debito e deficit a capacità di crescita. Il tema non è nuovo ma meglio ribadirlo. Se un paese riesce a crescere più del costo medio del suo stock di debito, il suo indebitamento si riduce. Se non vi riesce, l’esigenza di tenere sotto controllo “contabile” il debito-Pil conduce a strette fiscali pro-cicliche per raggiungere crescenti e persistenti avanzi primari. Per contro, se la crescita nominale eccede il costo medio del debito, è possibile fare deficit, in chiave anticiclica, senza particolari timori né criticità.

Tutto qui? Davvero è così semplice? Beh, no, per nulla. O meglio, è semplice se riesci a crescere. Se non cresci, e sei il solo a non riuscirci, torni sotto i riflettori di misure correttive, vedremo quali. Ma ribaltare logica e prospettiva, rendendo il rapporto di indebitamento il punto di arrivo e non quello di partenza, servirebbe a evitare azioni autolesionisticamente pro-cicliche. Per chiunque, Germania inclusa.

Crescere più del costo del debito

Sappiamo che, prima della pandemia, l’Italia era l’unico paese dell’Eurozona a non riuscire a crescere più del costo medio del debito, malgrado quest’ultimo sia stato abbattuto da anni di interventi eccezionali della Bce. Questo Draghi lo sa meglio di chiunque altro. E ricorda i lustri trascorsi ad alimentare avanzi primari per permettere ai paesi “frugali” di dormire tranquilli, almeno temporaneamente.

Misure puramente contabili che hanno impiombato il paese e dato il fiato a ciarlatani e guaritori di ogni fatta. Dalla critica del “neoliberismo” all’euro responsabile di ogni nequizie. Ma anche questo lo sappiamo. Quindi, che fare per riformare questo benedetto patto di stabilità e crescita?

Di certo, evitare di finire nel pensiero magico da fake-keynesiani tanto amato dalle nostre sinistra e destra sociale. E cioè che basti annaffiare debito la notte per produrre moltiplicatori da moto perpetuo di giorno. Questo cosiddetto mainstream è la cosa che danneggia la qualità del mio sonno, pensando a quando Draghi sarà uscito di scena. Mi è bastato vedere i trenini di gaudio per l’ammontare del debito assegnatoci dal Recovery Fund, manco fosse il riconoscimento della nostra eccellenza. Invece, è solo la certificazione della profondità del nostro declino e dissesto.

Come ripeto alla nausea, tutto questo debito rischia di essere l’ultimo chiodo nella bara di questo paese, se non sapremo trasformarlo in un durevole innalzamento del nostro prodotto. Sapendo che partiamo a gravissimo handicap per motivi demografici: una depressione che azzopperebbe chiunque.

Prevenzione e correzione resteranno

Attendiamo questa elaborazione di Draghi e Macron, e il giudizio di Scholz. Sapendo che dovranno comunque esserci ancora il “braccio preventivo” e quello “correttivo”, come abbiamo imparato in questi dolorosi anni. E che, per quanto si possa puntare su qualche forma di repressione finanziaria o su un atteggiamento meno “nordico” della Bce, non potremo basarci sulla creazione di moneta per crescere.

Anche se ci saranno ancora ciarlatani e guaritori a giurare il contrario. Sulla invasività di questo braccio preventivo e di quello correttivo, i paesi “virtuosi” negozieranno in modo duro. Vorrei vedere il contrario: si chiamano interessi nazionali e altri in Europa riescono a focalizzarli meglio dei teatranti di casa nostra e delle loro patriottiche sceneggiate.

Al netto del trionfalismo stucchevole e cialtrone con cui la nostra classe politica festeggia quello che è e resta (al momento) solo un forte rimbalzo dagli abissi, evitiamo di credere che il peggio sia alle spalle. Basta essere i soli a crescere meno del costo del debito nazionale, e l’unica alternativa che ci resta sarà quella di minacciare di farci esplodere sperando che la struttura di contenimento non regga e che il crollo travolga anche gli altri paesi europei.

Ma basare la propria “forza” negoziale sulla minaccia di suicidarsi non pare esattamente una tecnica negoziale astuta. Per tutto il resto, ci sono le chat ribollenti del M5S, il conservatorismo ungherese e polacco di Meloni e Salvini, gli strateghi del Pd col loro campo(santo) largo, attendendo di giocare agli scacchi per falliti perdigiorno la partita del Quirinale

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