Ancora su indifferenziata e termovalorizzatori
Repetita iuvant ci insegnavano a scuola e noi di civicolab insistiamo: in Italia c’è la crisi dei rifiuti perché mancano i termovalorizzatori. Una politica incapace, timorosa e opportunistica si è piegata ad una parte minoritaria (ma rumorosa) degli italiani che crede alle favole e vuole che tutti ci credano. E noi ritorniamo sulla questione con un nuovo articolo di Pietro Zonca.
Nel paese dei miei genitori hanno adottato una tecnica decisamente autoritaria nella gestione dei rifiuti. Ci sono i soliti cassonetti per il recupero della carta, del vetro, della plastica, dell’umido e dei metalli, inoltre regalano una compostiera per chi ha il giardino e si vuole smaltire l’umido autonomamente, ma poi per l’indifferenziato ecco la novità: ci sono dei sacchetti speciali marchiati dal comune, piccoli, 50×40 cm, dove mettere l’indifferenziato. Ne danno un pacco da 50 a testa all’anno. Inutile dire che se uno non mette l’indifferenziata in quei sacchetti questa non viene raccolta, e se viene lasciata per la strada il palazzo viene multato.
I sacchetti sono evidentemente pochi e se uno li finisce, li deve comperare, pagando 10 euro ogni pacco da 50. Evidentemente lo scopo è produrre meno indifferenziata possibile e costringere così la gente a selezionare meglio e di più la propria spazzatura. Ovviamente ci sono deroghe ragionevoli per chi non può evitare di produrre spazzatura, pannolini e pannoloni per anziani ad esempio, ma anche in questi casi la deroga consiste solo in qualche pacco di sacchetti in più.
Questa è la situazione più drastica che ho visto finora, funziona? Si e no, da un lato è diminuita la quantità di indifferenziata. Dall’altro funziona meno bene perché nel bidone della plastica, pur di non comprare i famigerati sacchetti, ormai si butta di tutto: blister di medicinali accoppiati con alluminio, vecchi portafogli e borse in plastica, sacchetti degli alimenti alluminati, giocattoli vecchi, plastica sporca di cibo, accoppiati di carta e plastica, plastica e alluminio, etc. con la conseguenza di peggiorare notevolmente la qualità della plastica raccolta. E così la quantità di indifferenziata rimane ancora elevata e si rallenta il riciclo della plastica.
Quindi per quanto si faccia bene la raccolta differenziata, la idealizzata economia circolare appare sempre irraggiungibile.
Ovviamente resta sempre poi il problema di cosa fare dei rifiuti indifferenziati. le soluzioni sono sempre tre e nessuno finora è stato in grado di proporne altre: 1 esportazione; 2 discarica; 3 incenerimento o termovalorizzazione.
L’esportazione è una scelta ipocrita, non siamo capaci di smaltire i nostri rifiuti e quindi deleghiamo ad altri lo smaltimento. Se va bene verranno inceneriti; se va male finiranno dispersi nell’ambiente (anche in mare).
La discarica ha ormai raggiunto i suoi limiti e in un Paese soggetto a dissesto idrogeologico come il nostro è sempre un rischio accumulare rifiuti nel terreno con il rischio di vederseli riportare in superficie da un’alluvione un po’ più forte delle altre.
Rimane l’incenerimento. La resistenza a questa soluzione è forte ma non sembra ci siano altre alternative. Quali sono gli argomenti che vengono opposti all’incenerimento? Li vogliamo analizzare uno per uno? Facciamolo ancora una volta.
Emissione di incombusti. Le emissioni di incombusti tossici (diossine, policiclici aromatici e altro) avvengono quando la temperatura di combustione è relativamente bassa, per esempio sono composti da incombusti i fumi neri che si sviluppano dagli incendi di discariche e di magazzini di plastica e carta giá differenziati. Questi incendi sono oramai centinaia e finora hanno immesso nell’atmosfera delle quantità di incombusti che un inceneritore non produrrebbe nemmeno in un migliaio d’anni. Se la combustione avviene a temperature superiori a 800 gradi e in eccesso di ossigeno, le diossine e gli altri prodotti vengono completamente distrutti. Infatti gli impianti moderni lavorano a temperature superiori ai 1200 gradi.
Polveri. In particolare i PM10 e soprattutto i PM 2.5, sono polveri sottili (il numero si riferisce alla dimensione in micron) che provengono da incombusti, dalla cenere e da altre sostanze presenti nei rifiuti. Per fermare le polveri i fumi vengono fatti passare attraverso dei filtri in tela e poi su filtri elettrostatici che abbattono la maggior parte delle polveri. Per le PM 2.5 che sono più difficili da rimuovere, nei nuovi impianti dopo i filtri elettrostatici i fumi passano su degli scrubber che sono dei serbatoi dove i gas di combustione vengono lavati con una doccia di acqua nebulizzata che elimina quasi completamente le polveri.
Gas. Dalla combustione delle sostanze organiche, in particolare quelle che contengono zolfo e azoto, si ottengono anidride solforosa, anidride solforica e ossidi di azoto. Questi gas acidi nei moderni impianti vengono anch’essi abbattuti dagli scrubber che usano soluzioni basiche di lavaggio.
Quindi la tecnologia permette di ridurre e limitare enormemente gli inconvenienti dell’incenerimento. Che sarebbe più corretto definire termovalorizzazione visto che in tutta Europa si segue questa strada per chiudere il ciclo dei rifiuti senza per altro limitare l’utilizzo di tecnologie di recupero ove possibile.
Tutti i moderni termovalorizzatori in uso in Europa non producono sostanze inquinanti se ben utilizzati e controllati, ma producono energia elettrica e acqua calda per il riscaldamento di interi quartieri. Per questo gli impianti sorgono addirittura all’interno del territorio cittadino.
Spesso si dice che, poiché un inceneritore per funzionare bene necessita di un continuo apporto di materiali ad alto contenuto energetico e la plastica lo è, succede che questa verrebbe sottratta al riciclo. Ebbene questa è un’affermazione inconsistente. I motivi sono due: in primo luogo se risulta più conveniente riciclare la plastica le aziende che lavorano in questo settore lo faranno invece di mandarla all’inceneritore; in secondo luogo il gran numero di depositi di plastica che vanno a fuoco (ovviamente non per cause naturali) ci dice che di materiale non assorbito dal riciclo ce n’è tanto ed è mille volte meglio inviarlo agli inceneritori che lasciarlo bruciare all’aria aperta.
Rimane allora la domanda: perché non si vogliono i termovalorizzatori quando è assolutamente certo che il riciclo non è possibile per una buona parte dei rifiuti? I bambini possono credere alle favole, ma che si pretenda di governare il ciclo dei rifiuti come una favola a lieto fine non è ammissibile
Pietro Zonca
La ringrazio per l’apprezzamento, quando un operatore del settore concorda con quanto dico mi fa capire che sono sulla strada giusta, con quello che scrivo vorrei far aumentare nelle persone la consapevolezza della complessità del problema e dare indicazioni sulle tecnologie esistenti che permettono di affrontarlo al meglio.
Cordialmente Pietro Zonca
Ho apprezzato molto i suoi articoli, che analizzano con chiarezza la situazione italiana. Purtroppo la sua è una voce isolata. E’ chiaro che c’ è un interesse a mantenere soluzione che non lo sono ma che fanno comodo, come per esempio l’ utilizzo di biodigestori anaerobici. importanti associazioni di tutela ambiente propugnano questa soluzione come la panacea di tutti i mali, evidentemente i tedeschi hanno lavorato bene, mentre invece non risolve più del 50% del problema, e ancora adesso la regione Lazio sta rilasciando autorizzazioni per la realizzazione di tali impianti, sia per trattamento delle biomasse agricole che per i rifiuti solidi urbani. Cosa dice a tale proposito il piano regionale dei rifiuti di circa un anno fa ? Non voglio fare ulteriori commenti anche perchè sono parte in causa
occupandomi con una mia società della progettazione di impianti di smaltimento rifiuti, con sistemi innovativi menzionati in vostri articoli. Per adesso ci stiamo rivolgendo all’ estero, con ottimi riscontri, non ritenendo possibile lavorare seriamente in italia, stante l’ attuale situazione. Da noi” trasformare il rifiuto in una
opportunità” non interessa.
Cordialmente
fausto magnarelli