Cottarelli: ecco ciò che frena l’Italia

Pubblichiamo un estratto del libro di Carlo Cottarelli “I sette peccati capitali dell’economia italiana” edito da Feltrinelli

Negli ultimi vent’anni l’economia italiana è cresciuta poco, anzi quasi niente. Tra il 1999 e il 2017 il reddito pro capite è rimasto invariato in termini di potere d’acquisto. È il primo ventennio in cui questo accade dall’Unità d’Italia, se si escludono i vent’anni che si concludono durante la Seconda guerra mondiale. Ora il Pil ha ripreso a correre, ma cresciamo meno del resto dell’Europa. Se fosse una corsa ciclistica, potremmo dire che, dopo essere stati distaccati in salita, la distanza aumenta anche ora che siamo in discesa e stiamo andando più forte.

Perché l’Italia cresce poco? Per due motivi. Primo, ci portiamo dietro da parecchio tempo diversi “peccati capitali” che ci indeboliscono rispetto agli altri Paesi. Il libro parla prima di sei peccati di lunga data: l’evasione fiscale, la corruzione, il peso della burocrazia, la lentezza della nostra giustizia, il crollo demografico che abbiamo subito dall’inizio degli anni ’70 e quel persistente divario tra il Meridione e il resto del Paese, che ha origini molto lontane. Un tema comune a molti di questi peccati è la mancanza di capitale sociale: siamo individualisti e non ci rendiamo conto che quello che va a nostro vantaggio immediato causa enormi problemi alla società se diventa norma di comportamento. Abbiamo sofferto a causa di questi peccati per diversi decenni. Perché allora abbiamo cominciato a perdere terreno solo negli ultimi vent’anni? E qui si arriva al secondo motivo della bassa crescita: il settimo peccato è la difficoltà che abbiamo avuto a convivere con l’euro. Siamo entrati nell’euro impreparati, pensando di poter continuare a fare quello che facevamo prima. Per una decina d’anni, dal 1999 al 2008, i nostri costi di produzione sono aumentati più che in Germania. Succedeva anche prima dell’euro, ma prima potevamo svalutare la lira di tanto in tanto e recuperare in questo modo competitività. Con l’euro avremmo dovuto stare più attenti e tenere i nostri costi di produzione in linea con quelli tedeschi. Non l’abbiamo fatto e abbiamo perso competitività: nei primi dieci anni dell’euro, i nostri costi di produzione sono aumentati più che in Germania di 20-25 punti percentuali. Il che ha fatto soffrire le nostre importazioni e i nostri investimenti.

Come possiamo uscirne? Occorre recuperare competitività, diventare più produttivi e ridurre i nostri costi di produzione. Ed è qui che smettere di peccare ci può aiutare. Se si riduce il peso della burocrazia, se il sistema giudiziario diventa più rapido, se la lotta all’evasione ci consente di ridurre la tassazione delle imprese che esportano (e che in generale pagano comunque le tasse), se riusciamo a liberarci dal peso della corruzione, consentendo alle imprese migliori di emergere, se facciamo tutto questo, la nostra economia diventa più efficiente e competitiva e riusciamo a chiudere il gap con il Nord Europa che ci sta ancora svantaggiando. E, ancora, se il Meridione diventa capace di attirare investimenti produttivi, se riusciamo a superare il crollo demografico e a dare nuove prospettive di crescita alle famiglie italiane la produttività del sistema Italia ne risulterà rafforzata. Tutto questo ci consentirà di crescere più rapidamente.

Questo libro è volto a mettere a nudo quello che non va e a proporre soluzioni concrete e attuabili. Negli ultimi anni abbiamo recuperato un po’ di terreno in alcune aree, ma sono parziali e, soprattutto, restiamo più indietro degli altri principali Paesi europei. di fronte a classifiche stilate da organismi internazionali che ci vedono indietro, la reazione naturale potrebbe essere quella di pensare al complotto, a qualche congiura volta a metterci in cattiva luce. Ci sembra impossibile che un Paese che è comunque uno dei G7 sia così indietro. Ma questo accade perché oltre a pesanti vizi, abbiamo anche molte virtù: abbiamo un settore privato dinamico, con grandi imprenditori e una manodopera di prim’ordine. Ma non dobbiamo negare le nostre debolezze: solo riconoscendo i nostri peccati possiamo smettere di peccare e riprendere il ruolo che spetta all’Italia nell’economia e nella politica internazionale.

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