DRAGHI: Dalla crisi di oggi al futuro dell’Europa

Pubblichiamo brani del discorso di Mario Draghi al Parlamento europeo il 3 maggio

La guerra in Ucraina pone l’Unione Europea davanti a una delle più gravi crisi della sua storia. Una crisi che è insieme umanitaria, securitaria, energetica, economica.

Le istituzioni che i nostri predecessori hanno costruito negli scorsi decenni hanno servito bene i cittadini europei, ma sono inadeguate per la realtà che ci si manifesta oggi. La pandemia e la guerra hanno chiamato le istituzioni europee a responsabilità mai assunte fino ad ora.

Il quadro geopolitico è in rapida e profonda trasformazione.

Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso – dall’economia, all’energia, alla sicurezza. Ho parlato di un federalismo pragmatico ma devo aggiungere che mai come ora i nostri valori europei di pace, di solidarietà, di umanità, hanno bisogno di essere difesi. E mai come ora questa difesa è per i singoli stati difficile, e diventerà sempre più difficile. Abbiamo bisogno non solo di un federalismo pragmatico ma di un federalismo ideale.  Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia.

L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha rimesso in discussione la più grande conquista dell’Unione Europea: la pace nel nostro continente. Una pace basata sul rispetto dei confini territoriali, dello stato di diritto, della sovranità democratica; una pace basata sull’utilizzo della diplomazia come mezzo di risoluzione delle crisi tra Stati; una pace basata sul rispetto dei diritti umani, oltraggiati a Mariupol, a Bucha, e in tutti i luoghi in cui si è scatenata la violenza dell’esercito russo nei confronti di civili inermi.

Dobbiamo sostenere l’Ucraina, il suo governo e il suo popolo, come il Presidente Zelensky ha chiesto e continua a chiedere di fare. In una guerra di aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste. Vogliamo che l’Ucraina resti un Paese libero, democratico, sovrano. Proteggere l’Ucraina vuol dire proteggere noi stessi, vuol dire proteggere il progetto di sicurezza e democrazia che abbiamo costruito insieme negli ultimi settant’anni. Aiutare l’Ucraina vuol dire soprattutto lavorare per la pace.

La nostra priorità è raggiungere quanto prima un cessate il fuoco, per salvare vite e consentire quegli interventi umanitari a favore dei civili che oggi sono, restano, ancora molto difficili. Una tregua darebbe anche nuovo slancio ai negoziati, che finora non hanno raggiunto i risultati sperati.

L’Europa può e deve avere un ruolo centrale nel favorire il dialogo. Dobbiamo farlo per via della nostra geografia, che ci colloca accanto a questa guerra, e dunque in prima linea nell’affrontare tutte le sue possibili conseguenze. Dobbiamo farlo per via della nostra storia, che ci ha mostrato capaci di costruire una pace stabile e duratura, anche dopo conflitti sanguinosi.

L’Italia, come Paese fondante dell’Unione Europea, come Paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica.  Già oggi la guerra sta avendo un impatto profondo sui nostri Paesi.

Dall’inizio del conflitto, circa 5,3 milioni di persone hanno lasciato l’Ucraina verso l’Unione europea – soprattutto donne e bambini. È più del doppio del numero di rifugiati presenti nell’Unione alla fine del 2020 – circa 2,5 milioni. L’Italia crede nei valori europei dell’accoglienza e della solidarietà.

Dal punto di vista economico, il conflitto ha causato instabilità nel funzionamento delle catene di approvvigionamento globali e volatilità nel prezzo delle materie prime e dell’energia.

Le forniture alimentari ucraine sono crollate a causa delle devastazioni della guerra e dei blocchi alle esportazioni imposti dalla Russia nei porti del Mar Nero e del Mar d’Azov. L’Ucraina è il quarto maggiore fornitore estero di cibo nell’Unione Europea – ci invia circa metà delle nostre importazioni di granoturco, un quarto dei nostri oli vegetali. A marzo, i prezzi dei cereali e delle principali derrate alimentari hanno toccato i massimi storici. C’è un forte rischio che l’aumento dei prezzi, insieme alla minore disponibilità di fertilizzanti, produca crisi alimentari.

Molti Paesi, soprattutto dell’Africa e del Medio Oriente, sono più vulnerabili a questi rischi e potrebbero vivere periodi di instabilità politica e sociale. Non possiamo permettere che questo accada.

Per quanto riguarda l’energia, il prezzo del greggio, che tra dicembre e gennaio oscillava tra i 70 e i 90 dollari al barile, si aggira oggi intorno ai 105 dopo un picco di 130 dollari a marzo. Il prezzo del gas sul mercato europeo è intorno ai 100 euro per megawattora – circa cinque volte quello di un anno fa.

Questi aumenti – che seguono i rincari che si osservavano già prima dell’inizio del conflitto – hanno spinto il tasso d’inflazione su livelli che non si vedevano da decenni. Nell’eurozona, l’indice dei prezzi è cresciuto del 7,5% ad aprile rispetto a un anno fa, e sta avendo un impatto significativo sul potere d’acquisto delle famiglie e sui livelli di produzione delle imprese. L’economia europea è in una fase di rallentamento.

Ciascuna di queste crisi richiederebbe una reazione forte da parte dell’Unione Europea. La loro somma ci impone un’accelerazione decisa nel processo di integrazione. Negli ultimi 75 anni, l’integrazione europea è stata spesso la migliore risposta – pratica e ideale – alle sfide comuni. I padri fondatori dell’Unione Europea intuirono che lo sviluppo economico e il progresso sociale erano difficili da realizzare soltanto tramite le risorse dei singoli Stati nazionali. Individuarono nel modello sovrannazionale l’unico capace di unire gli interessi dei popoli europei e di esercitare influenza su eventi che altrimenti sarebbero stati fuori dalla loro portata.

Questo lungo cammino di integrazione ha cambiato le nostre vite per il meglio, perché ci ha dato pace, prosperità, e un modello sociale di cui essere fieri. Abbiamo reso l’Unione Europea uno spazio non solo economico, ma di difesa dei diritti e della dignità dell’uomo. È un’eredità che non dobbiamo dissipare, di fronte alla quale non possiamo arretrare. Ora è il momento di portare avanti questo percorso. Vogliamo essere in prima linea per disegnare questa nuova Europa.

In un quadro geopolitico divenuto improvvisamente molto più pericoloso e incerto, dobbiamo affrontare l’emergenza economica e sociale e garantire la sicurezza dei nostri cittadini. Gli investimenti nella difesa devono essere fatti nell’ottica di un miglioramento delle nostre capacità collettive – come Unione Europea e come Nato.

La nostra spesa in sicurezza è circa tre volte quella della Russia, ma si divide in 146 sistemi di difesa. È una distribuzione di risorse profondamente inefficiente, che ostacola la costruzione di una vera difesa europea. L’autonomia strategica nella difesa passa prima di tutto attraverso una maggiore efficienza della spesa militare in Europa.

Inoltre, la costruzione di una difesa comune deve accompagnarsi a una politica estera unitaria, e a meccanismi decisionali efficaci. Dobbiamo superare il principio dell’unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati, e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata.

Una prima accelerazione deve riguardare il processo di allargamento. L’Italia sostiene l’apertura immediata dei negoziati di adesione con l’Albania e con la Macedonia del Nord, in linea con la decisione assunta dal Consiglio Europeo nel marzo 2020. Vogliamo dare nuovo slancio ai negoziati con Serbia e Montenegro, e assicurare la massima attenzione alle legittime aspettative di Bosnia Erzegovina e Kosovo. Siamo favorevoli all’ingresso di tutti questi Paesi e vogliamo l’Ucraina nell’Unione Europea.

Sul Mediterraneo si affacciano molti Paesi giovani, pronti a infondere il proprio entusiasmo nel rapporto con l’Europa. Con essi, l’Unione Europea deve costruire un reale partenariato non solo economico, ma anche politico e sociale.

La politica energetica è un’area in cui i Paesi del Mediterraneo devono – e possono – giocare un ruolo fondamentale per il futuro dell’Europa. L’Europa ha davanti un profondo riorientamento geopolitico destinato a spostare sempre di più il suo asse strategico verso il Sud.

La guerra in Ucraina ha mostrato la profonda vulnerabilità di molti dei nostri Paesi nei confronti di Mosca. L’Italia è uno degli Stati membri più esposti: circa il 40% del gas naturale che importiamo proviene infatti dalla Russia. E non abbiamo carbone, non abbiamo energia nucleare, non abbiamo – o quasi non abbiamo – petrolio. Una simile dipendenza energetica è imprudente dal punto di vista economico, e pericolosa dal punto di vista geopolitico.

Abbiamo appoggiato le sanzioni che l’Unione Europea ha deciso di imporre nei confronti della Russia, anche quelle nel settore energetico. Nelle scorse settimane ci siamo mossi con la massima celerità e determinazione per diversificare le nostre forniture di gas. E abbiamo preso importanti provvedimenti di semplificazione per accelerare la produzione di energia rinnovabile, essenziale per rendere la nostra crescita più sostenibile. La riduzione delle importazioni di combustibili fossili dalla Russia rende inevitabile che l’Europa guardi verso il Mediterraneo per soddisfare le proprie esigenze. Mi riferisco ai giacimenti di gas, come combustibile di transizione, ma soprattutto alle enormi opportunità offerte dalle rinnovabili in Africa e in Medio Oriente.

I Paesi del sud Europa, e l’Italia in particolare, sono collocati in modo strategico per raccogliere questa produzione energetica e fare da ponte verso i Paesi del nord.

Allo stesso tempo, dobbiamo trovare subito soluzioni per proteggere le famiglie e le imprese dai rincari del costo dell’energia. Moderare le bollette e il prezzo dei carburanti è anche un modo per rendere eventuali sanzioni più sostenibili nel tempo. Sin dall’inizio della crisi, l’Italia ha chiesto di mettere un tetto europeo ai prezzi del gas importato dalla Russia.

La nostra proposta consentirebbe di utilizzare il nostro potere negoziale per ridurre i costi esorbitanti che oggi gravano sulle nostre economie.

Vogliamo poi rivedere in modo strutturale il meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità, che dipende dal costo di produzione della fonte di energia più costosa, che di solito è il gas. Anche in tempi normali, la generazione di energia da fonti fossili ha infatti costi di produzione maggiori di quella da fonti rinnovabili. In questo periodo di fortissima volatilità sul mercato del gas, la differenza di prezzo è spropositata. I rincari sul mercato del gas si sono riversati su quello dell’energia elettrica, sebbene il costo di produzione delle rinnovabili, da cui ormai otteniamo una parte consistente di energia, sia rimasto molto basso.

L’Italia, da sola, ha speso circa 30 miliardi di euro, solo quest’anno. La gestione emergenziale di questi rincari ha molti limiti, primo fra tutti la sostenibilità per il bilancio pubblico. Il problema è sistemico e va risolto con soluzioni strutturali, che spezzino il legame tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità.

Per quanto riguarda gli investimenti di lungo periodo in aree come la difesa, l’energia, la sicurezza alimentare e industriale, il modello è quello del Next Generation EU. Il sistema di pagamenti scadenzati, legati a verifiche puntuali nel raggiungimento degli obiettivi, offre un meccanismo virtuoso di controllo della qualità della spesa. Spendere bene le risorse che ci vengono assegnate è fondamentale per la nostra credibilità davanti ai cittadini e davanti agli altri partner europei, che come ho detto molte volte hanno accettato di tassare i loro cittadini per poter aiutare l’Italia e altri Paesi che hanno utilizzato questi grants.

Il buon governo non è limitarsi a rispondere alle crisi del momento. È muoversi subito per anticipare quelle che verranno. I padri dell’Europa ci hanno mostrato come rendere efficace la democrazia nel nostro continente nelle sue progressive trasformazioni. L’integrazione europea è l’alleato migliore che abbiamo per affrontare le sfide che la storia ci pone davanti.

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