Facciamo il punto sul M5S

Ora che il lavacro di democrazia digitale ha incoronato a furor di bit Luigi Di Maio come candidato del M5S alla presidenza del consiglio, e dopo l’ultimo di una lunga ed ormai logora serie di colpi di teatro da parte di Beppe Grillo, che negli ultimi anni si è reso protagonista di una vera a propria maratona di passi di lato senza muoversi di un millimetro, possiamo tentare di mettere un punto più o meno fermo e valutare a che punto si trova questo sorprendente movimento e che ruolo potrà giocare nella vita italiana.

Di MaioDico subito che a me, del M5S, ha sempre causato reazioni tra il divertito e l’irritato l’ormai dismesso e patetico slogan di “uno vale uno”, che già alle origini mi pareva un’affascinante sfida a cercare di comprendere se fossimo di fronte ad un caso di malafede portata all’estremo o a quello di una ingenuità politica quasi infantile, cioè pre-politica. Sarà l’abituale cinismo, ma personalmente ho sempre pensato che chiunque creda che in una struttura sociale possa esistere una prevalente “orizzontalità”, dovrebbe farsi vedere da uno bravo. Senza tirare in ballo per l’ennesima volta l’ormai abusata “Legge ferrea dell’oligarchia” di Robert Michels, l’aspetto sorprendente di questo movimento ricco di contraddizioni è aver fatto credere che fosse realmente possibile organizzare un’agorà fisica ma soprattutto digitale in grado di distillare la Verità del Popolo, giacobinamente ribattezzato i Cittadini, e non in realtà pilotarlo dicendogli quello che vuole sentirsi dire.

Il tutto sotto la regia di un imprenditore dotato di meta-visioni di ingegneria sociale piuttosto scontate (e poi del suo erede) alla testa di una società di consulenza di comunicazione. A fare da frontman dell’operazione, un comico sulfureo definitosi “garante” (della purezza dei principi fondativi) e gatekeeper, cioè guardiano del cancello, colui che impedisce le infiltrazioni di corruzione mondana e che oggi tenta di mantenere lo stesso ruolo dissimulandolo dietro la propria canizie.

populismoIl programma politico del M5S, per come si è andato consolidando negli anni, è una sorta di pesca a strascico in quel cupo lago di insoddisfazione e mugugno che è questo paese, che produce naturalmente un giustizialismo deformato che urla in piazza “onestà”, che ha rafforzato il convincimento degli adepti del movimento a considerare delinquente abituale chiunque venga avvisato di garanzia ed a chiederne quindi con infantile petulanza le dimissioni a colpi di tweet ed hashtag, salvo quando tali avvisi raggiungono propri esponenti, provocando in quei casi meritori soprassalti di garantismo, peraltro neppure applicato erga omnes perché la lotta politica, che contamina gli umani, è purtroppo giunta ad infettare anche il purissimo movimento.

Il messaggio di “tanto son tutti ladri” ha fatto rapidamente presa su ampi strati di una opinione pubblica che, un quarto di secolo dopo, continua ad essere orfana di Mani Pulite e delle sue manette e non intende compiere ripensamenti e rielaborazioni neppure di fronte all’eclatante autocritica di Antonio Di Pietro. Questi sono i naïf, quelli che pensano che a colpi di codice penale si possa surrogare l’assenza di senso della comunità e della cosa pubblica che permea vasti e forse maggioritari strati dell’elettorato. Ricordate “Tutti dentro” dell’arcitaliano Alberto Sordi, con lo zelante magistrato manettaro che diventa vittima di quella stessa cultura che egli ha titillato? Correva l’orwelliano anno 1984.

leader e follaMa il M5S è stato anche altro: ad esempio, il tormentone del reddito di cittadinanza, abile tentativo di capitalizzare l’ignoranza economica degli italiani (vedasi le coperture “che ci sono, oh se ci sono”) e l’antica e mai sopita aspirazione popolare a vivere di rendita, “perché siamo l’unico paese europeo a non avere un reddito di cittadinanza”. Assoluta sciocchezza ma la goccia comunicativa scava la roccia. E mai che i grillini ricordino che abbiamo un welfare malato e frutto di una pluralità di “redditi di cittadinanza” erogati per decenni sotto forma di pensioni di invalidità o come prestazione pensionistica a fronte di contribuzioni pressoché inesistenti. Un messaggio molto astuto, quello dei pentastellati, che si inscrive nella domanda di certezza ansiolitica che sale dalle viscere dell’elettorato, non solo italiano, di fronte ad un mondo che demolisce certezze e spesso anche speranze.

La realtà, fatta di compromessi spesso corrosivi ma soprattutto di vincoli, resta la mortale nemica del grillismo, come del resto dell’intera classe politica italiana. La terapia per le soverchianti dissonanze cognitive risiede nel galvanizzare il proprio “popolo”, ululare al complotto dei poteri forti e di oscure forze del male; spesso questa antica tecnica narrativa italiana, quella del vittimismo e del cospirazionismo, ha successo e riesce a rinviare la resa dei conti con la realtà. Quella stessa realtà che ha stroncato o congelato promettenti carriere politiche fuori dall’Italia.

no vaxQuesto non è quindi il necrologio del M5S. Che continuerà a mietere consenso elettorale presso ampi strati di opinione pubblica di un paese che ha ben pochi anticorpi culturali contro Gatti & Volpi di ogni epoca e provenienza. Il movimento potrà andare al potere, sino a giungere ai piani altissimi del Palazzo, oppure potrà finire a disintegrarsi in guerre per bande, soprattutto di probi viri e garanti della purezza ideologica, nell’altro grande topos del più puro che ti epura. Quello che resterà nella storia italiana, in attesa del prossimo packaging elettorale, è la presenza di una forte subcultura che adora le scorciatoie e far “piazza pulita” di tutto quello che “va male”, mentre anela disperatamente ad essere cooptata dal sistema ed essere partecipe degli stessi riti.

Sono “uomini qualunque”, spesso con non lievi pulsioni totalitarie; amano le fughe in avanti e molto più spesso all’indietro; vogliono diffondere consapevolezza ma spesso fanno leva su timori ed ignoranza, ad esempio alimentando posizioni antiscientiste nel solco del cospirazionismo che è la cifra del loro essere anti-sistema. Per questo il M5S non morirà: perché in realtà non è nato una decina di anni addietro ma molto, molto prima. E continuerà, nelle sue reincarnazioni e nei suoi eterni ritorni, a ricordarci tutto quello che non ha funzionato nel processo di crescita civile della nostra comunità nazionale. A ben poco servirà la consolazione di apprendere che anche altri paesi, considerati ben più “evoluti” del nostro, stanno sperimentando tettoniche elettorali del genere.

Mario Seminerio tratto da http://phastidio.net

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