Il peso del debito pubblico che frena l’Italia

Gianni Toniolo sul Sole 24 Ore del 27 gennaio ci fornisce alcune chiavi di lettura utili a comprendere alcuni motivi di fondo della fragilità italiana. Il tema è quello del debito pubblico mai così elevato nella nostra storia recente. Il 135% del Pil toccato nel 2015 occupa il secondo posto in un arco di oltre un secolo venendo dopo il 159% del 1922 (ma c’erano i debiti contratti con gli alleati durante la prima guerra mondiale).

crisi economicaNessuna guerra mondiale in questa epoca invece, bensì una crisi iniziata nel 2008 cui si è risposto con l’espansione della spesa pubblica in disavanzo pressoché ovunque, anche se in misura diversa da paese a paese. L’Italia, che partiva da un debito già molto elevato (102% del Pil nel 2007), l’ha visto crescere di un terzo “tanto da costituire oggi forse il principale problema economico del Paese”. Infatti “la montagna del debito accumulato frena la crescita del reddito e dell’occupazione, favorisce la rendita, si accumula nei bilanci delle banche, con effetti negativi sulla loro capacità di sostenere le imprese, sottrae al bilancio pubblico, con il pagamento degli interessi, risorse che sarebbero preziose per gli investimenti pubblici e per rendere lo stato sociale più amico della crescita oltre che per l’uguaglianza”.

Un aspetto piuttosto trascurato è che un debito tanto elevato ha bisogno di essere costantemente rinnovato e ciò assegna un peso elevato alla volatilità dei mercati finanziari. “Infine, e non è cosa da poco, un indebitamento al limite della sostenibilità toglie alla politica fiscale la flessibilità necessaria per smussare gli andamenti ciclici. Se ci fosse un’altra crisi avremmo minore spazio di manovra che in quella recente”.

crescita pilE che il problema sia quello di contrastare il ciclo è dimostrato dalla storia. Sottolinea Toniolo che “la strada maestra per la riduzione del peso del debito è stata quella della crescita accompagnata da credibili impegni a contenere il disavanzo pubblico. Così l’Inghilterra abbatté a poco a poco sia il debito (oltre il 200% del Pil) accumulato per sconfiggere Napoleone sia quello creato nella guerra al nazismo. Così fece l’Italia tra il 1894 e il 1911, nei primi anni Venti e, con maggiore timidezza, tra il 1994 e il 2007”.

Il problema però è che la crescita italiana è troppo debole e l’inflazione è prossima a zero. È ovvio, dunque che, nel prossimo futuro “la riduzione del rapporto debito/Pil non potrà che essere lenta”. Ciò significa maggiore vulnerabilità del Paese e delle sue banche in particolare (peraltro gravate da una massa enorme di crediti incagliati).

Come si affronta questa situazione? Per Toniolo “i rischi legati a un elevato indebitamento si riducono, anzitutto, mostrando nei fatti che la riduzione del rapporto tra debito e reddito è una priorità strategica nazionale”. Nel passato ciò è stato fatto e ha consentito di superare momenti critici perché “tutta la classe dirigente del Paese aveva compreso che si trattava di un primario interesse nazionale”. Diversa la situazione attuale nella quale “l’insistenza per sforamenti del disavanzo pubblico per piccole frazioni di punto, riducono l’avanzo primario mentre contribuiscono in modo trascurabile alla crescita”. L’effetto è quello di mandare segnali ambigui ai mercati e di indebolire la posizione contrattuale del Governo nei confronti della Ue.

europa unitaSecondo Toniolo “per aumentare la crescita e ridurre i rischi sistemici, bisogna attenersi a un percorso di lungo periodo di riduzione del debito e rendere più attraente l’Italia agli investitori con le cosiddette riforme”. Tuttavia ciò non basta se non “diciamo chiaramente agli italiani che queste cose si fanno nell’interesse del Paese, non perché le chieda l’Europa. Riconosciamo piuttosto, anche nel discorso pubblico, che l‘Europa – perfino questa Europa tanto difettosa – è quanto di meglio un paese più fragile di altri possa avere per ridurre i rischi che vengono dalla geopolitica e dall’economia globali”.

L’articolo si conclude con la considerazione che “è per noi molto più importante ottenere una maggiore condivisione europea dei rischi che nuove piccole flessibilità di bilancio”. Perché “mostrando un credibile impegno alla riduzione, seppure lenta, del debito, l’Italia può contribuire a ridurre il gap di fiducia tra gli stati membri, avrà più peso e carte migliori nel negoziato sull’Unione Bancaria, a cominciare dal Single Resolution Fund, la cosa più importante di cui oggi abbiamo bisogno”.

C. L.

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