Il problema dell’identità palestinese

Esiste un elemento cruciale, spesso trascurato nel dibattito pubblico, che deve essere affrontato per creare le condizioni di una convivenza duratura tra israeliani e palestinesi: la natura recente e strumentale dell’identità palestinese moderna.

  1. Le origini politiche di un’identità nazionale

L’identità palestinese, così come la conosciamo oggi, non è il frutto di un’evoluzione organica, ma il risultato di una costruzione politica deliberata, portata avanti da attori chiave:

Hajj Amin al-Husseini, il Muftì di Gerusalemme, che negli anni ’30 e ’40 unì il nazionalismo arabo all’antisemitismo, collaborando persino con la Germania nazista.

La propaganda sovietica, che durante la Guerra Fredda promosse l’identità palestinese come strumento per destabilizzare l’Occidente e i suoi alleati nel Medio Oriente.

Gamal Abdel Nasser, che sfruttò la causa palestinese per legittimare il suo panarabismo.

Yasser Arafat, che trasformò l’OLP in un movimento globale, fondando l’identità palestinese su una narrativa di resistenza e martirio.

Prima del 1967, l’obiettivo non era uno Stato palestinese indipendente, ma la distruzione di Israele e l’unione con Paesi arabi confinanti. Il termine “Palestina” stesso, storicamente legato agli ebrei (dalla Giudea romana alla “Palestine Mandate” britannica), fu riadattato in chiave anti-israeliana.

  1. La Nakba come mito fondativo e l’equivalenza sionismo=razzismo

Dagli anni ’70, con l’impossibilità di sconfiggere militarmente Israele, la strategia palestinese (e araba) si spostò sul piano narrativo:

La Nakba divenne il mito fondativo di un’identità basata sulla sofferenza e sull’esilio, spesso distorto per negare ogni legame ebraico con la terra.

L’equivalenza “sionismo = razzismo”, promossa dall’URSS e adottata dall’ONU nel 1975, servì a delegittimare Israele non come Stato, ma facendone entità illegittima in toto.

Questa identità, costruita in opposizione a Israele più che in affermazione di sé, crea un paradosso insostenibile: un popolo non può definirsi solo attraverso la negazione di un altro.

  1. Le conseguenze: perché questa identità blocca la pace

Impossibilità di compromesso: Se la tua identità si basa sull’eliminazione dell’”altro”, ogni trattativa diventa un tradimento.

L’educazione e i media palestinesi (in Cisgiordania come a Gaza) perpetuano una narrativa di odio e negazione, rendendo la pace un tabù.

Molti sostenitori della causa palestinese rifiutano di riconoscere le distorsioni storiche alla base della sua identità, trattandola come una lotta “decoloniale”.

  1. Una possibile soluzione: ridefinire l’identità palestinese

La soluzione non è negare ai palestinesi il diritto all’autodeterminazione, ma spingere per una ridefinizione della loro identità. Dall’anti-sionismo all’autoaffermazione: I palestinesi devono potersi vedere come un popolo con una storia propria, non come vittime di Israele.

Servono programmi scolastici che abbandonino l’indottrinamento al martirio, possibilmente con il supporto di Paesi terzi moderati (es. Emirati Arabi, Giordania).

Riconoscimento reciproco: Israele deve essere accettato come realtà legittima, così come i palestinesi hanno diritto a uno Stato accanto a esso, non al suo posto.

Una sfida culturale prima che politica

Il conflitto israelo-palestinese non si risolverà con semplici accordi territoriali. Finché l’identità palestinese rimarrà una negazione di quella ebraica, la pace sarà impossibile. Servono leader palestinesi coraggiosi e una comunità internazionale disposta a sostenere un cambiamento culturale, non solo diplomatico.

Roberto Damico (da facebook)

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